Capitolo 12

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- Nel settantacinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordino che anche il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita.
Questo è il contenuto della busta. Questo è ciò che ha detto il presidente. Le sue parole mi rimbombano nel cervello come se avessi la sua voce fissa nelle orecchie mentre fuggo, mentre corro.
Corro, senza sapere dove andare di preciso. Senza alcuna meta.
La sola cosa di cui sono pienamente consapevole è che, di qui a tre mesi, sarò di nuovo nell'arena.
Sono scappata via sotto lo sguardo confuso di Prim e quello scioccato di mia madre, che si premeva una mano sulla bocca nel tentativo di trattenersi dall'urlare. Sono scappata via per non vedere l'orrore che certamente si rifletterà nei loro occhi e che ha già invaso i miei. Sono scappata via per non vederle soffrire. Non voglio vederle soffrire ancora, e ancora una volta a causa mia.
Quanto dolore può sopportare un essere umano? Quanto dolore può sopportare prima di scoppiare? Prima di cedere?
Cado in mezzo alla ghiaia, ma mi rialzo in fretta e furia e riprendo la mia folle corsa. Dove posso andare? La prima risposta che mi viene in mente è il bosco, ma con la recinzione elettrificata attiva è fuori discussione. Anche se gettarsi contro quella recinzione metterebbe fine a un sacco di questioni, allo stato attuale delle cose...
Rallento la mia corsa quando sono giunta alle ultime e spettrali case che, ancora vuote, delimitano il Villaggio dei Vincitori. Scelgo proprio l'ultima come riparo provvisorio. Sto già scendendo le scale che portano al seminterrato quando sento le prime voci che urlano il mio nome, che mi cercano.
Crollo a terra, sulla dura e fredda pietra, e do libero sfogo alle mie lacrime. Piango, urlo, mi lamento con la fronte posata sulle pietre gelate che costituiscono il pavimento del seminterrato. Copro le orecchie con le mani per non sentire le voci e le mie stesse urla. Fa freddo, qui, senza nient'altro che la camicia e il cardigan leggero che ho addosso. Ben presto mi trasformo in un blocco di pietra, come il pavimento che sento premere contro il corpo, ma non mi muovo, non faccio nulla per cercare di scaldarmi.
Scuoto piano la testa, tossendo per i singhiozzi che non mi lasciano respirare bene come desidero fare.
Le Edizioni della Memoria fanno schifo.
È orribile scoprire che esistono, è orribile conoscere il modo in cui si sono svolte le precedenti. Ma niente, niente batte quella che sta per prendere vita. È orribile sapere che hai affrontato e sfidato la morte per tornare a casa vivo, solo per poter offrire a Capitol City la possibilità di riportarti nel luogo che diventerà la tua tomba. In maniera definitiva, stavolta.
Perché stavolta sarà così: morirò nell'arena. Morirò nel tentativo di salvarmi la vita. Nessuno mi farà uscire viva da lì, quest'anno. Morirò. È quello che vogliono fare: uccidermi. Non c'è via di scampo.
È impossibile che l'Edizione della Memoria estratta stasera sia la stessa che è stata decisa con largo anticipo decine di anni fa. È impossibile: sarebbe una coincidenza innaturale, altrimenti, e perfetta. No, quella di quest'anno è stata costruita a tavolino con il solo scopo di punire me, e tutti i Distretti che hanno osato provare a ribellarsi. È una lezione che Panem vuole dare a tutti noi, insorti e non insorti. Perché cosa c'è di peggio nel vedere le persone che si amano da anni, alcune delle quali che sono diventate dei veri e propri beniamini per il pubblico, ammazzarsi a vicenda? Non è come vedere degli adolescenti sconosciuti: non hai un vero e proprio interesse per loro, dopotutto, non sai chi sono veramente. È dopo che li conosci veramente. È dopo che li hai amati per anni, è dopo esserti affezionato che capisci la reale portata di quest'orrore.
Dovrò uccidere le persone che ho visto sempre in televisione per salvarmi la vita? Ho un conato di vomito alla sola idea. È orribile anche solo pensarci.
Immagino che il matrimonio dovrà essere annullato. Ovvio che sarà annullato. Come posso sposarmi alla fine dell'estate, se per la fine dell'estate mi troverò già sottoterra da un bel pezzo? Oh, che stupida che sono stata! Perdere il sonno, la fame, la ragione, ed essere in preda al terrore, per un matrimonio che non si farà mai... a cosa è servito tutto questo? Preoccuparsi per un matrimonio che lo stesso presidente Snow voleva organizzare e che, adesso capisco, sapeva già che non ci sarebbe mai stato! Al suo posto, mi stava preparando un regalo di nozze che mi avrebbe fatta impazzire!
E non è proprio questo quello che ha ottenuto? Sto impazzendo, se non lo sono già diventata.
Una risata isterica mi esce dalle labbra. In confronto all'arena, affrontare un matrimonio è una bazzecola. È davvero una sciocchezza. Mi sposerei una, dieci, cento volte, se questo servisse a salvare la mia vita e quella di mio marito! Marito...
Peeta.
Lui è costretto a venire nell'arena con me. No, le cose non stanno realmente così... io sono l'unica che è costretta ad andarci, perché sono l'unica vincitrice donna ancora in vita. Anni fa, più di cinquant'anni fa, c'è stata un'altra vincitrice, ma non si è più saputo nulla di lei da quando ha vinto. È come scomparsa nel nulla. Io sono l'unica ragazza vincitrice che il Distretto 12 ha da offrire come tributo. Sono l'unica che non ha possibilità di scelta. Il mio viaggio per Capitol City è già prenotato, e so già che sarà un viaggio senza soste, e senza ritorno. L'unico ritorno che otterrò avverrà all'interno di una cassa di legno.
Per i maschi è diverso. Ce ne sono due tra cui scegliere: Peeta e Haymitch. Chi dei due verrà estratto come mio compagno per questi giochi? Immagino che lo saprò il giorno della mietitura. No, mi sto sbagliando ancora: immagino che lo saprò prima. Molto prima. Sono sicura che decideranno insieme chi dei due andrà nell'arena. Insieme...
- No – la mia voce esce in un lamento. Perché ho appena capito quello che accadrà se non faccio nulla per fermarli. Perché se il nome che uscirà nella mietitura sarà quello di Haymitch, Peeta si offrirà volontario al suo posto. Lo farà per seguire la mia stessa sorte. Lo farà per seguire me.
Lo farà per morire con me nell'arena.
- No... - ansimo, alzandomi in piedi. Non posso permettergli di compiere una simile sciocchezza. Non posso permettergli di morire per me. Non può farlo.
Rifaccio il percorso a ritroso, ma è più difficile con le membra intorpidite che mi ritrovo. Salgo le scale, esco dalla casa, torno all'aria fredda e buia della notte. – Peeta – bisbiglio il suo nome, che viene scandito dagli intervalli del mio respiro. – Peeta...
Quando sono a metà della piazzetta del Villaggio, lo vedo. Chi altri può essere se non lui? Cammina, si guarda intorno, capisco che sta cercando me. Comincio a correre per raggiungerlo, lo chiamo con la poca voce che mi ritrovo, anche se non mi sente. Le lacrime continuano a scendere, non si sono mai fermate da quando sono uscita di casa.
- Katniss! – urla nel venirmi incontro. Mi afferra al volo, posa le mani sul mio viso. – Ascoltami, ho parlato con Haymitch. Sarò io a venire nell'arena con te...
- NO! – stavolta, nell'urlare, riesco a far uscire tutta la voce che mi rimane. – Non puoi farlo! Tu devi vivere, Peeta!
- No, verrò con te. Lo abbiamo fatto l'anno scorso e lo rifacciamo anche quest'anno, insieme...
- NO! – i miei pugni lo colpiscono al petto, sulle spalle, su ogni punto del suo corpo che riesco a raggiungere. Lo colpisco anche al viso, e lui si lascia picchiare, si lascia graffiare, e non cerca in alcun modo di fermare il mio sfogo. – Morirai se vieni con me! Morirai... moriremo entrambi...
Non ho la forza di oppormi, di convincerlo ad ascoltarmi. Non ho più forze, ormai. Mi accascio su me stessa, piangendo. Piango per me, per la mia morte imminente, piango per Peeta che ha scelto di suicidarsi per me, piango per questo mondo infame che non ci permette di vivere una vita normale. Nella nebbia che mi avvolge, trovo il corpo di Peeta e mi ci aggrappo con la poca forza che ancora ho a disposizione. Piango, sapendo che questi sono gli ultimi mesi che mi rimangono per stare insieme a lui.
