«Pensi che le cose si sistemeranno?» domandò, dopo svariati minuti di silenzio. «Le cose tra Moe e Mike, intendo.»

Io sospirai profondamente, grata che avesse rotto quel silenzio carico di imbarazzo, ed alzai le spalle. «Lei non è ancora tornata qui piangendo, quindi suppongo di sì.» annuii, voltandomi verso di lui e trovando i suoi occhi già fissi sul mio viso. «Grazie per avermi aiutata con questa cosa.» sussurrai dopo qualche altro secondo, rivolgendogli un piccolo sorriso.

«Ehi, Mike è il mio migliore amico.» sorrise a sua volta, in modo decisamente più sentito di quanto avessi fatto io. «Proprio come Moe è la tua migliore amica. Mi ha fatto piacere.»

Nell'ennesimo silenzio che seguì quelle parole, continuai a spiare Luke con la coda dell'occhio e lo vidi aprire e richiudere la bocca un paio di volte. Ma alla fine nulla uscì dalle sue labbra, e io mi ritrovai a sperare che invece avesse detto qualcosa.

«Non mi hai ancora spiegato perché l'Italia.» sussurrai allora io, spostandomi verso la testiera del letto e poggiandovi la schiena. «Vi sareste esibiti nel Regno Unito tra due mesi e non penso che avrebbe fatto qualche differenza nei sentimenti di quei due.» alzai le spalle e scossi brevemente la testa, poi rimasi in silenzio per qualche istante, incerta se aggiungere o no ciò che mi stava frullando per la testa. «E... E grazie per aver pagato l'albergo e il volo, ti ridarò i soldi al più presto.» sussurrai infine, abbassando lo sguardo.

«Non voglio indietro i soldi, Jenna.» sorrise brevemente, spostandosi a sua volta e sistemandosi non lontano da me. «È in assoluto il modo migliore in cui potessi spendere il mio primo stipendio.» aggiunse, guardandomi con occhi carichi di sincerità.

Gli rivolsi il primo sorriso genuino da quando era entrato nella stanza e ricambiai il suo sguardo con la stessa intensità. «Grazie.»

L'ennesimo silenzio scese tra di noi e nessuno dei due accennò a voler spostare gli occhi dal viso dell'altro. Non avevo mai odiato nessuno quanto avevo odiato lui, non avevo mai sofferto così tanto a causa di una persona prima che lui entrasse nella mia vita e non avevo mai sentito la mancanza di qualcuno che mi aveva fatta sentire come mi aveva fatta sentire lui. Eppure Luke Hemmings mi era mancato e, nonostante tutto quello che avevamo passato, in fondo ero felice che ora fosse lì con me.

«Non mi hai ancora detto perché l'Italia.» gli ricordai, tornando a sorridere brevemente.

«Oh, giusto!» esclamò lui, balzando giù dal letto e mettendosi a frugare nella custodia della sua chitarra. Tornò a sedersi accanto a me soltanto pochi minuti dopo, ma non mi permise di vedere cosa avesse nella mano sinistra, tenendola accuratamente nascosta dietro la schiena. «Sai cosa c'è a Milano?» domandò a quel punto, rivolgendomi un sorrisetto entusiasta.

«Un sacco di nebbia?» azzardai io, corrugando le sopracciglia e guardandolo come se fosse impazzito. Non ricordavo di preciso dove avessi letto quella cosa della nebbia - e non ero nemmeno sicura di aver azzeccato la città -, ma era la prima cosa che mi era venuta in mente.

Lui mi rivolse uno sguardo sconcertato. «Ora che mi ci fai pensare, sì, in effetti c'è un sacco di nebbia.» annuì, mantenendo la sua espressione stupita. «Ma non era quello che intendevo io.» riprese il suo sorriso entusiasta, simile a quello di un bambino la mattina di Natale, quando non vede l'ora di poter aprire tutti quegli scintillanti pacchetti presenti sotto l'albero.

«Illuminami, microcefalo, cosa c'è a Milano?» sospirai, scuotendo brevemente la testa.

«Sul serio, siamo tornati al microcefalo?» si rabbuiò, lanciandomi un'occhiata truce.

«Oh, non ho mai smesso di chiamarti così.» gli rivolsi un sorriso sarcastico, e in tutta risposta ottenni un basso grugnito. «Continuo a pensare che ti si addica.» questa volta il mio tono fu più gentile e genuinamente divertito.

Shiver || Michael CliffordWhere stories live. Discover now