CAPITOLO 14

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Memories of a stolen place
Caught in the silence
An echo lost in space
Dean Lewis – Waves

Kristen oggi

Ho convinto Ana e Roxy a portarmi a fare un giro per la capitale inglese, prima della mia seduta di fisioterapia. La convalescenza e la guarigione si stanno rivelando più ardue del previsto. Muovo appena gli arti inferiori e mi sento costantemente debole e sfatta. Quando mi concentro troppo, la testa mi pulsa incessantemente. Tutti i farmaci che prendo migliorano
momentaneamente le mie condizioni ma appena l'effetto svanisce tutti i dolori tornano prepotentemente a darmi fastidio.

«Tempo al tempo», mi dice sempre il dottor Stuart.

Ma io di tempo ne ho già perso troppo, non mi va di non sfruttare ogni secondo di ogni giorno. Sono diventata impaziente e non riesco a stare ferma in uno stesso posto per più di un'ora, nonostante le mie condizioni.

Fortunatamente, le mie amiche e Drew non mi lasciano mai sola e si alternano per portarmi in giro e alle diverse visite. Presto credo che incontrerò anche i miei altri compagni di università, con la speranza che tra loro ci sia anche questo fantomatico Damian Evans.

Dire che è stato un pensiero costante di questi giorni è dire poco. Ho cercato di trovarlo in tutti i modi possibili ed immaginabili. Ho solo scoperto che è nato l'8 febbraio perché ho segnato la sua data di compleanno sulla mia agenda con accanto la frase di una canzone di James Arthur, I Am. Ho scritto il verso: I'm the end, I'm the beginning, the apocalypse.

Può voler dire milioni di cose e può non significare nulla. Ho anche provato ad ascoltarla più e più volte per vedere se scatenasse qualcosa nella parte buia della mia memoria, ma è stato tutto vano.

«Dove ti va di andare?» chiede Roxanne mentre spinge la sedia a rotelle fuori dalla stazione di Oxford Circus. Diciamo che questo giro è solo un pretesto per cercare di passare davanti a quel locale di cui mi hanno parlato la scorsa volta, il Roll's. C'è una sorta di attrazione magnetica verso quel posto e voglio sapere perché, magari potrebbe tornarmi utile dargli anche solo una sbirciatina.

«Andiamo verso Regent Street, vorrei fare un po' di shopping. Molti dei miei vestiti non mi piacciono e altri non mi vanno.»

La verità è che ho cambiato totalmente stile rispetto a quello che ricordavo e adesso non mi so più vedere con determinati capi di abbigliamento. Le mie amiche storcono il naso alla mia richiesta, ma non mi contraddicono e ci avviamo verso la nostra meta.

Provare i vestiti quando non si ha l'uso delle gambe, non è un'impresa affatto facile; infatti, dopo i primi due negozi sono già stremata. Passiamo un paio di volte davanti al vicolo in cui credo sia il Roll's e le mie amiche, furbamente, accelerano il passo ogni volta, dandomene la certezza.

Devo trovare un modo per seminarle.

«Andiamo da Costa?» propongo.

Non se lo fanno ripetere due volte ed entriamo nel primo che troviamo. Mentre Ana va a prendere i nostri cappuccini e Roxy va in bagno, è il momento perfetto per scappare. Comincio a muovere le ruote il più velocemente possibile, facendomi male alle mani per la troppa forza. Non mi importa, tuttavia, perché la mia meta è dietro l'angolo.

Quando sono davanti alla porta, rimango completamente imbambolata. Lo osservo, cogliendone ogni piccolo dettaglio. Dalla fantasia a scacchi che ricopre le pareti, all'alternarsi del bianco e del rosso, passando per i camerieri sui pattini. Mi avvicino ancora un po' per guardare meglio oltre la vetrata, fino a quando non vengo distratta dal rumore della porta che si apre e si chiude, provocando il suono di una campanella.

Mi volto verso il ragazzo alto e moro che sta uscendo dal locale. È girato di spalle e non si accorge di me, mentre io seguo ogni suo movimento. È vestito tutto di nero da capo a piedi tranne per il cappotto color cammello.