- La porto da me, starà con me finché non si calma – dice Peeta a qualcuno. Le sue braccia mi stringono mentre una terza mi accarezza i capelli. La riconoscerei tra milioni di altre: la sua mano, le sue mani, e quelle di Peeta. Le mani delle persone che amo, e che sto per lasciare per sempre.
- Va bene – mormora mia madre, concedendo a Peeta il permesso di farmi stare da lui.
Quasi di peso, mi fa alzare da terra e, con un braccio a circondarmi le spalle, mi porta a casa sua. Non vedo nulla tra le lacrime che mi accecano gli occhi e la luce improvvisa che mi destabilizza, dopo tutto quel buio. Un calore improvviso mi fa rabbrividire di riflesso. Capisco di essere nel salone, davanti al caminetto acceso. Un leggero peso e altro calore mi dicono che Peeta ha posato una coperta sulle mie spalle rigide.
- Dove sei stata? Sei gelata! Ti ho cercata dappertutto – dice, e per la prima volta nella sua voce sento della rabbia, del nervosismo. Me lo merito. Sono felice che si stia arrabbiando per me.
Lo osservo in silenzio, senza dire nulla del mio breve nascondiglio e del perché ci sono andata. Può arrivarci benissimo da solo, dopotutto: quello che provo io lo sta provando anche lui. Anche Haymitch sarà arrabbiato e sconvolto dalla notizia... ma se Peeta ha già preso accordi riguardo l'offrirsi volontario al suo posto, dovrebbe stare più tranquillo. È in una botte di ferro.
- Perché sei andato da Haymitch? – bisbiglio, stringendomi nella coperta. – Perché l'hai fatto, Peeta?
- Perché così, in due, possiamo provare a salvarti la vita – esclama, e comincia a strofinare energicamente le mani sulle mie braccia nel tentativo di infondermi più calore. – Sei un pezzo di ghiaccio. Ti preparo qualcosa di caldo...
- No! – gli afferro un braccio prima che possa andare via. – Non voglio qualcosa di caldo.
- Che cosa vuoi?
Alzo gli occhi, e finalmente osservo i suoi. Sono rossi, e lucidi. Come quella notte sul treno, quando si è svegliato a causa dell'incubo e mi ha rivelato cos'è che lo terrorizza tutte le notti. Il pensiero di me nella tomba: è questo a terrorizzarlo. È per evitare di vedermi morta che vuole tentare così disperatamente di salvarmi? Vuole provarci nonostante questa Edizione della Memoria sia programmata per fare l'esatto opposto? Spezzarmi, distruggermi... uccidermi. Vuole tentare l'impossibile, e per raggiungere l'obiettivo impossibile finirà col farsi ammazzare inutilmente.
Si farà ammazzare, ed io morirò lo stesso.
E allora sarà stato tutto vano.
- Cosa c'è, Kat? Cosa c'è? – mormora, asciugando le mie lacrime. Ne vedo una che sfugge al suo controllo e scivola dal suo occhio lungo la sua guancia.
È il pensiero di me nella tomba che lo terrorizza. A me terrorizza la stessa identica cosa. Una tomba su cui piangere, su cui sfogare il mio dolore. Se lui muore ed io sopravvivo, che altro motivo ho di andare avanti? Cosa mi darà la spinta per affrontare le ore, i giorni, gli anni vuoti che mi ritroverò davanti?
Che gusto c'è a vivere una vita vuota, se lui non è con me a condividerla?
- Voglio te – ansimo, e un singhiozzo rompe le mie parole. – Voglio te, Peeta. Voglio solo te...
Il suo viso si avvicina al mio, le nostre fronti si incontrano. I nostri respiri si confondono tra di loro. – Anche io voglio solo te.
Dopo, non c'è altro da dire.
Dopo ci sono solo i baci, le carezze, l'urgenza del sentirsi vivi ancora una volta. Sentirsi vivi, prima di andare ad affrontare di nuovo la morte.
Dopo, ci siamo solo noi che facciamo l'amore davanti al fuoco.

Nel silenzio della notte (In The Still Of The Night)Onde histórias criam vida. Descubra agora