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Busso o non busso? È da tanto tempo che sto mordicchiando le mie povere unghia.

Non so nemmeno perché sono qui. Se dovevo parlare con Asher potevo benissimo andare a casa sua. Invece mi ritrovo davanti al cancello della villa di suo padre.

Quanto sono stupida! Non dovevo venire; cosa cavolo mi è saltato in mente? Il mio dito colpisce il citofono senza neanche accorgermene.

"No, no, no! Stupido dito!" impreco.

Incrocio le dita sperando che sia Asher a rispondere. Sono davvero, davvero, stupida.

Sento un lieve rumore provenire dal citofono, questo significa che qualcuno ha alzato la cornetta. Non so neanche perché devo parlare con Asher.

Mi sono diretta qui senza avere un motivo in particolare, e adesso so che è giunta l'ora del mio decesso.

Le mie speranze che fosse Asher svaniscono. È sempre una voce maschile a rispondermi, solo più profonda. Harry. È questo il nome del padre del ragazzo per cui sono qui.

"Ehm... salve, Harry. C'è Asher?" chiedo cercando di sembrare il più gentile possibile.

L'attesa mi sta letteralmente uccidendo, ma finalmente dopo lungo tempo mi degna di una risposta.

"Non so cosa tu voglia da mio figlio, ma devi stargli alla larga. Non hai una buona influenza su di lui. Adesso va via."

Interrompe la comunicazione prima che possa alzare un dito o dire una sola parola.

Ma che modi sono?! È stato scortese e poi, non sono una cattiva influenza per suo figlio! Forse è al contrario; perché mai dovrei influenzarlo in modo negativo?

A questo punto, decido di andare da Asher. Sapevo di non dover andare da suo padre.

Quando arrivo, senza neanche bisogno di bussare, la porta si apre, rivelando la figura di Asher vestita interamente in nero.

I capelli biondi gli ricadono scompigliatamente sulla fronte, nonostante siano sorretti da una bandana.

Indossa degli occhiali da sole, una giacca di pelle e dei jeans neri strappati. In una delle tasche del pantalone, c'è un oggetto, ma non riesco a capire di cosa si tratti.

Assottiglio gli occhi per metterlo a fuoco, ma non ci riesco proprio ad indentificarlo.

Mi squadra da capo a piedi, spargendo il fumo della sigaretta che porta in bocca.

"Posso aiutarti, Dover?"

Già mi spazientisco. "Ho un nome."

"Va bene, Dover", scherza rimanendo, però, serio.

Sembra di fretta, e lo posso notare da come si solleva sui talloni nervosamente.

Perché sono qui? Non c'è un motivo preciso, e adesso mi sento una sciocca.

Dopo aver fatto almeno due chilometri o anche più verso casa di suo padre, ora mi ritrovo qui a fare scena muta.

"Fammi passare", ordina stringendo il pugno libero.

Non lo ascolto e rimango ferma lì dove sono. "Dove vai?"

"Non ti interessa", risponde in tono piatto. Fa male sentirlo parlare così, ma suppongo di doverlo accettare.

In una frazione di secondo mi solleva, spostandomi dal suo cammino.

"Ehi, non si tratta così la gente!" sbraito come se fossi una bambina di sei anni.

"Eccome se posso. Lo sto facendo", ribatte dandomi le spalle e avviandosi nel giardinetto privato.

"Sei maleducato", sbuffo andandogli dietro.

Mr. Bad BoyWhere stories live. Discover now