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Asher

Ogni giorno soffoco ogni mio tipo di emozione, lasciando che l'oscurità si impossessi di me.

Rinchiudo tutto dentro e non permetto che nessun altro possa scoprire le cose orribili sul mio conto.

Perché mai dovrei lasciare che qualcuno entri nella mia testa? Non c'è niente di bello da vedere, tranne tanto, tanto, casino.

Mi alzo dal divanetto rosso in pelle e mi dirigo verso la finestra che apro, lasciandomi scompigliare i capelli da quest'aria leggera.

Estraggo dalla tasca dei jeans una sigaretta; l'accendo e la porto alle labbra, continuando ad ammirare il paesaggio che si presenta davanti ai miei occhi.

Devo scoprire ancora così tante cose... Non voglio fumare. Spengo la sigaretta e la lancio nel cestino, chiudo di poco gli occhi e cerco di tranquillizzarmi un attimo.

Ho bisogno di pace, di essere in pace con me stesso.

Il portone di metallo si apre, emettendo un rumore stridulo e fastidioso, che mi fa girare di scatto, risvegliandomi dai miei pensieri in questo stato di trance.

"Disturbo?" Damon si avvicina sorridendo leggermente. Mi chiedo come mai sorride, nonostante lui sa com'è e come si è ridotto, un po' come Chris e Tyler.

Nego scuotendo la testa. Vado a sedermi nuovamente sul divanetto rosso, incrociando le braccia al petto e accavallando una gamba sopra l'altra.

Lo guardo con attenzione mentre tiene dei fogli in mano e vedo come ogni tanto mi guarda di sottecchi.

"Allora, stiamo qui tutto il giorno o mi dici che succede?" lo incito a parlare.

Prende una sedia, girandola e appoggiandosi al tavolo di legno di quercia. Inarco un sopracciglio aspettando una sua risposta, o anche per capirci qualcosa.

"Si trova a Manhattan", dichiara.

Sto pensando che sia andato fuori di testa. Adesso lo odio ancora di più.

"Che giorno è?" gli chiedo alzandomi e raggiungendo la porta. La sua voce, un po' sorpresa dalla mia reazione, riecheggia nella stanza.

"Domenica, perché?" Non gli dò spiegazioni ed esco dall'edificio. Prendo la moto e lascio la fabbrica, dirigendomi a casa.

Alzo la visiera del casco, permettendo un'altra volta al vento di schiaffeggiarmi la faccia.

Vorrei che qualcuno mi desse uno schiaffo per farmi credere che tutto questo sia solo un brutto incubo.

Sento l'ira che cresce e ho bisogno di sfogarmi. Poco tempo più tardi sono davanti la palestra.

Parcheggio ed entro, andando subito verso il sacco da boxe. Infilo i guantoni e sposto velocemente i capelli dal viso.

Lo odio, lo odio, lo odio.

Colpisco il sacco, la catena lo trasporta avanti e indietro. Colpisco ancora e immagino che a posto dell'oggetto che sto picchiando ci sia mio padre.

Uno spacco al labbro, un pugno allo stomaco, un taglio al sopracciglio. Voglio vederlo cadere sotto ai miei occhi, deve soffrire come ha fatto soffrire me in tutti questi anni.

Che se ne vada all'inferno, e che ci resti per l'eternità. Deve pagare per quello che ha fatto e io mi sto solo immaginando la fine che deve fare.

Il sudore inizia a scorrere sotto forma di goccioline dalla fronte e nonostante le mani siano coperte e protette dai guantoni, cominciano a farmi male.

Mr. Bad BoyΌπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα