Capitolo 15 - Prima Parte

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Come promesso, Kallup bussò alla porta prima dell'alba; così presto che Aran si era a malapena svegliato. Il Gallo d'Ebano riferì di aver ricevuto anche l'ordine di scortare Aran Allet e i giovani di Lud al Palazzo Ducale; ma non aggiunse altro. Aran passò uno per uno gli amici con lo sguardo, le loro espressioni erano colme di timore. Sapeva di essere il punto d'appoggio dell'intero gruppo, la decisione sarebbe spettata a lui. E scelse di attendere e lasciar fare a Hyon.

Questi acconsentì, a condizione che Cora fosse rimasto in casa a tenergli compagnia; un valido compromesso che andò bene al comandante amanastriano.

Lasciarono la casa del maestro pieni di dubbi e con lo sguardo attento a cercare tracce dei soldati del Kharzan.

«Dovete aprire bocca solo se interpellati, il Duca tiene molto all'etichetta» disse Kallup per la strada. Aran mandò un ultimo sguardo all'abitazione del maestro. Cora li stava osservando dalla finestra. Gli fece un cenno d'intesa che l'amico ricambiò. Perché l'avevano lasciato lì? Non lo capiva e la cosa gli piaceva ancor meno di questo incontro con il Duca. Rimase su di lui fino a quando non svoltarono l'angolo e si addentrarono nella nebbia mattutina dalle tinte perlacee. Il cielo era denso di nuvole grigiastre provenienti da est.

Arrivati in piazza, Aran notò subito Vega e dei suoi uomini in alta uniforme. Era come se li stesse aspettando, dritto come un manico di scopa, parlava con i suoi subordinati senza scomporsi. Il ragazzo richiamò l'attenzione di Camiel. «Sono già arrivati» disse e indicò il Capitano.

Il guerriero si voltò, i pugni stretti. «Li vedo...»

Il giovane Allet serrò la mascella e inspirò con vigore.

«Quell'uomo era a Lud. Discuteva con tuo padre prima dell'attacco» sussurrò Camiel. Il Capitano ricambiò le loro attenzioni con un sorrisetto che sapeva di falso.

Kallup e Camiel proseguirono diritti all'ingresso. Aran li seguì e, quando fu vicino al kharzaniano, assunse un'espressione di sfida.

Superarono il Goliath a forma di cavaliere e passarono sotto l'alto e pesante portone principale. Una camminata che continuò lungo un chiostro coperto. Fez rallentò con il naso all'insù. Aran alzò il capo e capì le motivazioni dell'amico. Il soffitto a volta era affrescato con raffigurazioni di fanciulle danzanti, infanti festosi e guerrieri armati che si susseguivano tra le rotonde finestre colorate.

«At-tenti!» urlò uno dei lancieri poco distante. Il manipolo di militari in armatura si aprì per lasciare libera la strada al loro comandante. A guardia della sala del trono, tra le dinamiche statue di marmo sotto il colonnato, due si ergevano maestose a fissare il vuoto. Entrambe brandivano un rotolo e una bilancia.

In mezzo a una decina di uomini ben vestiti, un valletto mingherlino, con in testa uno strano cappello sgonfio, aveva il capo piegato su un foglio di pergamena. Si schiarì la voce e disse: «Il Duca Valiante VI Stassor, a seguito dell'incontro mattutino ha emesso i seguenti prezzi in coda all'elenco di ieri.» Indicò una riga. «Sette sacchi di grano per un barile di vino della piana, un pugno d'oro per un cavallo e un braccio d'argento.» Tossì e sistemò il cappello. «I dazi, fino alla prossima luna, sono cinque parti di cento per ogni scambio al porto e sette parti di cento all'interno delle mura.» Gli uomini che lo circondavano scrissero alcuni appunti su dei fogli e corsero via. Il valletto alzò gli occhi. Li spalancò verso Kallup Yazzan a pochi passi da lui e ordinò con voce stridula di aprire la porta della sala.

I ragazzi entrarono in rigoroso silenzio, in fila, con Fez nascosto dietro Camiel. Marmorel prese la mano di Aran e lui smorzò un sorriso. «Sta tranquilla» le disse. Sperava che per una volta funzionasse davvero. Lei annuì e prese un respiro profondo.

Aran mosse un altro passo in avanti, verso la ripida scalinata che portava al trono. L'oro e l'argento che lo decoravano erano in contrasto con l'abito rosso e porpora del Duca. L'uomo non faceva certo mistero della sua ricchezza, almeno a giudicare dalla quantità di anelli che adornavano le dita pallide e grassocce appena fuori le maniche sfrangiate. La corona non era da meno, con decorazioni cesellate e incastonate di pietre preziose a formare l'aquila bicefala. Il regnante passò lo sguardo pigro su ognuno degli ospiti e sorrise.

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