Capitolo 34 - Dentro la mia testa

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«Eva ci sei?».

Tolgo la mano dal viso, voltandomi a osservare Sophie alla mia destra.

Dopo ancora qualche secondo, in cui non riesco a comprendere dove mi trovo e con chi sono, reagisco, annuendo alla sua domanda.

«Non hai preso neanche un appunto oggi, non è da te. Caulfield ci ha dato istruzioni per l'ultima tesina del corso e non hai nemmeno scritto tutte le informazioni che ci ha dato. Stai ancora male?» mi domanda, sorpresa dal mio improvviso atteggiamento scostante. 

Non mi ero mai comportata così in tutta la mia vita, lo studio infatti è stato da sempre il fine ultimo della mia esistenza. Eppure, non so esattamente per quale ragione, ma ad oggi la mia mente, ogni qualvolta entro in un'aula, si resetta e si riavvia solo una volta uscita. Non posso permettermi di vanificare tutti gli sforzi fatti sinora, devo obbligatoriamente continuare a puntare in alto e non accontentarmi di poco.

«Sì, ho un po' di mal di testa. Se non ti dispiace potresti inviarmi il tuo file, così più tardi ricontrollo se c'è qualcosa che mi sono persa rispetto a quello che dobbiamo fare» le domando, mentre tento invano di massaggiare le tempie per far diminuire la pressione che sento all'altezza della testa.

«Mmm... ok. Io e i ragazzi andiamo a fare colazione, ti unisci a noi?».

«Va bene, Soph» mi alzo lentamente dalla sedia, cercando di evitare che un altro giramento di capo mi faccia cadere, ora che finalmente i lividi dell'ultima volta si sono attutiti.

Il primo errore della giornata è sicuramente quello di non averle chiesto dove saremmo andati.

Scioccamente credevo che ci saremmo incontrati in caffetteria e che, di conseguenza, da lì sarei potuta tornare in fretta in camera mia qualora ne avessi avuto improvvisa necessità. Invece, senza darmi troppi dettagli, Sophie mi ha fatto salire in macchina con lei e mi ha portata da Patsy's, senza che io a quel punto potessi più tirarmi indietro.

9,8 km è la distanza del locale dal mio dormitorio. 

Il tempo per arrivarci si aggira tra i tredici e quindici minuti a seconda del traffico.

Lo so per certo, perché ho controllato un milione di volte su Google Maps.

Sarei in grado di dire a memoria quale sia la distanza della Usc da qualsiasi posto in cui io sia stata nell'ultimo anno. 

A dir la verità io e Francesco in passato abbiamo fatto spesso questo gioco; lui ha sempre pensato che io avessi un dono, in realtà si trattava soltanto dell'ennesima dimostrazione della mia ansia.

«Buongiorno bellezze» Nick, seduto su una sedia di plastica all'esterno del locale, fuma una sigaretta, mentre scrolla ossessivamente il suo feed di Instagram.

«El cabròn?» chiede Sophie, riferendosi ovviamente a Rick, utilizzando uno spagnolo con accento francese fenomenale.

«Ha preso un tavolo, vi sta aspettando... finisco questa e vi raggiungo anch'io» continua a guardare il cellullare, senza degnarci di uno sguardo. 

Il campanello del locale ci dà il benvenuto, non appena scostiamo la porta. 

All'interno ci sono abbastanza persone, non è pieno come al solito ma neppure si può dire che sia vuoto.

Rick siede a un tavolo in fondo, accanto al biliardo.

«Oh, cazzo» Sophie, dopo aver cercato nelle tasche dei jeans e in quelle del cappotto, controlla anche l'interno della borsa «Ho dimenticato il cellulare in aula, mince!» si dà uno schiaffetto sul volto.

The Art Of Being ArtWhere stories live. Discover now