Quando si gira, mi paralizzo. I suoi occhi mi scrutano curiosi e sorpresi. Un leggero sorriso si allarga piano piano, rivelando una dentatura perfetta e smagliante. I capelli gli ricadono disordinatamente sulla fronte, ma ad attirare particolarmente la mia attenzione sono gli anelli grossi e pesanti che adornano la maggior parte delle sue dita. Quando fa qualche passo verso di me e si abbassa alla mia altezza, smetto completamente di respirare.

«Che ci fai qui?» mi domanda in maniera fin troppo confidenziale.

«Ci conosciamo?» chiedo perplessa.

Il sorrisetto che aveva scompare e lo sento sussurrare: «Allora è vero.»

«Cosa?»

Lui si ridesta subito e torna a sorridermi, chiedendomi: «Ti sei persa?»

«No, ehm... io cercavo proprio questo posto.»

«Come mai?» chiede troppo curioso, facendomi domandare il perché si sia fermato a parlare con me.

«Credo che ci sia una persona che conosco che lavora qui», gli rispondo rimanendo vaga.

«Dimmi il nome. Potrei conoscerla, sono un cliente abituale», si propone gentilmente.

Effettivamente non so chi sto cercando. Anche se lo vedessi non lo riconoscerei. Non so se lavora qui, o proprio come questo ragazzo, è un cliente.

«Damian Evans», tento la fortuna.

I suoi occhi si allargano, perde quasi l'equilibrio alla mia rivelazione e la sua reazione mi stranisce.

«Mi dispiace – rindossa la maschera dell'indifferenza – non credo lavori qui. Non conosco nessuno con quel nome.»

Qualcosa mi dice che sta mentendo, ma non ne comprendo il motivo. È un estraneo che motivo avrebbe di non dirmi la verità?

«Ad ogni modo – tende la mano verso di me – Io sono Edward.»

La guardo per un po', prima di stringerla, ma quando lo faccio il mio corpo ha una strana reazione e percepisco uno strano formicolio.

«Kristen.»

«È stato un piacere conoscerti, se passi di nuovo da qui, magari mangiamo qualcosa insieme», mi propone, non lasciando andare la mia mano.

Impossibilitata a parlare, a causa del nostro contatto, riesco solamente ad annuire. Mi sento frastornata. Che diavolo mi è preso?

«Ciao Kristen», mi saluta alzandosi.

Il modo in cui pronuncia il mio nome per intero mi destabilizza nuovamente. È come se l'avessi già sentito, come se la sua voce mi fosse in qualche modo conosciuta. Quando ricambio il suo saluto, lui è un bel po' distante e si gira per lasciarmi un ultimo sorriso.

Cosa è appena successo?

«Kristen!»

Il coro delle mie amiche mi ravviva dal mio stato di trance. Beccata!

Mi preparo mentalmente alla ramanzina che mi aspetta.

«Tu sei pazza. Ci hai fatto prendere un colpo, Kristen», esordisce Ana, bloccando la sedia a rotelle per non farmi scappare di nuovo.

«Mi dispiace, volevo solo passare da questo posto», cerco di scusarmi, indicando il pub alle mie spalle.

«Sei una testa dura», mi rimprovera Roxanne.

Sono davvero mortificata. Non volevo farle preoccupare, ma la mia curiosità era fin troppa. Avevo bisogno di provare e, anche se non mi è successo nulla dentro la mia mente, sono contenta di essere venuta qui.

«Ti è servito almeno?» mi domanda Anastasia con una punta di speranza nella voce. Scuoto la testa negativamente, tuttavia non sono del tutto delusa. Incontrare quel ragazzo, mi ha dato una sensazione strana che ancora non comprendo, ma che persiste dentro di me.

Il pensiero di lui è così imponente da rapirmi dalle mie preoccupazioni sulla mia memoria perduta. Londra è troppo grande perché io possa rincontrarlo, per fortuna conosco il suo ristorante preferito, se mai dovessi ripassarci, potrei trovarlo proprio qui. 

AMNESIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora