Capitolo 2 - Prima Parte

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Lui lasciò cadere il cucchiaio sul tavolo. S'irrigidì e la fissò con aria di sfida. «"Non partirò", un corno! Ho preso un impegno e andrò a Clodia, che lei lo voglia o no!» Sbatté i pugni sul tavolo.

«Se ti accadesse qualcosa? Se dovessi sentirti di nuovo male?»

Cora si tastò il petto, l'addome e la spalla. Allargò le braccia. «Non ho nulla, vede?» Saltellò sul posto. «NULLA!»

Elidana entrò come un treno in corsa. «Non ti permetto di gridarle in questo modo!»

«Fatti gli affaracci tuoi! Sempre a immischiarti!» abbaiò Cora d'impulso.

«Ci vivo anch'io in questa casa! Certo che sono affari miei! Da quando ti conosco non sembri cresciuto minimamente. L'altro giorno tu e quello stupido siete saliti sulla torre dell'orologio di Lud per rubare una lancetta! Dico una lancetta! E adesso questo!»

Cora fece una smorfia. «Ma era solo uno scherzo, l'abbiamo rimessa al suo posto.»

«Sei un incosciente e più continui a farti coinvolgere da Aran più perderai di vista le cose che contano.» Elidana era infervorata e, a ogni sua risposta, la signora Flint annuiva con sollecitudine.

«Beh, sapete una cosa?» interruppe Cora. «Nessuna di voi due è mia madre!» Mantenne per qualche secondo un volto di sfida. Lo sguardo minaccioso era tutto per la signora Flint. Afferrò un altro biscotto e si voltò verso l'ingresso. «Io parto per Clodia. Fatevene una ragione!» Odiava quei momenti: le occasioni in cui quella donna ed Elidana facevano fronte comune contro di lui lo facevano sentire solo. Nessuno lo avrebbe difeso in quella casa.

«Sei solo un maledetto stupido!» urlò Elidana attraverso le stanze.

Cora sbatté la porta d'ingresso e prese a camminare per il tratto che separava l'orfanotrofio dalla porta ovest di Lud. Strappò un filo di grano e lo mise in bocca. Masticò l'estremità, infilò le mani in tasca e riprese la strada. Pochi passi rabbiosi e si era già scordato della lite. La sua mente venne rapita da altri pensieri.

Era sparito tra le radici del Grande Jalme e aveva dormito un giorno intero. Ma non sentiva alcun dolore, né aveva mal di testa: stava bene. «Che cosa hanno da preoccuparsi?» disse ad alta voce.

In città, bussò con calma alla porta del negozio degli Shadid. «Si può? Sono Cora.» Entrò senza aspettare risposta.

Fez indossava degli abiti sporchi e un triangolo di stoffa legato sul capo. Era impegnato a pulire il bancone.

Cora tossì: l'odore di vecchio e stantio alimentato dallo spolverare le cianfrusaglie sparpagliate in giro gli era penetrato in gola.

Non appena lo vide, Fez ripose la cornice di un quadro e gli si avvicinò con un sorriso. «Sapevo che ti saresti svegliato!» disse entusiasta.

Cora lo tenne a distanza: con l'amico avrebbe dovuto abbracciare anche la nube al suo seguito. «Sto benissimo, ma la signora Flint ha messo in scena una delle sue sfuriate» disse e andò ad aprire le finestre per far arieggiare la stanza.

«Ci siamo presi un grosso spavento!» esclamò Fez.

«Non ho nulla di rotto, ti ripeto, sto bene.» Cora si sedette sulla poltrona di velluto. «Quindi Aran ha fatto lo scambio? Abbiamo l'oro?» domandò ansioso.

Fez sorrise a metà. «Sì. Ieri mattina Aran ha fatto lo scambio.» Il ragazzo, sull'uscio, si tolse di dosso la maggior parte della polvere, «Ha detto che se avessimo saltato il viaggio per colpa tua non te lo saresti mai perdonato.»

«Ha detto bene. Tu hai visto le monete?»

«Non ancora.» Fez chiuse la porta e si avvicinò alla poltrona. Si tolse il triangolo di stoffa e lo strofinò con entrambe le mani.

