Capitolo 23 - La malattia che tutto ammorba

1.9K 111 139
                                    


8 Novembre ore 17.07

JAY

Eva è fuggita via, lasciandomi da solo con un peso immenso sul cuore. Non so cosa mi sia preso oggi, ma quando l'ho vista così, in quella posizione, con quello sguardo innocente ma al tempo stesso malizioso, non ce l'ho fatta più a placare i miei istinti. Dovevo averla a tutti i costi, sentirla mia anche soltanto per un attimo, curare le sue ferite per quel tanto che bastava per godere di lei e della nostra unione. Niente è andato come mi aspettavo però, l'interruzione potrebbe essere stata un segno divino, non una coincidenza, ma un messaggio: non fatelo! 

Avrei preferito però che a scoprirci fosse stato qualcun altro e non Blake, temo infatti che lui possa spifferare tutto a Luke e far peggiorare così ancora di più il nostro rapporto - che già versa in condizioni critiche - ma, soprattutto, ho paura che così facendo possa arrecare danni a lei. Oph non merita di soffrire ulteriormente.

Sono rimasto impalato su queste scale a osservarla mentre rideva e scherzava con Matt, per poi seguire i suoi passi incerti mentre lasciava la casa. Credo di dover fare una chiacchierata con Hall, non capisco infatti quali siano le sue intenzioni con lei, ma qualunque esse siano, non credo che mi andranno a genio.

«Guarda che non sono venuto su per romperti le palle, tuo fratello si è buttato in piscina con dieci gradi, forse dovresti recuperarlo» Blake mi oltrepassa, dandomi una leggera spallata, abbastanza forte per farmi rinvenire dai miei pensieri, ma anche abbastanza fastidiosa perché mi venga voglia di sbatterlo contro il muro.

«McKenzie, mi faresti il favore di tenere la bocca chiusa su quello che hai visto?» gli rivolgo uno sguardo duro, tentando di intimorirlo, ma so bene che neanche i pugni lo farebbero desistere dal provocarmi.

«Vedremo Cook, vedremo» mi fa uno sghembo occhiolino per poi saltare i gradini alla velocità della luce e scomparire nel lungo corridoio del piano superiore della Trojans.

Impreco a voce alta, mentre mi dirigo verso il giardino.

Mio fratello galleggia con la testa sott'acqua, a guardarlo sembrerebbe quasi annegato. Solo questa immagine basta a farmi tremare le mani. 

È abbastanza vicino al bordo della piscina, così, potendolo raggiungere facilmente, lo strattono con una mano per costringerlo a venire a galla.

«Ma che cazzo fai imbecille, ti prenderai una polmonite» urlo per farmi sentire meglio.

JJ apre gli occhi lentamente, come accecato da quell'ultimo flebile raggio di sole che ancora illumina il cielo, per poi sghignazzare, pronunciando tra le risate qualche suono che almeno nella sua mente dovrebbe poter essere ricollegabile a qualche parola di senso compiuto.

«Sei ubriaco?» chiedo sorpreso, di solito non si riduce così senza un motivo.

«Tu che dici?» risponde ironico, mentre a stento riesce a muoversi per uscire dalla piscina.

«E posso sapere cosa ti passa per la testa?» gli porgo una mano per aiutarlo ma, quando si aggrappa con tutto il peso, gliela lascio, facendolo precipitare di nuovo tra le gelide acque.

Mi rivolge uno strano grugnito misto a qualche imprecazione, per poi uscire completamente grondante d'acqua dalla piscina.

«Sono un po' triste e ho esagerato» singhiozza «ho be-bevuto solo un paio di bicchieri».

«E chi cazzo sei, me?» constato ironicamente. Allora siamo più simili di quello che pensavo... anche lui, quando vuole, è capace di affogare le emozioni nell'alcool.

The Art Of Being ArtWhere stories live. Discover now