Capitolo 29

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Il giorno dopo, una riunione straordinaria – l'ennesima – viene indetta da Haymitch al solo scopo di mostrare le falle dei Pass-Pro. Preme un tasto sul telecomando che ha in mano e lo schermo di fronte al tavolo della Sala Riunioni si riempie delle mie immagini, o meglio, di quelle che i tecnici e i montatori hanno modificato per farmi sembrare come appena uscita da una battaglia sanguinaria. Mi vedo mentre mi rimetto in piedi e sollevo l'arco verso il cielo. E sento la mia voce scandire, male, lo slogan.
È davvero pessimo, come Pass-Pro. Ed è, ovviamente, tutto il contrario di ciò che vogliono realizzare Plutarch e Fulvia.
Haymitch propone a tutti i presenti di ricordare il momento preciso in cui li ho impressionati, in cui sono riuscita a lasciare il segno nella loro memoria. Non quello in cui il contributo di Peeta riusciva a dipingermi come la migliore fidanzata del mondo, ma quello in cui prevaleva la mia spontaneità al di sopra di tutto il resto. Il mio essere semplicemente me stessa, per usare le parole che Cinna mi ripeteva sempre.
- Quando ha cantato per Rue, mentre moriva – dice Boggs, il braccio destro della Coin.
- Quando si è offerta volontaria alla mietitura per sua sorella! – esclama Effie. Lei era lì quando è successo, l'anno scorso. Ovvio che l'abbia impressionata: prima di me, non c'era mai stato un tributo volontario nel Distretto 12. Già da allora dovevano aver capito che ero un bel casino di tributo.
Si susseguono altri suggerimenti di esempi, alcuni meno eclatanti degli altri, ma ce n'è uno che mi scuote le viscere e mi fa portare le mani alle orecchie per non sentire. È quello in cui mi ricordano mentre canto alla mia bambina, sul palco durante l'ultima intervista con Caesar prima dell'inizio dei giochi.
- Cosa vi fanno capire tutte queste azioni? – taglia corto Haymitch. Lo fa perché sa che non sopporterei di sentire oltre.
- Sono tutte azioni improvvisate. Nessuno ha detto a Katniss cosa fare – risponde Gale, al mio fianco. È sempre al mio fianco.
- Esatto. Quindi, ecco la mia proposta: facciamo scendere in campo la Ghiandaia Imitatrice. Niente set, niente fumo finto e niente copioni: solo lei e la sua improvvisazione.
Ovviamente, l'idea di me su un vero campo di battaglia, con vere armi e con veri scontri a fuoco, non piace a nessuno. Non piace a Plutarch e a Fulvia, che così non possono mettere bocca su nessuna delle cose che faccio e che non possono intervenire se sbaglio qualche mossa. Non piace a Boggs, che pensa a quanto sarà difficile gestire la mia incolumità in mezzo alla vera guerra. E non piace alla Coin, che ha paura di perdere la sua pedina migliore se rimanessi uccisa durante un'imboscata.
- Fate in modo di ottenere un filmato. Si può comunque usare quello – le dico. Così, almeno, la mia morte avrà uno scopo. Forse.
Alla fine, decidono di acconsentire alla proposta di Haymitch e di mandarmi sul campo. Iniziano i preparativi e, dopo poche ore, sono già su un hovercraft, tirata a lucido nella mia uniforme nuova e pronta a recarmi al Distretto 8, dove appena stamattina c'è stato un bombardamento. È stata la Coin a scegliere il luogo, quindi immagino che adesso quel distretto rappresenti uno spazio sicuro e privo di pericoli per quando arriveremo.
Sull'hovercraft, insieme a me, ci sono Gale – ovviamente! -, Boggs, un paio di altri soldati, Haymitch e Plutarch che dirigeranno i nostri movimenti dall'alto e una troupe che effettuerà le riprese del Pass-Pro. Cressida, la regista dalla testa rasata e tatuata a rampicanti verdi, è accompagnata da Messalla, il suo assistente, e da due alti ragazzi, Castor e Pollux, che indossano delle strane apparecchiature per riprendere le immagini.
Appena arriviamo, l'hovercraft si abbassa quel tanto da consentirci di scendere velocemente prima di riprendere quota e tornare ad immergersi tra le nuvole. Resterà nei dintorni, a monitorare sia la nostra sicurezza che i nostri movimenti mentre siamo quaggiù, in mezzo a palazzi mezzo distrutti e baracconi.
