2. Il mio migliore amico

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Trascorsi gli ultimi due giorni immersa nei miei disegni. Provavo molta gioia per ciò che stavo facendo, disegnare mi rendeva viva, mi sentivo appagata mentre davo spazio alla creatività. L'unica arma che possedevo per non darla vinta alle mie paure. Disegnai e ritoccai molti modelli, la mia mente era un fiume di idee, così mi appuntai tutte le note necessarie per i miei progetti futuri e per le stoffe che avrei potuto utilizzare per cucire almeno uno dei capi.

Se volevo iniziare a rendere il mio sogno concreto, dovevo cercarmi un lavoro che mi permettesse di guadagnare qualcosa. Il materiale per il cucito aveva un prezzo considerevole e senza un impiego non sarei riuscita a comprare molto. Anche se ero solo una diciottenne, non potevo più dipendere da mia madre, aveva già fatto troppi sacrifici per crescermi. Non volevo chiederle altro.

Con la mia nascita aveva rinunciato agli studi ed era finita a lavorare come cameriera in uno dei tanti hotel del Maine. Ero sempre stata un peso per lei, un uragano che aveva spazzato via tutti i suoi sogni.

Nonno Gerard voleva convincermi del contrario, ma in realtà sapevo di esser stata un ostacolo. Avevo spezzato un futuro brillante e chissà magari, senza di me, mia madre avrebbe potuto avere una vita differente, una famiglia normale.

Chiusi gli occhi ripensando alla mia infanzia e a tutto l'amore che mi aveva donato. Nonostante l'assenza di mio padre, la sua forza e il suo immenso affetto erano riusciti in qualche modo a ricompensare alle mancanze. Volevo ricambiare i suoi sforzi, rendendola felice e fiera di me. Lo dovevo fare per lei e soprattutto per me stessa. Per cambiare, per smettere di essere una spettatrice e diventare la protagonista della mia vita.

Assorta da quei pensieri, non mi resi conto della presenza di mio nonno in camera, gli lanciai un'occhiata fugace, non smettendo nemmeno per un secondo di disegnare.

«C'è Steven al piano di sotto. Dovresti scendere e ringraziarlo, ti ha portato parecchia verdura fresca per Daphne. Quella coniglietta ne andrà pazza!» Le sue parole mi strapparono per un attimo dai miei vestiti.

Non vedevo Steven da quasi una settimana, quel ragazzo negli ultimi tempi era diventato troppo fuggitivo. Riposi i disegni nella cartellina e scesi le scale di corsa per raggiungere il mio migliore amico in soggiorno. Appena mi vide i suoi occhi verdi s'illuminarono.

«Ehi, che fine avevi fatto?»

Mi diede una carezza sul capo, scompigliandomi i capelli. Sapeva che m'infastidiva quel gesto, eppure si divertiva tantissimo a spettinarmi.

«Senti chi parla! Tuo nonno mi ha detto che non esci dalla tua camera da due giorni» esclamò con espressione beffarda.

«Ho dei buoni motivi e tu invece?» Lo trascinai in salotto, invitandolo a sedersi accanto a me. Avevo una voglia matta di chiacchierare con lui!

«Sono impegnato con un training.»

«Eh? Cos'è questa novità?»

«Ho un lavoro» rispose serio, lasciandomi spiazzata. Il mio amico aveva un lavoro e io non ne sapevo nulla. Non che mi dovesse spiegazioni, ma tra noi due non c'erano mai stati segreti. «Belle, non guardarmi così, so a cosa stai pensando. Non volevo nascondertelo, ma...»

«In realtà l'hai fatto!» Ebbene, per la prima volta mi sentii esclusa dalla sua vita, ma non ero arrabbiata con lui, solo dispiaciuta.

«È accaduto tutto in fretta, non ho avuto tempo per avvertirti. Mi dispiace, ti prometto che mi farò perdonare.» Mi regalò uno dei suoi sorrisi più ammalianti, era proprio un furbetto, ma gli volevo bene.

«D'accordo, vedremo...» dichiarai, ironica. «Almeno puoi dirmi di che lavoro si tratta?»

«Mio padre vuole inserirmi all'interno della sua azienda, non so ancora come andrà a finire, ma sarò in prova per tutto il mese.» Nei suoi occhi intravidi un barlume di speranza e un po' lo invidiai per questo.

Lui a differenza mia non aveva mai avuto il timore di affrontare nuove sfide. Era un vero mago con la grafica ed ero certa che sarebbe riuscito a raggiungere i suoi piccoli traguardi con o senza l'azienda di famiglia. Era tenace, testardo, difficilmente si arrendeva di fronte a uno ostacolo.

Lo abbracciai forte contenta per il suo incarico, lui ricambiò con lo stesso calore di sempre. I nostri abbracci erano speciali. M'infondevano pace, un senso di beatitudine e so che era così anche per lui. Lo percepivo dal modo in cui mi stringeva e mi accarezzava la schiena.

«Verrai assunto sicuramente. Non possono lasciarsi scappare un talento come il tuo!»

«Dici? Uhm, secondo me, sei troppo di parte.» Ci staccammo dall'abbraccio, sorridendo entrambi.

«E come farai con i corsi online che stai seguendo?»

«Lavorerò part-time all'inizio.»

«Ma così non avrai tempo per le tue ammiratrici...» pronunciai quelle parole con sarcasmo, le ragazze erano il suo punto debole. Nonostante cadessero tutte ai suoi piedi, Steven le ignorava spudoratamente.

«Spiritosa! Sai benissimo che non sono interessato a nessuna di loro.»

«Dovresti iniziare a farlo invece, tutte impazziscono per i tuoi addominali scolpiti e i tuoi occhi di ghiaccio.»

«E tu che ne sai dei miei addominali scolpiti?» imitò la mia voce con malizia, prendendomi in giro. Era odioso quando faceva così.

«Ti conosco da quando eri un bambino, so tutto di te!» Sorrisi soddisfatta.

«Ne sei tanto sicura?» mise in dubbio le mie parole, ridendosela sotto i baffi.

«Mi dispiace, ma non hai segreti per me.»

«Comunque puoi stare tranquilla, quando arriverà la donna giusta, riceverà tutte le mie attenzioni.»

Quell'affermazione mi fece tornare in mente un ricordo della nostra infanzia e non potei fare a meno di provare nostalgia.

In effetti Steven era molto premuroso, almeno lo era sempre stato con me. Da piccoli, quando giocavamo insieme, spesso per farmi contenta fingevamo di essere marito e moglie, le mie bambole erano i nostri figli e la nostra dimora era la casetta sull'albero che aveva costruito nonno Gerard. Il mio amico era un "maritino" davvero affettuoso. Ogni giorno mi portava delle margherite strappate dal prato di casa. Quando a scuola mi prendevano in giro, era sempre pronto a difendermi e a consolarmi nei momenti in cui l'assenza di mio padre mi causava tristezza.

Un giorno, giocando, chiese la mia mano a mia madre.

"Signora Catherine, da grande posso sposare sua figlia?"

Quella frase pronunciata in maniera innocente, ma decisa, mi addolcì il cuore a tal punto da stampargli un tenero bacio sulle labbra. A distanza di anni, mi resi conto che quello non solo era stato il mio primo bacio, ma anche l'unico dato a un ragazzo e non a uno qualsiasi, ma al mio migliore amico.

La Ragazza che cuciva sogniTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang