Prima di partire per Portland, mi ero convinta del fatto che rivedere Steven mi avrebbe fatto bene, che avrei avuto le idee più chiare e che tra di noi si sarebbe sistemato tutto. Le mie si rivelarono solo illusioni.
Il giorno dopo il Ringraziamento, andai dal mio amico per chiarire con lui e chiedergli scusa per come mi ero comportata. Non servì a molto perché mi ascoltò con poca attenzione, non mi rispose né tentò di comprendere le mie insicurezze, non aveva voglia di vedermi né di parlare. Sapeva che nella casa a fianco alla sua c'era Mathieu ad aspettarmi, pronto a riportarmi a New York e non disse nulla a riguardo. Mi rifilò invece un insulso "in bocca al lupo" per il mio lavoro e poi il silenzio.
Quanto distanti eravamo ormai? Facevo perfino fatica a riconoscerci, se in passato parlare era stato per noi un gesto naturale e necessario per entrambi, in quel periodo era divenuto pressoché impossibile. Sembravamo incompatibili anche su quell'aspetto e la cosa mi faceva male e non poco. Io avevo bisogno di Steven nella mia vita, ne avevo bisogno perché non sapevo cosa significasse vivere senza la sua presenza. Eravamo amici da sempre e non potevo sopportare la sua lontananza, ma allo stesso tempo non riuscivo a fare nulla per spezzare quelle incomprensioni. Steven mi aveva ferito durante il pranzo del Ringraziamento e io avevo ricambiato con quel bacio dato a Mathieu a pochi passi da lui. Con quel gesto impulsivo avevo cancellato in un istante qualsiasi tentativo di riappacificazione.
Non avevo alcun rimorso per il bacio dato a Mathieu, perché mi era piaciuto e perché per il batterista nutrivo dei sentimenti sinceri. Mi pentivo però di averlo baciato, in un primo momento, per ripicca. Non era stata una decisione giusta né per lui e né tantomeno per Steven. Cosa speravo di ottenere, se non la rottura definitiva della stima che il mio amico provava per me? Lo avevo tradito nel peggiore dei modi e non si trattava di un tradimento fisico, ma di qualcosa di ben più radicato, lo avevo capito guardandolo negli occhi prima di partire per New York: era deluso, e non da una persona qualunque, ma da me.
Quando arrivai in sartoria quella mattina, misi da parte per un attimo i miei sentimenti, c'era una persona che sembrava essere ancora più in crisi di me e quella persona era Norah.
Posai le mie cose in fretta e mi avvicinai a lei preoccupata, era tanto assorta dai pensieri che a stento notò la mia presenza.
«Ehi, va tutto bene?» domandai appoggiandole con delicatezza la mano sulla sua spalla. Il contatto la fece trasalire.
«Per nulla, la giornata è iniziata malissimo...» disse con un'espressione afflitta.
Cos'era successo in mia assenza? Presi una sedia e mi sedetti accanto a lei, Norah c'era sempre stata per me in passato e in quel frangente toccava a me risollevarle il morale.
«Ti va di dirmi perché sei così sconvolta?»
Mi fissò a lungo, sembrava indecisa se parlare o meno, doveva trattarsi di qualcosa di grave a giudicare dalla sua cera.
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La Ragazza che cuciva sogni
ChickLitCome spiegheresti a una bambina che suo padre non è un eroe, ma semplicemente è fuggito abbandonando lei e sua madre? Per otto anni quella bambina ha atteso invano il ritorno del suo eroe, credendo a una menzogna... Belle è una diciottenne tremend...