Capitolo 49 - Come può un cuore rotto...

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Jay

Parte I

Trattengo il respiro finché non la vedo arrivare. Sbuca dalla porta d'ingresso del mio appartamento come un cucciolo indifeso. Indossa un abito molto aderente che non mi porta a fare pensieri proprio casti, anche se dovrei evitare di pensare a lei in questo modo, perché in realtà non merito nulla, neanche di potermi beare delle sue forme.

«Mora?» le domando per sbloccare la situazione, altrimenti saremmo rimasti per ore in silenzio.

«Dormiva» si toglie il cappotto, alzandosi sulle punte per appenderlo alla parete.

«Carino qui, sembra molto simile all'appartamento di Jaimie» si guarda un po' intorno, curiosando tra le mensole della libreria.

«Li ha arredati entrambi Rose» la informo. Nella mia mente ripercorro il tempo passato con mia madre per scegliere piastrelle, pavimenti e mobili vari. Uno dei pochi momenti insieme che non sia finito in tragedia.

«Com'è ora il vostro rapporto?» si siede sul divano, servendosi da sola. Apre una lattina di coca-cola iniziando a sorseggiarla lentamente, mentre estrae una sigaretta dal pacchetto. Mi chiede il permesso con lo sguardo e, quando glielo concedo, l'accende.

«Non dimentico quello che mi ha fatto ma, grazie a Rebecca, le cose vanno molto meglio adesso. Ogni tanto legge i miei articoli su Blackberry's e addirittura si complimenta con me» mi sporgo verso di lei, rubandole una vera sigaretta. Non ce la faccio più a fumare quelle diavolerie elettroniche, stavo tentando di smettere, ma non credo che ci riuscirò mai.

«Sono felice» mi sorride in evidente imbarazzo, guarda il fumo che fuoriesce dalla sua bocca pur di non guardare me.

«Ti ho fatta venire qui perché volevo scusarmi per come mi sono comportato stamattina, ho cercato di essere distaccato, ma non ci sono riuscito» sospiro, portando la mano destra sul labbro, iniziando a tormentarlo come facevo da bambino emulando mio nonno.

«E ti scusi per essere stato distaccato o per non esserlo stato?» si rannicchia sul divano, dal lato opposto rispetto a quello in cui sono seduto io.

«Tu cosa preferisci?».

«Che ti scusi per essere stato distaccato» parla a bassa voce, piegando il corpo fino a ridursi in una pallina, sistemandosi in posizione fetale.

Mi sposto, inginocchiandomi davanti a lei. Il mio volto è quasi all'altezza del suo corpo.

«Scusa allora» le accarezzo il viso, cercando di sistemare una ciocca dei suoi capelli dietro l'orecchio, sono troppo corti però per restare ordinati. 

Come fa ad essere bellissima allo stesso modo con qualsiasi taglio di capelli?

«Scusami se non sono venuta» mi guarda con quegli occhioni color smeraldo. Mi entra fin dentro le ossa, fino a raggiungermi l'anima.

«Cos'è successo quando me ne sono andato?» sento la gola bruciarmi, subito dopo aver terminato questa frase. Non so se ho fatto bene a chiederglielo, forse avrei dovuto tacere.

«Sono rimasta a dormire in camera tua per secoli, non so come i ragazzi mi abbiano tollerata... non mangiavo e prendevo tante pillole, poi un giorno, grazie a Kate e Jaimie, sono riuscita a rialzarmi e ho vissuto un periodo ancora più brutto, senza assumere nulla. Quando mi è arrivata la tua lettera ero nel pieno della disintossicazione, è stata dura. E lo è stato ancora di più finire l'università, non avevo voglia di fare niente, mi addormentavo sui libri e anche a lezione, mi mancavano le forze. Mi sono ripulita definitivamente solo quando ho conosciuto Ale, una volta tornata in Italia. È stato lui a farmi seguire da un professionista, poi, fortunatamente, le cose sono andate meglio. E tu, com'è andata a Oslo? Tua sorella mi ha detto che stai avendo ancora problemi» guarda in un'altra direzione, ancora una volta per evitare il mio sguardo. Quando mi chiede della mia situazione, la sua voce diventa più bassa. Non ce n'è ragione, in fondo per me, immaginare Eva distrutta fa più male che rivivere qualsiasi mio periodo oscuro.

The Art Of Being ArtWhere stories live. Discover now