5. Rivelazioni

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Mi precipitai fuori dalla macchina. Nonostante mi facessero ancora male i piedi e le gambe avevo bisogno di scappare. Avevo bisogno di fuggire, di respirare a pieni polmoni, di liberarmi da tutta la tensione accumulata. Volevo stare sola, non pensare a nulla e non pensare alle parole di mia madre.

Aveva già deciso tutto, come se io non avessi voce in capitolo. Aveva deciso del mio futuro senza chiedermi il permesso. Cosa ne sarebbe stato della mia vita? Come potevo ricominciare da zero lontana dai miei famigliari e dalla mia città?

Era tutto così assurdo da sembrare irreale. Come quando ci si sveglia da un brutto incubo e si vuole solo dimenticare. D'accordo, mia madre desiderava solo la mia felicità, ma prendere decisioni importanti senza rendermene partecipe era davvero irrispettoso.

«Belle, ascoltami, so che avresti voluto saperlo prima, ma avevo paura di un tuo rifiuto» si giustificò, seguendomi dentro casa.

Spettava a me prendere una scelta del genere, non a lei, a me. Capivo le sue buone intenzioni: la parte razionale di me era consapevole di quanto fosse importante partire, ma il mio cuore si stava rifiutando. E poi quell'odiosa sensazione che mi accompagnava tutte le volte, si era ripresentata proprio quella sera a ricordarmi che non ne ero ancora immune. Non era semplice paura, era ansia: allergia verso ogni piccola forma di malessere.

«Certo, e hai pensato: perché non organizziamo tutto di nascosto? Così Belle non potrà tirarsi indietro. Beh, complimenti, mamma, davvero una splendida idea!» Entrammo in salotto urlando e mio nonno, che era chiaramente a conoscenza di tutto, si defilò nella sua stanza.

Gran bel furbo anche lui!

«Tesoro, andiamo, è la tua opportunità. Quando ti ricapiterà più? Hai sempre sognato New York e la Parsons...»

«Questo non ti dà il diritto di spedirmi lì come se fossi un pacco postale!»

«Non dire così, sai benissimo quanto sia difficile per me starti lontana.»

Mi accasciai sul divano, respirando a fondo, dovevo mantenere la calma e contare fino a dieci. Dovevo liberarmi da quel nodo alla gola.

«Comunque non puoi obbligarmi a partire. Devi disdire tutto.» Forse potevo sembrare impulsiva, spaventata, una bambina capricciosa, ma si trattava della mia vita.

«Ho già parlato con Louise, ti ospiterà a casa sua. I suoi figli sono andati al college, quindi si è liberata una camera, e a lei farà piacere rivederti...»

Ma certo! Louise l'amica francese di mia madre, con i suoi due strani figli: Yvonne e Mathieu.

«Non parto! Qual è la parte difficile da capire?»

«Non puoi farti sfuggire quest'occasione. È il tuo sogno. Louise ti ha trovato un lavoro presso una sartoria vicino casa sua. Lì potrai fare esperienza e guadagnare qualcosa.»

Perfetto, aveva già programmato tutto: biglietto di solo andata per New York, una casa dove dormire pronta e un lavoro adatto a me. Non c'era nulla che non funzionasse. Era tutto terribilmente perfetto.

«Ok, ho capito, i tuoi piani sono fatti su misura per me, ma non penso di sentirmi pronta per tutto questo. Non voglio andarmene via e lasciarti qui, sola, a pulire i bagni di uno stupido hotel!» Sentii le guance riscaldarsi e alcune lacrime furtive scivolarono lungo il mio viso, bagnandomi la pelle.

Percepii la tensione scorrere via assieme a quelle lacrime. Era da molto tempo che non piangevo, mi accadeva solo nei momenti di nervosismo e in quel preciso istante ero davvero arrabbiata con mia madre. Non tanto per i suoi piani, ma per l'avermi tenuta all'oscuro di tutto.

La Ragazza che cuciva sogniWhere stories live. Discover now