Il nostro gruppo così assortito si dirige verso il centro del Distretto, sul luogo del bombardamento avvenuto stamattina. Stanno ancora recuperando i feriti ed i corpi delle vittime, trasportandoli all'interno di un magazzino adibito ad ospedale di fortuna, e davanti a questa scena vengo presa da un senso di vertigine che rende malferme le mie gambe. Improvvisamente, provo di nuovo l'impulso di fuggire via dal dolore e dalla sofferenza, quello che mi invadeva sempre quando a casa entrava un malato bisognoso delle cure di mia madre. Solo che qui, di malati, ce ne sono a centinaia, forse migliaia, e tutte radunate nello stesso punto.
Non posso scappare, tutt'al più quando una donna, che Boggs mi presenta come la comandante Paylor, si avvicina per capire le nostre intenzioni. Mi riconosce, sa chi sono, e sembra sorpresa di vedermi in piedi sulle mie gambe. Scruta la mia figura soffermandosi più del dovuto sulla mia pancia che, appena un mese e mezzo fa, era piuttosto evidente. Di quella pancia, oggi, non è rimasto più niente.
Si schiarisce la voce quando nota l'espressione sulla mia faccia. - Sei viva, allora. Non ne eravamo sicuri – dice.
- Non ne sono ancora sicura nemmeno io – le rispondo, con voce tremante.
Non possiamo fare molto, qui fuori, così la comandante Paylor ci accompagna fino al magazzino/ospedale e ci fa cenno di entrare. Ci fa prima oltrepassare una zona adibita alla disposizione dei cadaveri, nell'attesa che vengano scavate le fosse comuni, e poi scosta una enorme tenda che rivela l'ingresso all'ospedale vero e proprio. Un ospedale straripante di feriti, di sofferenti, di lamenti e di voci imploranti. Ci sono centinaia di persone distese su brande e barelle di fortuna, e medici – troppo pochi – che si aggirano tra le file ed i corridoi che queste brande hanno creato e che cercano di alleviare il dolore di queste povere persone come possono. Alcune persone, gli stessi feriti ricoverati, danno una mano a loro volta per aiutare chi è stato meno fortunato di loro.
Arriccio il naso a causa dell'odore nauseabondo che impregna l'aria. È l'odore della malattia, mischiato a quello della sporcizia e del sudore. Vorrei uscire dall'ospedale e tapparmi il naso con una mano mentre lo faccio, correndo, ma non sono qui per scappare. Non sono qui per mostrare la persona debole e spaventata che la mia facciata ben artefatta cerca di nascondere. Non sono qui per fare la codarda. Sono qui per aiutare queste persone. Sono qui per dimostrare, a chi mi credeva morta, che sono viva. Avanzo tra le file, tra i malati, osservando il dolore che Capitol City ha lanciato alla popolazione dell'8.
Queste persone mi vedono, mi riconoscono, e mi chiamano. Chiamano il mio nome, nonostante le terribili sofferenze che stanno provando, ma la mia sola vista sembra risollevare il loro morale ed il loro spirito offeso. Mi avvicino ad una donna che ha una gamba ferita e le accarezzo una mano, la saluto. Lei me la stringe forte. Poco lontano, un ragazzo con la testa fasciata si alza in piedi sul suo letto e si sbraccia per indicarmi la direzione da prendere. Tantissime persone mi accarezzano e mi toccano le mani mentre cammino in mezzo a loro. L'ultima volta che qualcuno ha compiuto un gesto simile su di me, mi trovavo nella residenza presidenziale per la festa che concludeva il Tour della Vittoria e tutti volevano accarezzare i meravigliosi vestiti della Ragazza di Fuoco, la vincitrice degli Hunger Games. Adesso, invece, tutti vogliono accarezzare l'uniforme della Ghiandaia Imitatrice, il simbolo della rivolta.
