46. Un ricordo triste

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"La ragazza che cuciva sogni".

Le parole di Norah riaffiorarono vivide nella mia mente, a ricordarmi che forse potevo davvero realizzare le mie aspirazioni. Dovevo però essere coraggiosa e impegnarmi a fondo, così come avevo fatto con l'abito dell'amica della mia titolare.

I miei occhi si spostarono proprio su Michaela, stava provando il vestito per l'evento, la sua figura riflessa nello specchio era radiosa. Girò su stessa facendo scintillare le perline di cristallo. Era una donna favolosa e quel modello metteva in risalto tutta la sua bellezza. Sembrava una dea greca: stupenda e incredibilmente sicura di sé.

Soddisfatta del mio lavoro, quella sera raggiunsi il letto con il cuore più leggero.

Quando riaprii gli occhi il mattino successivo, intorno a me non c'erano più le pareti della stanza di New York, ma quelle della mia vecchia camera a Portland; l'incredulità iniziale si fuse con un senso di malinconia e nostalgia.

Dinanzi a me c'era mia nonna, era seduta accanto alla scrivania e di fianco a lei, in piedi, c'era nonno Gerard che montava con pazienza il mobiletto della macchina da cucire. Nonna Mary sorrise, era entusiasta e non vedeva l'ora di mostrarmi le funzioni della macchina.

«Vedrai, Belle, con questa ti troverai benissimo. Ci ho lavorato per anni e non mi ha mai dato problemi. Sarà perfetta per cucire gli abiti dei tuoi sogni.»

Avevo già vissuto quella scena, era reale e tangibile nei miei ricordi più belli. Sconvolta osservai la mia figura allo specchio: ero la ragazza tredicenne che si apprestava a utilizzare un nuovo strumento di lavoro dopo l'ago e il filo.

«Nonna, sei sicura che sarò brava?» Quelle parole uscirono dalla mia bocca senza che potessi controllarle.

Nonna Mary rise e, dopo aver controllato tutte le impostazioni della macchina, mandò nonno Gerard via, poi mi invitò a sedermi accanto a lei. Con le mani un po' tremanti mi apprestai a posizionare un pezzo di stoffa color crema sul mobiletto.

«Allora, prima di tutto devi infilare la macchina. Sai come fare, giusto?» Mi fissò con tenerezza e accarezzò i miei capelli dorati, le guance rosacee e le mie mani. «Certo che sai come si fa! Sei diventata una sarta bravissima, Belle.»

Il pezzo di stoffa che avevo tra le mani cadde a terra.

Osservai le mie dita, le braccia, le gambe, mi toccai le guance: non ero più la tredicenne di quel pomeriggio, ero tornata al presente e di fronte a me c'era ancora mia nonna.

«Nonna...» dissi incredula.

Mi abbracciò forte e a quel punto lacrime bollenti solcarono il mio viso. Il suo profumo alla violetta era lì con me ed era così reale...

«Belle, ti voglio bene, bambina mia. Cerca di essere forte, d'ora in poi dovrai superare tante prove, ma ricordati che ti sono vicina. Tua nonna non ti abbandonerà mai.»

Lo sapevo, sapevo che non mi avrebbe mai abbandonata. Avevo sentito il suo amore in molti momenti della mia vita e continuavo a percepirlo vivido nel mio cuore.

«Mi sei mancata tanto, nonna. Non andrai più via, vero?»

La guardai con il cuore colmo di speranza, ma i suoi occhi erano tristi e rassegnati. Mi stampò un bacio sulla fronte accarezzandomi un'ultima volta. Scomparve e mi lasciò un vuoto immenso, restò però il suo profumo nell'aria.

«Nonna...»

«Nonna...»

Mi svegliai con le lacrime agli occhi, ero di nuovo a New York e fuori non c'era la tenue luce del sole, ma era ancora buio. Ripensai alle carezze della nonna e istintivamente sfiorai le mie guance per poter cercare le sue mani morbide, ma non c'erano più. Ripensai al suo abbraccio, alle sue parole e alla sua dolcezza. Avrei tanto voluto rivederla sul serio, ricevere il suo sostegno e non sentirmi più sola.

La Ragazza che cuciva sogniWhere stories live. Discover now