25. L'Orchidea bianca

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Gli ultimi due giorni, di quell'infinita settimana, passarono portandosi via ogni emozione provata, così come la notte trascorsa con Mathieu. Mi sentivo ancora strana e scossa, sulla mia pelle erano ormai scomparse le impronte del mio aggressore, ma potevo percepirle comunque, erano lì a rievocarmi la paura e lo sgomento di quella sera.

Poi c'era il ricordo della chiacchierata al parco, seduta su una panchina assieme a Mathieu. Mi aveva rivelato delle verità troppo grandi per essere taciute. Tuttavia, non era giusto riferire a Louise quello che avevo scoperto sul conto di suo figlio. Quella chiacchierata al chiar di luna mi aveva mostrato un ragazzo diverso. Una persona problematica, ma gentile, disposta ad ascoltare e comprendere; non volevo tradirlo, rivelando tutto a sua madre.

Mathieu si era fidato di me, qualcosa tra di noi stava cambiando. Perfino i suoi occhi neri come il carbone mi erano parsi meno tenebrosi e più vulnerabili. Erano due occhi che nascondevano sofferenza e mille pensieri. Era lo sguardo di chi aveva bisogno di conforto, ma aveva paura a chiederlo. Aveva bisogno di qualcuno che potesse capire i suoi fallimenti, ma senza giudicarlo.

I giorni successivi mi evitò, come se quel mettersi a nudo con me fosse stato un terribile errore da non ripetere. Pensai che per lui la solitudine fosse una sicurezza, un modo per poter proteggere e tutelare se stesso da possibili ferite. Forse aveva paura di mostrare le sue debolezze, di perdere la sua vita fatta di silenzi e musica. Forse era spaventato dal pensiero di legarsi a qualcuno diverso da lui, ma con le stesse angosce.

Inspirai, guardando la mia immagine riflessa allo specchio, indossavo la mia nuova creazione. Con le dita sfiorai il tessuto liscio e lucido, delle grandi orchidee bianche facevano da contrasto su uno sfondo nero e cupo. Benché fossero due colori differenti, si sposavano bene, come due opposti che si attraggono e si completano a vicenda. Non aveva nulla di particolare quel vestitino, ma era bello, bello nella sua semplicità.

Deglutii, immaginandomi come quelle orchidee bianche circondate dall'ombra di uno sguardo buio e tormentato. Cosa stava accadendo al mio cuore? Perché ogni cosa mi ricordava lui?

Turbata da quelle domande, raggiunsi la fermata dell'autobus. Non riuscivo più a riconoscere i miei pensieri, erano confusi e poco chiari, ma non mi aspettavo di trovare delle risposte, preferivo non pensarci.

Vagai per il corridoio dell'autobus facendomi spazio tra la gente, non appena incrociai i suoi occhi, un sorriso involontario comparve sulle labbra di entrambi.

«Ciao...» Mathieu fissò il mio viso e poi scese verso l'apertura della giacca, guardando il mio vestito con attenzione. «È per questo coso che ieri mi hai tenuto sveglio tutto il pomeriggio con quella macchina da cucire infernale?»

Risi accomodandomi a fianco a lui.

«Eh sì, è per questo "coso" che sei rimasto sveglio e non si chiama "coso", ma vestito.»

«D'accordo, signorina Gelsomina» rispose con sarcasmo. Forse si stava riferendo alle orchidee illustrate sul tessuto?

«Non sono gelsomini, ma orchidee» specificai.

«Non cambia molto.» I suoi occhi si spostarono sulla strada tornando a ignorarmi.

«Questo perché guardi i fiori con distrazione, non ti soffermi sulle mille forme e tonalità.»

Amavo i fiori e m'infastidiva un po' quando qualcuno non apprezzava la loro unicità.

«Che importanza ha? Restano entrambi dei semplici fiori.»

«Anche noi due siamo dei semplici umani, eppure ognuno ha delle caratteristiche differenti. Piccoli o grandi particolari che ci rendono unici.»

Mi scrutò sorridendo, era difficile capire cosa stesse meditando, eppure sembrava assorto da qualcosa, da qualche dettaglio del mio viso che sembrava aver notato solo ora.

