마흔일곱.47

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-Passato-

Era passato un'anno da quella buttata e frettolosa confessione dei miei sentimenti verso Minseok.
Sentimenti ricambiati fino all'ultima goccia di materia che ci compone.
Dicono che il primo amore non si scorda mai.
Eppure, per necessità o dovere, ad un determinato punto, si arriva a chiuderlo nella parte più remota del nostro cervello, nel cassetto più sgualcito, decomposto e a brandelli che ospita la nostra mente, rilegandolo nella zona più buia ed inesplorata dei nostri pensieri.
Giunge al punto di diventare un misero eco lontano, che sta solamente in una posizione di sottofondo rispetto alla moltitudine caotica dei pensieri che ci affollano ogni giorno, che ci fanno impazzire, rimbalzando su ogni parente libera della nostra scatola cranica, attivando dei campanelli d'allarme, attaccando immaginari post it su quello che dobbiamo svolgere, programmi da terminare e via dicendo.

Era questo quello di cui stavamo parlando io e Minseok sotto il piumino blu indaco, nell'ennesima umida e bagnata giornata di pioggia.
Noi amavamo la pioggia.
Il freddo.
Il buio della notte.
L'inverno.
Se possibile, avremmo vissuto solo durante questi quattro elementi combinati insieme.
In un ciclo perenne del freddo invernale, con la notte ad inghiottire ogni cosa ma a far attraversare la luce della luna dallo stralcio di finestra aperta, accompagnato dal dolce cullare dell'acqua piovana che lenta ed incessante, scende lungo le pareti delle case, tichettando melodica sulle persiane di legno, lasciando bagnato tutto intorno al suo passaggio.
Quella era una serata così.
Tutto ciò che più amavamo della natura, ci aveva fatto il dono di essersi sincronizzato insieme, mentre io e lui, al calduccio sotto le coperte, Minseok che mi teneva stretta tra le sue braccia fondendo i nostri toraci spogli, parlavamo sconnessamente di tutto quello che ci veniva fuori, dalla sciocchezza più piccola a discorsi filosofici sul futuro, a tematiche come questa.
Prima di tutto ciò, successe altro.

Eravamo appena rientrati nella sua casa, zuppi dalla testa ai piedi per colpa della pioggia che ci aveva piacevolemnte sorpreso strada facendo lungo il ritorno verso la sua abitazione
Avevamo lottato un po' per infilare le chiavi nella toppa a causa della scarsa luminosità, mentre l'acquazzone continuava ad intridere sempre di più i nostri vestiti già grondati e appesantiti dall'acqua, ma alla fine riuscimmo ad entrare.
La casa era deserta.
Non un solo suono si udiva nella staticità del silenzio più assoluto, assorbito dal nero della sera che si infiltrava in ogni angolo della casa.
A

vevamo entrambi il fiato accorciato dall'isolato di corsa che avevamo fatto per bagnarci il meno possibile, dato che l'inverno aveva già spalancato le porte e che non volevamo rischiare un malanno proprio in procinto delle vacanze di Natale.

Sentivo i polmoni bruciare per le grandi boccate di aria fredda che vi avevo introdotto.
Stavamo uno di fronte all'altro mentre cercavamo di riprendere fiato: io appoggiata al bellissimo mobile antico che si trovava subito al lato della porta d'ingresso, lui sulla parete opposta, entrambi che stavamo allargando la pozza di H2O che, per la forza di gravità, era attratta verso il suolo sottoforma di copiose goccioline, che andavano suicidandosi per l'impatto contro le piastrelle del pavimento, dall'orlo dei nostri vestiti.
E

rano attimi che ci stavamo scrutando negli occhi, il fiato ancora corto. L'elettricità del silenzio fu interrotto da un tuono improvviso, che vibrò anche all'intero delle pareti, al cui termine si creò di nuovo un breve attimo di quiete prima che fosse spaccato dalle nostre risate cristalline.

