25. Ribelle.

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《Andiamo Jas, siamo in ritardo!》
《Sto arrivando, sta calma》
La fissai accigliata dall'alto al basso.《Era davvero necessario indossare anche i tacchi? Come se non fossimo già abbastanza incasinate...》
《Mi dispiace ma io ci tengo molto alla mia immagine.》 Cercò di allungare il passo barcollando leggermente mentre il ritmico ticchettio dei suoi tacchi mi seguiva.
Dopo aver eseguito il ceck-in salimmo a bordo e prendemmo posto tirando un forte sospiro di sollievo.
Il tempo sul veicolo passò più in fretta di quando mi fossi aspettata. L'euforia che provava Jasmine era contagiosa, tanto da renderla alquanto logorroica devo ammettere. Ma infondo non mi dispiaceva poi così tanto. Restavo ad ascoltarla in silenzio, la sua figura che continuava a muoversi e gesticolare, emozionata per la sua nuova avventura. Il suo sorriso che si illuminava mentre le nuvole ed i panorami di fuori dell'oblò le facevano da sfondo.
Regole su regole da rispettare tra noi, ma probabilmente il mio cuore era un ribelle. Più il tempo passava, più prendevo consapevolezza di quanto fosse riuscita a scardinare ogni mia rigida teoria. Da quando avevamo smesso di darci il permesso di essere così fortemente a contatto, avevo iniziato a sentire la sua mancanza. Poteva essere lontana miglia oppure li, a pochi centimetri da me, ma non sarebbe mai stata abbastanza vicina. Mi ero vietata di perdere la testa per lei, ma non avevo la minima voglia di starle lontana. Forse era un atteggiamento un po' masochistico, ma negli ultimi tempi, quando si parlava di lei, tutta la mia lucidità svaniva immediatamente. Dall'altra parte però c'era Sonia, ed il mio sesto senso continuava a suggerirmi di stare allerta, perché ben presto le distanze fisiche tra me e lei si sarebbero ridotte di diversi chilometri. Maledetta me, ed il mio ostinato desiderio di controllare ogni mia singola emozione. Che poi puntualmente accadeva sempre che le mie emozioni si ribellassero a me, proprio come il mio cuore, ed un attimo dopo mi ritrovavo a farmi guerra da sola. Un po' di semplicità non mi avrebbe di certo fatto male, ma qualcuno dall'alto voleva che io indossassi una corazza e lottassi contro qualcosa, sempre. Eppure io che non avrei fatto mai del male ad una mosca, di battaglie ne avevo vinte tante, ed erano proprio quelle a darmi la forza per andare avanti.

Assorta tra questi pensieri i miei occhi si chiusero lasciandomi cadere in un leggero ma rigenerante sonno, sulla spalla della bruna che sorseggiava un bicchiere di Scotch con ghiaccio.
Dicono che piccole dosi d'alcol possano essere un rimedio all'ansia, ma per sedare un po' Jasmine, ne sarebbero serviti diversi litri.
Un ora e mezzo dopo giungemmo a destinazione nell'immenso aeroporto di Roma, dove non troppo interessato, scorgemmo la figura di mio padre accanto alla vecchia berlina di famiglia.
Caricammo in fretta i bagagli e ci immergemmo nel traffico della città. Dopo più di un'ora raggiungemmo il trastevere, dove il grande condominio color pesca catturò la mia attenzione.
《Eccoci a casa!》esclamai, pur consapevole che ormai la mia reale casa si trovasse altrove.
L'ascensore ci condusse al terzo piano dove il profumo di muschio bianco mi mi fece subito avvertire l'accogliente aria di quell'ampio appartamento perfettamente ordinato come solo una pignola come mia madre avrebbe saputo fare. Ecco da chi avevo preso.
Lei era alle prese con una telefonata apparentemente importante dal modo in cui urlava e sbraitava. Appena il suo sguardo si posò su di noi, una leggera espressione stupita si fece largo sul suo volto distraendola dalla sua conversazione. Porse in fretta i suoi saluti al destinatario e ci salutò con un gesto non troppo caloroso, poi tirò un sospiro di sollievo.《Era il fioraio, abbiamo avuto qualche problema con gli addobbi per la messa di domani》ci comunicò. Poi la sua visuale si posò sull'altra ragazza.《Lei chi è?》mi chiese. Può mai un tono di voce avere un retrogusto amaro?
《Un'amica di Andrea, che accoglieremo volentieri! No tesoro?》si intromise mio padre sfoggiando un sorriso palesemente falso.
Ancheggiando diffidente sui tacchi mia madre si fece spazio all'interno dell'appartamento annuendo e mostrando a Jasmine la stanza degli ospiti.
《Ci penso io a tenerla a bada》mi rassicurò mio padre con una pacca sulla spalla.
La mia stanza era rimasta esattamente come l'avevo lasciata. Mancavano solamente i miei innumerevoli libri sulle mensole ed i capi nell'armadio. Ammisi che quelle pareti calde e colorate mi erano mancate parecchio. Mi sentivo bene tra i colori, mi affascinavano le immagini, mi aiutavano a distorcere la realtà, a renderla migliore. Ecco cos'era l'arte per me: il tentativo di migliorare il mondo. Dopo aver contemplato la mia stanza per bene, raggiunsi Jasmine nella sua, due porte dopo la mia.
《Posso fumare qui, vero?》mi chiese accendendo la fiamma sulla punta della sigaretta senza aspettare risposta.《La prossima volta evita anche di chiedere se decidi di fare di testa tua in ogni caso.》Mi lanciai pesantemente sul letto, mentre le sue spalle si sollevavano disinteressate.《Perché non so nulla della tua famiglia?》le chiesi affondando la testa nel cuscino.《Perché probabilmente non ne so nulla nemmeno io.》
Sgranai gli occhi cercando d'elaborare.《Sono andata a vivere da sola già all'età di sedici anni, a diciotto i miei si sono trasferiti a Marrakech ed attualmente ci sentiamo una volta all'anno, non di più.》
《Wow!》esclamai,《È...triste.》《È la vita...》ribattè lei,《io sopravvivo da sola e mi sta bene così.》
Sorrisi. In qualche modo ritenevo dolce quel suo atteggiamento da dura. Mi sollevai e le lasciai una carezza tra i capelli.
《Farò in modo che tu ti senta a casa.》

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