Capitolo 2

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«Ti rendi conto, Lila? E' da pazzi capisci? Lui che è tornato a New York, mia madre e la sua che vogliono a tutti i costi una storia tra noi. Ma siamo impazziti? E quell'umiliazione...oh mio Dio, Lila. Sono una donna distrutta, una donna in agonia. Nessuno può salvarmi.»
Sono passate due settimane da quello schifo di festa in mio onore e ancora non riesco ancora a riprendermi dalla più grande umiliazione della mia vita. Però non mi pento assolutamente di aver dato due ceffoni ben assestati a Sam, se li meritava eccome! Ma davvero volete sapere della mia umiliazione pubblica? Benissimo, ve la racconto.

«Capisco...» aveva detto Lila, mentre sorseggiava lo scotch.
Mandie sembrava ormai rassegnata difronte a un Sam deciso ad annullare questo fidanzamento da pazzi. Ma mia madre...beh, mia madre no! Lei era Emma Carter e non si arrendeva nemmeno difronte all'evidenza.
«Scusatemi un secondo...» aveva detto lei, mentre si dirigeva al centro della sala da pranzo, dove si trovavano almeno una cinquantina di invitati.
«Mamma, che vuoi fare?» Quello sguardo non prometteva niente di buono.
«Tranquilla Jen, lascia fare a me.» Era proprio questo il punto, lasciar fare a lei significava ogni volta: GUAI!
«Mamma, no!» Ma ormai era troppo tardi, la mia adorata mammina, stava annunciando davanti a tutti che io e Sam "oggi 21 Maggio 2016", ci saremmo fidanzati.
«...facciamo un bell'applauso ai futuri sposi!» Continuò lei, mentre tutti applaudivano festosi.
Io ero come in uno stato di transizione tra la vita e la morte. Sapevo che a breve avrei avuto un infarto. Non riuscii nemmeno a muovermi ed ero come paralizzata difronte a uno spettacolo così raccapricciante. Mi voltai appena per vedere Sam, che pareva aver ingoiato un bue sano e che gli fosse rimasto interamente sullo stomaco.
«Oh, oh. Mi sa che Emma stavolta ha davvero esagerato» provò a dire mio padre, mentre guardava le nostre facce sconvolte.
«Tu dici, Liam?» La voce di Lila era terribilmente sarcastica.
Mio padre ebbe la decenza di non dire nulla e come svegliato da un coma profondo, Sam si sistemò la sua giacca firmata Armani e blaterando un "ok, ora basta. Quando è troppo, è troppo", si diresse verso mia madre e si posizionò accanto a lei. Iniziò a parlare con il suo nuovo modo da avvocato «statemi a sentire, tutti quanti. Io e Jen non siamo fidanzati, non lo siamo stati e mai lo saremo. Perché io non la amo, le non ama me e quindi non possiamo sposarci...»
Le sue parole rimbombavano nelle mie orecchie, mi stava facendo male e poi perché mai sentire ciò, faceva male?
«...Jen non ha niente in comune con me» continuava lui «io sono un avvocato rispettabile. Lei invece pubblica libri, sognando ancora il vero amore. E' una sognatrice nata e ama Romeo e Giulietta, mentre io sono più per i fatti che per i sogni.» Mi stava umiliando ancora, esattamente come dieci anni prima. Ma stavolta era diverso, stava umiliando il mio lavoro per il quale i miei genitori e quelli di Lila avevano investito i risparmi di una vita, per poterci aprire la nostra casa editrice.
«No, stavolta non ti permetterò di umiliarmi!» Affermai.
Mandie e Lila si voltarono a guardarmi, mentre mi incamminavo a passo deciso verso di lui. Il suo monologo andò avanti ancora per poco, perché con tutta la furia che avevo in corpo mi avvicinai a lui e gli mollai il ceffone più potente che avessi mai mollato in tutta la mia vita.
I suoi occhi si spalancarono scioccati «questo è per quello che mi hai fatto dieci anni fa.» Subito gliene mollai un altro «e questo è per quello che mi hai fatto oggi!» Detto ciò, sotto il suo sguardo incredulo e di tutta la platea, mi diressi verso la porta.
«Lila, andiamo!» Dissi alla mia amica.
«Jen, aspetta Jen...» Sam mi chiamava, ma non mi voltai. Aveva oltrepassato il limite, mi aveva umiliata difronte a tanta gente e aveva parlato male del mio lavoro. Cazzo, nessuno parla male del mio lavoro!

E così, mentre Lila mi seguiva, mi lasciai alle spalle un Sam dolorante, gente confusa e l'umiliazione più grande di tutta la mia vita.

«Jen, smettila di lamentarti, ormai è passata. Ti sei vendicata con due ceffoni, anche potenti aggiungerei!» Sogghigna la mia amica continuando a parlare «quindi ora basta! Non telefonare a tua madre se ti fa stare meglio, ma torna in te. Abbiamo bisogno della vecchia Jen qui, questo posto non rende se tu hai sempre la testa fra le nuvole!»
Dopo il "giorno maledetto", così abbiamo deciso di chiamarlo io e Lila, non ho più voluto parlare con mia madre. Alle sue chiamate non rispondo e se mi contatta in ufficio appena sento la sua voce riattacco subito. Tutto questo è iniziato per colpa sua e ora deve pagarne le conseguenze.
«Buongiorno» ci saluta Terry la mia assistente, mentre entra nel mio ufficio. Che strano, non l'ho sentita nemmeno bussare. Lila ha ragione, devo smetterla di andare la testa fra le nuvole.
«Buongiorno Terry» la salutiamo in coro noi.
«Che succede?» Le chiedo.
«Jen, Paul Gorizia ha detto che sarà qui a momenti, perché non hai risposto alle sue email» Mi informa. Paul Gorizia è un uomo pressante, non passa giorno in cui non chiami o non mandi mail per la pubblicazione del suo romanzo.
«D'accordo, appena arriva fallo entrare» le dico e lei mimando un sì col cenno del capo, lascia il mio ufficio.
Guardo sbuffando Lila, mentre sorridendo e alzandosi dalla sedia dice «ti tocca amica. Comunque vado anch'io, ho del lavoro da sbrigare. A dopo, Jen»
«A dopo» la saluto ed esce.

(Non) Odio quando mi chiami Principessa #Wattys2017. (COMPLETATA)Where stories live. Discover now