Capitolo 25 - La Cura

2.2K 99 146
                                    

«Tesoro, tutto ok?».

Sono seduta su una panchina poco distante da Starbucks a osservare le fronde degli alberi piegate dal vento, quando la voce di Sophie spezza improvvisamente il silenzio in cui mi ero immersa.

Tutto intorno a me si è colorato di un tono più intenso rispetto a come di solito i miei occhi lo percepiscono. La stessa cosa è avvenuta ai suoni che giungono alle mie orecchie con tonalità molto più acute di quelle che sono abituata a sentire normalmente. Forse è solo quella pillola che, arrivatami direttamente al cervello, mi rende ipersensibile agli impulsi esterni. Lo stato in cui mi trovo non è affatto male, anzi, malgrado io percepisca molto di più ciò che mi circonda,  dall'interno, al contrario, non sento nulla.

 Nessuna emozione, nessuna paura, nessuna ansia. Niente.

Mi volto verso la mia amica, dimenticandomi totalmente del mio volto deturpato, lo faccio con totale naturalezza. Me ne pento pochi istanti dopo, quando vedo il suo sguardo cambiare; non c'è bisogno che parli perché odo indistintamente i suoi pensieri.

«Eva ma cos'hai fatto?» allunga la mano destra verso il mio viso, per poi ritirarla immediatamente. Non è convinta di compiere quel gesto, non sa infatti se toccarmi possa essere un bene in questo momento.

 In effetti non lo so nemmeno io come potrei reagire al tocco di un altro essere umano.

Adesso probabilmente la mia mente è così offuscata dai farmaci che non proverei nessun sentimento, ma chi mi dice che domani non avrò il terrore che qualcuno mi sfiori?

«Un incidente Soph, non preoccuparti, poi ti spiego» rispondo laconica, sperando che lei non faccia altre domande. Devo inventare una scusa che sia plausibile e che possa convincere gli altri che quella che hanno davanti non è assolutamente una vittima ma soltanto una ragazza fin troppo sbadata.

«Perché siamo qui? Mi sembri strana. Sei sicura che sia tutto ok?» è impossibile non accorgersi che la sua voce sia cresciuta improvvisamente di un ottava, sintomo inequivocabile di agitazione.

«Devo incontrare Luke tra qualche minuto, credo sia già dentro perché ho visto la sua auto parcheggiata... devi solo sederti a qualche tavolo di distanza e, se ti faccio segno, venire in mio aiuto».

«Luke il tuo ex pezzo di merda? Perché vi dovete incontrare? Sei impazzita forse? Se ti rimetti con lui ti tolgo il saluto» parla rapidamente, così tanto, da farmi perdere il focus del discorso.

Scrollo leggermente il capo per farle capire che questa è l'ultima delle mie intenzioni, ma in realtà, se dovessi spiegarle perché sono qui, non saprei nemmeno io cosa dire. 

Cosa vorrà da me adesso? Ma, soprattutto, perché dopo tutto quello che mi ha fatto, io sono venuta a incontrarlo?

Una volta entrata nel locale, come pensavo, scorgo immediatamente Luke seduto a un tavolo in fondo alla sala. Faccio segno a Sophie di prendere posto a tre tavoli di distanza e mi avvio verso di lui. In circostanze normali adesso starei quantomeno tremando, invece nulla, non provo niente, forse soltanto un pizzico di curiosità di sapere cosa voglia.

Mi siedo senza proferire parola. Lo guardo dritto negli occhi senza nessun timore; non so quanto duri, ma, mentre lo faccio, non sento il bisogno neppure di sbattere le palpebre. Potrei continuare così per ore, senza mai stancarmi.

Non appena lui tenta di aprire la bocca per parlare, lo blocco.

«Se mi chiedi scusa, me ne vado. Se non hai niente da dire, me ne vado. Vai dritto al punto, ti do due minuti e poi uscirò da quella porta per sempre. Immagina questo Starbucks come la nostra relazione... stiamo per abbandonarla in maniera definitiva, dopo ieri non si torna indietro» pronuncio con una freddezza disarmante, mi sorprendo anche io del mio atteggiamento, non sono mai riuscita a essere così imperturbabile.

The Art Of Being ArtWhere stories live. Discover now