59. Delle accuse infondate

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Prima di partire per Portland, mi ero convinta del fatto che rivedere Steven mi avrebbe fatto bene, che avrei avuto le idee più chiare e che tra di noi si sarebbe sistemato tutto. Le mie si rivelarono solo illusioni.

Il giorno dopo il Ringraziamento, andai dal mio amico per chiarire con lui e chiedergli scusa per come mi ero comportata. Non servì a molto perché mi ascoltò con poca attenzione, non mi rispose né tentò di comprendere le mie insicurezze, non aveva voglia di vedermi né di parlare. Sapeva che nella casa a fianco alla sua c'era Mathieu ad aspettarmi, pronto a riportarmi a New York e non disse nulla a riguardo. Mi rifilò invece un insulso "in bocca al lupo" per il mio lavoro e poi il silenzio.

Quanto distanti eravamo ormai? Facevo perfino fatica a riconoscerci, se in passato parlare era stato per noi un gesto naturale e necessario per entrambi, in quel periodo era divenuto pressoché impossibile. Sembravamo incompatibili anche su quell'aspetto e la cosa mi faceva male e non poco. Io avevo bisogno di Steven nella mia vita, ne avevo bisogno perché non sapevo cosa significasse vivere senza la sua presenza. Eravamo amici da sempre e non potevo sopportare la sua lontananza, ma allo stesso tempo non riuscivo a fare nulla per spezzare quelle incomprensioni. Steven mi aveva ferito durante il pranzo del Ringraziamento e io avevo ricambiato con quel bacio dato a Mathieu a pochi passi da lui. Con quel gesto impulsivo avevo cancellato in un istante qualsiasi tentativo di riappacificazione.

Non avevo alcun rimorso per il bacio dato a Mathieu, perché mi era piaciuto e perché per il batterista nutrivo dei sentimenti sinceri. Mi pentivo però di averlo baciato, in un primo momento, per ripicca. Non era stata una decisione giusta né per lui e né tantomeno per Steven. Cosa speravo di ottenere, se non la rottura definitiva della stima che il mio amico provava per me? Lo avevo tradito nel peggiore dei modi e non si trattava di un tradimento fisico, ma di qualcosa di ben più radicato, lo avevo capito guardandolo negli occhi prima di partire per New York: era deluso, e non da una persona qualunque, ma da me.

 Cosa speravo di ottenere, se non la rottura definitiva della stima che il mio amico provava per me? Lo avevo tradito nel peggiore dei modi e non si trattava di un tradimento fisico, ma di qualcosa di ben più radicato, lo avevo capito guardandolo ...

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Quando arrivai in sartoria quella mattina, misi da parte per un attimo i miei sentimenti, c'era una persona che sembrava essere ancora più in crisi di me e quella persona era Norah.

Posai le mie cose in fretta e mi avvicinai a lei preoccupata, era tanto assorta dai pensieri che a stento notò la mia presenza.

«Ehi, va tutto bene?» domandai appoggiandole con delicatezza la mano sulla sua spalla. Il contatto la fece trasalire.

«Per nulla, la giornata è iniziata malissimo...» disse con un'espressione afflitta.

Cos'era successo in mia assenza? Presi una sedia e mi sedetti accanto a lei, Norah c'era sempre stata per me in passato e in quel frangente toccava a me risollevarle il morale.

«Ti va di dirmi perché sei così sconvolta?»

Mi fissò a lungo, sembrava indecisa se parlare o meno, doveva trattarsi di qualcosa di grave a giudicare dalla sua cera.

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