«Perché quel muso lungo? Pensa a chi sarà con noi per tutta l'estate.»

Fez iniziò a respirare rapidamente. Cora aveva appena smosso acque misteriose, ma non riusciva davvero a figurarsi Fez e Marmorel insieme. «Andiamo a trovare Aran. Magari ha informazioni sulla partenza.» Si alzò dalla sedia. «Ma prima datti una sistemata.»

Fez annuì e salì al piano superiore. Ritornò dopo pochi minuti pronto a fare la lunga passeggiata. Chiuse a chiave il negozio e lasciò ben in vista un cartello sbiadito con su scritto "Torno Subito".

Durante il tragitto parlarono a lungo dei partecipanti alla manifestazione di Edel, del fatto di dover vivere tutti sotto lo stesso tetto per un periodo così lungo. Con la scusa del Gran Premio, Cora non aveva bisogno di nascondere l'entusiasmo per quel viaggio e l'idea di conoscere la capitale kharzaniana che riempivano i suoi pensieri.

«Senti, Cora, devo chiederti una cosa» sussurrò Fez, in mano il bullone luccicante.

«Dimmi.»

«Beh, saremo io, tu, Aran e Marmorel» borbottò.

«Quindi?»

«Secondo te, è una buona occasione per farmi notare?»

Cora portò una mano alla nuca. «Ti consiglio di andarci piano. Marmorel è un po' strana. Non vorrei che magari ci restassi male.»

«È perché sono z-zalesiano? Perché ho questo colore di pelle?» chiese Fez.

Cora gli diede una leggera spinta. «Stai scherzando, vero? Pensi che Marmorel possa pensare una cosa del genere?» Forzò una risatina. «È solo che siete molto amici... tutto qui.» Il problema di Fez, pensò Cora, era che anche Aran sarebbe partito con loro e Marmorel avrebbe scalato una montagna a mani nude pur di stare con lui.

Fez annuì, ma senza la giusta convinzione. Superarono il traffico dei mercanti e oltrepassarono la porta est per risalire lungo il sentiero che costeggiava le mura.

Svoltarono per un calmo e soleggiato viale alberato, una strada maestosa e solitaria allo stesso tempo, fatta di spesse querce disposte a intervalli regolari. Sullo sfondo, incorniciata dalle fronde della vegetazione, si innalzava una struttura in mattoni. Una villa con decine di finestre distribuite su due piani. Una costruzione ben definita che sovrastava il giardino curato e rigoglioso.

Superarono la guardiola appena dentro il perimetro recintato. Salutarono il custode in giacca scura e berretto. Questi ricambiò e li lasciò proseguire in tranquillità.

«Non capisco perché Aran non abbia chiesto l'oro alla sua famiglia» borbottò Fez.

«Avrà i suoi motivi. Mi ha confidato che ultimamente non va molto d'accordo con suo padre.» Cora si avvicinò all'ingresso in legno scuro su cui spiccava la "A", blasone degli Allet. Prese in mano il battiporta di ferro e colpì più volte.

Udirono dei piccoli passi e una donna in grembiule bianco aprì la porta. «Salve ragazzi!» esclamò lei con gaudio.

«Ciao, Katia. Aran è in casa?» domandò Cora, gettando uno sguardo all'interno.

Lei li invitò a entrare. «State pianificando qualche altra peripezia?» domandò in tono di complicità.

«No, macché,» sghignazzò Cora, «sono solo iniziate le vacanze.»

Salite le scale, passarono accanto a pareti ricolme di quadri antichi e oggetti da collezione tirati di lustro fino, ritratti di famiglia e grandi arazzi con scene di guerra risalenti all'unificazione del paese.

Di una cosa Cora era sicuro: gli Allet erano la famiglia più ricca di Lud. Generazioni di mercanti e politici che finanziavano intere carovane per tutto il continente e Aran era l'ultimo erede di un glorioso passato. C'era una storiella che veniva raccontata spesso in città e parlava di quando, dopo un inverno più lungo del solito, il signor Allet avesse rifornito Lud di farina per un intero mese e senza chiedere alcun compenso.

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