Prologo - Il gelo nel cuore

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Portland – 16 gennaio 2007

«Belle?»

Steven si avvicinò a me lentamente, sapeva che ero arrabbiata con lui, ma lo ero principalmente con me stessa. Avevo creduto a delle bugie e una parte di me faticava ancora a staccarsi da quell'illusione, probabilmente perché la verità era troppo difficile da sopportare.

Per molto tempo avevo immaginato mio padre come l'eroe che era andato via di casa per salvare il mondo. E così per anni avevo atteso con ingenuità un suo ritorno, sperando un giorno d'incontrare il mio Superman personale. Spesso la sera mi ero ritrovata a pensarlo, ad avvertire la sua mancanza, mi ero chiesta dove fosse e perché non volesse tornare a casa da me e la mamma, ma adesso era tutto più chiaro: forse lui non mi amava, non abbastanza almeno.

Quel pensiero mi fece mancare il respiro e a un tratto qualcosa, come un pugno, mi colpì allo stomaco con irruenza. Respirai a fondo, spostando le mie attenzioni su Steven. Stava ancora aspettando una mia risposta.

«Belle, ti prego, dimmi qualcosa, qualsiasi cosa...»

Fissai gli occhi del mio migliore amico: erano molto chiari e le sfumature grigiastre gli conferivano il classico aspetto di un mare in burrasca. Era preoccupato, lo potevo intuire dalle sopracciglia che avevano assunto una piega strana tra la fronte e il naso ed erano curvate leggermente in basso. Conoscevo quell'espressione, l'avevo vista spuntare di frequente durante un rimprovero o una verifica a scuola. Era un mix tra l'angosciato e l'impaurito; forse aveva il timore di perdermi?

Feci un passo per raggiungerlo, ero nervosa, ma non riuscivo a detestarlo, gli volevo troppo bene e non era stato lui a raccontarmi quella menzogna. Rabbrividii un po' per il freddo e un po' perché non sapevo più a cosa credere e a chi dare ascolto: alle parole dei compagni di classe? O alla dolce bugia di mia madre?

Ma gli eroi non esistono...

Strinsi i denti per soffocare il pianto, per impedire alla fitta di trafiggermi di nuovo lo stomaco. Avevo paura, tanta, avevo paura di conoscere la verità. Una piccola vocina nella mia testa cercò di rispondere ai mille interrogativi che avevo e altri brividi di freddo percorsero il mio corpo impedendomi di restare immobile. Le gambe incominciarono a tremare e le lacrime mi annebbiarono la vista. Steven annullò le distanze e mi attirò a sé prontamente. L'attimo precedente mi ero sentita sull'orlo di un precipizio e l'attimo dopo ero crollata su di lui.

Lacrime salate bagnarono le mie labbra. Chissà, magari gli altri avevano ragione, mio padre mi aveva abbandonata, ma perché lo aveva fatto? Perché non mi voleva come figlia?
Il mio migliore amico, come se potesse udire quelle domande, mi abbracciò con maggiore intensità e lo lasciai fare. Percepii il peso che portavo dentro alleggerirsi, stava svanendo assieme alle poche sicurezze che ancora non si erano frantumate.

L'amore fraterno che univa me e Steven era reale, non una menzogna, questa era una delle rare certezze che possedevo. Mi voleva veramente bene e in quel momento, più che mai, me lo stava dimostrando.

Rimasi lì, legata a lui, con le sue braccia che mi cingevano, le mani che mi accarezzavano i capelli, la neve che scendeva fitta su di noi e quella consapevolezza amara che niente sarebbe stato più come prima.

La Ragazza che cuciva sogniWhere stories live. Discover now