Poi improvvisamente, nell'aria che stanziava tra i nostri corpi, si diffuse un nuovo bisogno di colmare quel vuoto occupato solo dalle nostre figure.
Il viso di Minseok mi era chiaro anche nella penombra dell'ingresso, di colpo smorzò il sorriso per farsi tutto serio.
Sembrava combattuto se ascoltare quello che il suo cervello e corpo gli stavano proponendo di fare, o di contenersi accantonando quell' idea che si era prepotentemente insidiata dentro di lui.
Io attendevo, calma contro il mobile, la testa leggermente inclinata di lato, in attesa che una qualche decisione fosse presa dal mio ragazzo.
Poi, come se d'un tratto anche i secondi fossero stati di troppo, come se la battaglia contro la sua ragione fosse stata vinta da quello che il suo cuore e la sua mente, alleati, gli stavano comunicando di fare, con una falcata annullò la distanza eccessiva che separava le nostre anime.
Il tempo sembrava non scorrere, i suoi occhi da diciannovenne che mi scrutavano in cerca di un qualche permesso che non sarebbe stato negato in nessun caso, a prescindere da quale fosse stata la sua tacita richiesta, mi stavano trapassando anche le ossa.
E io lo guardavo, ipnotizzata, come se dal suo sguardo dipendesse tutta la mia vita.
Il nostro giovanile amore era così struggente da consumare tutta la fiamma ardente della passione che lo caratterizzava.
La sua decisione finale, fu determinata dalla mia silenziosa rassicurazione che aveva letto dai miei occhi, perché sicuramente, doveva averlo notato anche lui che mi fidavo ciecamente della sua persona.
Un po' per i vestiti ancora zuppi addosso, un po' per l'emozione, mi baciò tutto tremate, con le mani avvolte intorno al mio viso.
Non fu più di un semplice contatto di labbra dalla più minima durata di un battito di ciglia.
Sembrava che mi stesse baciando per la prima volta.
Di poco si allontanò dalla mia faccia, schiudendo gli occhi, osservandomi nuovamente, come per essere sicuro di quello che stesse facendo.
Riprese poi a sfiorare le nostre porte del respiro, con una delicatezza e dolcezza tale, che sembrava di baciare una nuvola.
Gradualmente, cominciò a spostare le mani verso la mia schiena e poi sui miei fianchi, con lentezza, mentre le mie erano aggrovigliate tra i suoi capelli umidi.
Prendendosi tutto il tempo del mondo, iniziò ad intensificare anche il bacio, a renderlo più bagnato, più intenso, più passionale.
Avevo capito che cosa stesse cercando di comunicarmi e come sarebbe andata a finire quella serata.
E io glielo lasciai fare.
Glielo avrei permesso, dopo un'anno che stavamo insieme e dopo due che ero innamorata di lui.
Non mi sarebbero mai venuti dei rimorsi riguardo a questo fatto, perché sapevo che il ragazzo che mi stava togliendo la sola cosa che non mi sarebbe stata più restituita in vita mia, non aveva l'intenzione di lasciarmi una volta ottenuta.
Anzi, divenne ancora più parte della mia persona, tanto che non si distingueva più dove iniziasse Minseok e finissi io.
Quella notte, non facemmo l'amore, ma ne creammo una nuova tipologia.
Un sentimento così non lo si sarebbe trovato neanche tra le pagine ingiallite dei testi più antichi, che parlavano di un milione di storie d'amore delle più tormentate e meravigliose alle quali vi si potesse aspirare.
Il nostro, era un'amore tutto da invidiare, unico, eterno.

Dicono che il primo amore non si scorda mai.
Eppure, per necessità o dovere, ad un determinato punto, si arriva a chiuderlo nella parte più remota del nostro cervello, nel cassetto più sgualcito, decomposto e a brandelli che ospita la nostra mente, rilegandolo nella zona piu buia ed inesplorata dei nostri pensieri.
Per una grande necessità, io e Minseok fummo costretti a trascinare la nostra storia, nell'abisso più profondo della nostra anima.
A fare finta che non sia mai esistito nulla di simile, quasi fosse stato solo frutto della nostra immaginazione, tanto sembrava surreale raccontare una vicenda così.
A distanza di anni, sarebbe rinvenuta, spolverata dal subconscio in cui era stata sepolta, per dare una spiegazione ai due ragazzi che ci stavano interrogando sul perché di questa nostra, emotivamente traumatica, reazione.

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