«Hai mai pensato di conoscere tuo padre?» Perché quella domanda improvvisa? Abbassai gli occhi sulle mie gambe, conoscevo mio padre attraverso i miei incubi e non volevo andare oltre... «Ci ho pensato a lungo in questi due giorni e secondo me dovresti provare a cercarlo» aggiunse.

«Non voglio cercare una persona che non mi vuole come figlia» esclamai con voce rauca; si era formato un fastidioso nodo alla gola che ostacolava ogni tentativo di replica.

«Per me invece dovresti farlo, anche solo per guardarlo negli occhi e chiedergli spiegazioni.»

«Ma non voglio!» Respirai lentamente, stavo lottando contro l'ansia e non era semplice. «Ne riparliamo in un altro momento, tra poco devo scendere.»

Anche se mancavano ancora altre fermate prima della mia, mi alzai, abbandonando il mio posto e un Mathieu dispiaciuto. Cosa pretendeva da me? Non ero predisposta ad affrontare i miei fantasmi e forse non lo sarei mai stata.

Quando arrivai in sartoria, trovai Norah e Michaela conversare amabilmente. Michaela era l'amica della mia datrice di lavoro, si conoscevano dai tempi del liceo e a causa della loro passione in comune per la moda non si erano mai perse di vista.

Michaela era la classica donna in carriera: sofisticata, bella e intraprendente. Ogni centimetro del suo corpo emanava classe, così come il suo portamento e il modo aristocratico con cui si rivolgeva agli estranei. Non appena entrava in confidenza, invece, diveniva una persona simpatica e alla mano. Trasmetteva grinta, vitalità e, soprattutto, era una donna sicura di sé e dei suoi pregi.

«Ciao, cara, come stai?» Norah mi salutò interrompendo il dialogo con la sua amica.

Ricambiai il saluto defilandomi in un angolino della stanza, dopo la conversazione con Mathieu, non ero più dell'umore giusto per chiacchierare. Avevo soltanto voglia di dedicarmi al lavoro e di dimenticare mio padre, di cancellare dalla testa i miei incubi su di lui.

«Belle, puoi avvicinarti al tavolo? Michaela vuole parlarti di un progetto importante.»

La parola "progetto" mi fece cadere a terra l'ago che avevo appena infilato. Con fare impacciato mi avvicinai a loro. Michaela era un'esperta del settore, nonché direttrice di una rivista di moda, partecipava a tutte le sfilate più esclusive, studiava gli abiti delle passerelle ed esprimeva giudizi oggettivi su ogni stilista. M'incuteva un po' di timore averla in sartoria, però sapevo che per me quella era un'occasione notevole per far conoscere il mio talento, e non potevo farmela sfuggire per qualche momento di tristezza o di nervosismo.

«Ho un lavoro per voi e spero che tu, Belle, saprai accontentarmi.» Percepii il battito del cuore accelerare. Estrasse dalla sua borsa un pacchettino di carta e lo appoggiò sul tavolo. Avevo le mani sudate e la gola secca per l'emozione, chissà cosa conteneva quel pacchetto. «Aprilo pure e dammi un giudizio sincero!»

L'amica di Norah era trepidante, io al contrario mi sentivo agitata. Strappai l'involucro di carta che conteneva l'oggetto misterioso: un elegante chiffon verde smeraldo decorato con paillettes e perline di cristallo.

«È davvero molto bello...» pronunciai sbalordita.

«Solo bello? È divino, ma veniamo al sodo, vorrei che tu mi realizzassi un abito da sera. Devo partecipare a un evento e ci saranno tutte le maggiori cariche del Paese. Credi di poter essere all'altezza di questo incarico?»

Rimasi pietrificata, in quelle settimane trascorse con Norah avevo toccato numerosi vestiti da cerimonia e realizzato modelli particolari, ma questo non serviva a farmi sentire all'altezza di quel compito. Se avessi sbagliato anche solo qualche piccolo dettaglio... non volevo nemmeno pensarci.

Sospirai, indecisa e spaventata. Come potevo dire di "no" e deludere Norah e Michaela? Avevano riposto molte speranze sul mio talento, ma ero pronta a mettermi in gioco?

«Allora, Belle, hai voglia di cucirmi su misura un abito da sera?»

La Ragazza che cuciva sogniWhere stories live. Discover now