1. Voglio tornare in me.

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Mi scordai chi ero, cos'ero e perchè.

Lei non c'era, di questo ne ero sicura, e neppure desideravo più che ci fosse.

Il problema è che aveva portato con se troppo, aveva portato con se anche buona parte di me.

Io per me non c'ero mai stata, io c'ero solo per lei.

Faceva male e faceva bene.

Faceva male l'attesa di tornare a sentire, il petto che pulsava, le gambe che tremavano, il cuore riempirsi.

Faceva bene il non sentirsi più in una gabbia chiusa, ma nonostante fosse aperta, io non volevo più uscirne.

Non mi conoscevo, non sapevo chi io fossi, sapevo però dove fossi...

ero fuori.

Si, io ero fuori, fuori da tutto, da tutti. Vedevo il mondo come attraverso un fitto strato di nebbia, come se non fossi io, fuori dal mio corpo, fuori dalla mia vita.
"Apatica" era la parola con cui venivo descritta più spesso da un po' di tempo, e tale mi sentivo in quel periodo. Non ero felice e neppure triste, non amavo e non odiavo, non avevo paura e non usufruivo del mio coraggio.
Priva di emozioni, lo ero diventata da quando tutto l'amore che provavo per lei era svanito, da quando non provavo più quella irrefrenabile voglia di stringerla, di parlare ore ed ore, da quando il suo nome non catturava più la mia attenzione, non mi causava più quei maledetti tanto quanto magnifici brividi lungo la schiena.
《Sonia》provai a ripeterlo a voce alta, ma niente, nessuna reazione.
La verità era che mi mancava, non lei, ma ciò che riusciva a farmi provare, il modo in cui riusciva a tirar fuori il meglio di me, i baci così passionali da farmi sentire le farfalle allo stomaco, le notti d'amore, quello vero, quello da fuochi d'artificio, quello che ti svegli la mattina e ti chiedi se sia stato tutto un fantastico sogno.
Una relazione durata ben quattro anni, seppur tra i nostri tira e molla, tra le nostre violente litigate che terminavano con del sano sesso riparatore. Durante l'ultimo anno della nostra relazione le cose erano degenerate, fino a farci mollare, seppur inseguendoci, provocandoci, facendo stupide scenate di gelosia, passando intere notti al telefono tra i singhiozzi per dirci che ci mancavamo, frequentando altra gente solo per ripicca, nonostante fosse così nitido che qualcosa ci fosse ancora tra di noi, qualcosa che da parte mia, scomparì nel nulla quando non la vidi presente al funerale del mio unico fratello.
I miei genitori avevano deciso di pagarmi delle sedute da uno psicologo, sperando che fossi riuscita a superare la sua morte più in fretta, e funzionò. La cosa sinceramente non mi dispiaceva, non mi sentivo pazza. In quel periodo della mia vita, Matteo Villace, il mio affascinante terapeuta, sembrava essere il mio unico confidente. Seppure fossi consapevole del fatto che fosse solo il suo lavoro, mi veniva più spontaneo far riferimento a lui come un amico; lui la chiamava "alleanza terapeutica". Aveva trent'anni, un età perfetta: grande, maturo e vaccinato, ma non tanto quanto un autorevole uomo di mezza età. Non saprei ben spiegare il motivo, ma non ero mai riuscita ad aprirmi molto con qualcuno che avesse più di vent'anni di me, forse per il sentirmi così piccola ed insicura al loro cospetto, per il sentirmi così tanto in soggezione. Quel giorno di metà luglio ne approfittai per parlargli appunto di lei. Volevo capire perché, con la sua assenza, per me fosse diventato assente anche il resto del mondo.
《Per sapere come comportarti, devi saper riconoscere le tue emozioni! Avanti, prova a pensarci, cosa ti fa scaturire lei? Come ti senti?》Le sue mani si unirono mentre distrattamente guardava il soffitto e si dondolava sulla sedia da ufficio su cui era seduto.
Poggiai i gomiti sulla scrivania in legno che ci divideva sbuffando:《Delusa, immagino.》
《Oh, ma "delusa" è troppo sintetico, vai più a fondo, Andrea, sei una ragazza così brillante!》Le lusinghe erano davvero il suo forte.
Continuai incessantemente a pensare ad una definizione per ciò che stavo provando, ma nulla.
Dopo alcuni secondi di silenzio lui prese iniziativa.

《Se posso aiutarti, vorrei azzardare con un parolone, ma tu naturalmente, minimizzalo in modo da farlo aderire alla situazione.》

Lo fissai attendendo ansiosamente la continua.

《Tradimento.》

Socchiusi le labbra.

《Può essere che tu ti sia sentita in qualche modo tradita, no?》

《Si》affermai.

《Bene, e cosa hai intenzione di fare a riguardo? Vuoi rimurginarci a lungo?》

《Voglio tornare in me.》

《Non ci riuscirai mai se non ti metti alla prova.》

《Lo farò, devo farlo.》

《No, Andrea, devi dirti che lo vuoi. Dillo a te stessa, parlati come se stessi parlando con l'amica più preziosa che hai!》

《Voglio farlo!》

Sorrise, soddisfatto:《È l'atteggiamento giusto.》
Uscii dal suo studio lasciando il denaro sulla scrivania. Ogni volta mi chiedevo il perché lo lasciasse li dove lo poggiavo, senza intascarlo fin quando non fossi uscita dalla stanza.
"Sarà qualcun'altro dei suoi metodi da strizza cervelli" mi dissi mentre aspettavo il bus per tornare a casa.
Appena entrai nella mia stanza fissai intensamente la foto di mio fratello incorniciata e posta sulla mensola più alta. Mi si formò un nodo in gola, un insopportabile nodo in gola che più che in quel momento non avevo mai desiderato di strapparmi.
Nulla più mi tratteneva, non la mia famiglia, non un lavoro, ne un amore. Ero libera e neppure lo sapevo, forse perché non l'avevo mai desiderato prima di allora.
Così, trasportata da un attimo di vuoto, un momento di puro istinto, digitai il numero dell'unica persona che mi era rimasta accanto per tutto quel tempo.

《Pronto, Sarah, come stai?》

Sarah Marie Accinni, fedele compagna di richiami dal preside ai tempi non troppo lontani del liceo scientifico. Stava per partire per Londra, la mia città natale, ed in cui avevo vissuto fino all'età di dodici anni.
Ricordai che quella città era stata il nostro primo argomento di discussione.
Era così, tra i miei compagni non ero Andrea, ero "la mezza Londinese".
Sarah desiderava così arditamente studiare li fin da quando era una ragazzina, e finalmente stava per coronare il suo sogno.

《Andrea, ma allora sei ancora viva! Io sto molto bene, un po' ansiosa per la partenza, ma ne varrá la pena!》

《Perfetto, a proposito di questo, hai detto di aver bisogno di una coinquilina, giusto?》

《Bè, si.》

《Ne hai appena trovata una.》

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