Capitolo 47 - Max

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Jay

«No, Max, no» mi fermo sulla soglia della porta, tirandolo per il polso. Lui arresta la sua corsa, voltandosi sorpreso nella mia direzione. «Ho cambiato idea amico, non è il caso» gli sussurro in una specie di sospiro. Non sono sicuro che mi abbia sentito.

Lui però annuisce, sorridendomi.

Apre il suo zainetto e ne estrae tutto felice una copia dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij.

«Lo finiamo allora?» gli chiedo, senza che ci sia bisogno che a parlare sia lui.

Ancora una volta, con un movimento del capo, asserisce.

Da quel giorno io e Max non abbiamo mai passato un periodo più lungo di una settimana l'uno senza l'altro.

Ha avuto il suo Bar Mitzvah sebbene io lo ritenessi, da non religioso, un evento piuttosto ridicolo.

Siamo andati alla Shermann insieme.

Non ha mai giocato a football come me, perché diciamocelo, in qualsiasi sport è sempre stato una schiappa, ma, in compenso, è diventato il direttore del giornalino della scuola. Ho collaborato con lui scrivendo tanti articoli, tra di essi anche un'aspra critica nei confronti dell'abuso di droghe, alcool e sigarette nei giovani adolescenti.

Siamo andati al ballo insieme.

Io con Beth Allen e lui con Monica Root.

Ci siamo iscritti entrambi alla Usc. Io ho rifiutato il mio posto nella Confraternita dei Trojans pur di non lasciarlo da solo. Abbiamo preso una camera insieme e ci abbiamo vissuto per tutta la durata dell'università, felici e contenti.

Molte squadre di football hanno voluto fare una proposta per acquistarmi appena laureato.

Max mi ha aiutato a scegliere tra le opzioni quella che meglio avrebbe valorizzato il mio talento, non perdendosi in seguito nemmeno una mia partita.

Grazie a lui sono riuscito a creare un rapporto che potesse dirsi vagamente profondo con mia madre.

Tutto è andato per il verso giusto.

Certo, non ho mai incontrato la donna perfetta, ma almeno ho avuto accanto il mio migliore amico per tutta la mia lunga vita. Fino a che non siamo stati ricoverati insieme in una casa di riposo. Fin quando non siamo morti l'uno a pochi giorni di distanza dall'altro.

Che bella esistenza vissuta in due.

E invece no, non è andata davvero così, quel giorno mi sono aggrappato al suo polso, ma non per impedirgli di andare, bensì per costringerlo a venire.

L'ultima volta che ha varcato quella porta, l'ultima volta che abbiamo vissuto in due.

***

«Tutto ok?» apro gli occhi bruscamente, ritrovandomi Eva a pochi millimetri dalla faccia, intenta a guardarmi con un velo di preoccupazione nello sguardo.

Mi stropiccio il viso, non prestandole attenzione.

Mi guardo intorno alla ricerca di una bottiglia.

Non sono in grado neanche di parlare se non bevo.

Mi alzo dal letto, riuscendo a scorgere appena, sotto i miei vestiti sporchi e abbandonati davanti al pavimento del bagno, una bottiglia di rum.

Mi attacco con le labbra direttamente al collo, riempiendo il più possibile la bocca e l'esofago di liquido.

The Art Of Being ArtWhere stories live. Discover now