Quando cominciano a chiedermi della bambina, sono costretta a confessare loro la verità e non limitarmi solo a fuggire, o ad evitare l'argomento, come ho fatto finora. Per la prima volta da quando è successo, sono io stessa a dire ad alta voce quelle parole spaventose ed è sconvolgente l'ondata di fuoco che mi travolge. È sconvolgente la voracità con cui questo dolore mi investe le membra, ma è in qualche modo anche un sollievo, perché parte di questo fuoco, una piccola ed infinitesima parte del fuoco, sembra scivolare via. Sembra abbandonarmi e forse è solo una mera illusione; la gran parte di esso rimane dentro di me, a gravare sul mio cuore, e non credo che se ne andrà mai del tutto.
- L'ho persa – dico in un mormorio quasi indistinguibile, quando una donna anziana me lo chiede di nuovo. Questa donna anziana raccoglie con le sue mani le lacrime che sono cadute dai miei occhi e circonda poi le mie guance in segno di conforto, annuendo piano. È davvero dispiaciuta per ciò che mi è accaduto.
Tutti sono dispiaciuti per ciò che è accaduto a me e alla mia bimba. Tutti mormorano parole di consolazione e di conforto, e la metà di queste parole sono rivolte anche a Peeta. Perché la perdita è stata anche sua, così come è stata mia. L'abbiamo persa entrambi. Io non sono riuscita a diventare una mamma, e lui non è riuscito ad essere un papà. Dei genitori senza una figlia... è questo ciò che siamo.
Parlano molto di Peeta, parlano dell'intervista straordinaria con Caesar e tutti pensano che stesse mentendo, che non credeva davvero a ciò che diceva. La pensano come me: Peeta è stato obbligato a chiedere il cessate il fuoco. Tutti sperano in lui, così come sperano in me. La solidarietà che dimostrano nei nostri confronti è molto più forte ora di quando venimmo come ospiti durante il Tour della Vittoria, ma allora le circostanze erano molto diverse. Se mesi fa parlavamo a nome di Capitol, a nome del presidente Snow, ed eravamo il simbolo vero e proprio della supremazia della capitale su tutto il resto della nazione, adesso i ruoli si sono invertiti. Adesso parlo a nome dei Ribelli, sono qui per dimostrare la mia lealtà alla rivolta, e a quanto pare sanno che anche Peeta sta facendo lo stesso, nonostante le menzogne.
I ruoli si sono invertiti.
Quando esco dall'ospedale, sono costretta ad accasciarmi lungo la parete ed a prendere dei forti respiri per calmare i miei nervi, che sono rimasti profondamente scossi dalla visita e da tutto ciò che questa ha comportato. Non mi aspettavo nulla del genere. E non mi aspettavo, in nessun modo, che con la mia sola presenza avrei potuto far scaturire un vero fiume di speranza. Capisco che Plutarch e Fulvia, con i loro discorsi strategici, non mi hanno mai mentito. Loro sapevano. Conoscono appieno la forza dell'onda che mi trascino dietro ad ogni passo che compio.
Lei non ha idea dell'effetto che può avere. Le parole di Peeta riecheggiano nella mia mente. Quante volte le ha ripetute in questi mesi? Aveva ragione anche lui. Peeta ha sempre avuto ragione su questo, ed io l'ho sempre rimproverato per ciò che diceva...
Boggs mi si avvicina e mi porge una borraccia, che accetto più che volentieri. – Sei andata alla grande – mi dice mentre prendo un sorso d'acqua.
- Non mi sono sentita male. Questo è già qualcosa – biascico, asciugandomi la bocca col dorso della mano.
- È molto più di "qualcosa", Katniss! - esclama Cressida, la regista. Lei e Messalla mi informano che hanno raccolto moltissimo materiale con cui poter lavorare una volta tornati alla base, e sembrano entrambi molto soddisfatti.
Anche Gale è rimasto colpito dalla mia performance: a sentire lui, per essere me stessa non avrei dovuto fare ciò che ho fatto, ma scappare via dall'ospedale senza voltarmi indietro. Mi conosce talmente bene da sapere ciò che provoca in me la sofferenza altrui, ed ha visto un sacco di volte com'è che mi comporto appena vedo un malato.
- Volevo farlo, ma ho messo a tacere l'istinto – gli confesso a mezza voce.
- Non lo hai messo a tacere, Catnip. Molto probabilmente ne hai sviluppato un altro – dice.
Soppeso le sue parole, e sto cercando di scovare in me il nuovo istinto che avrei sviluppato in un imprecisato momento della mia vita quando tutti concentriamo l'attenzione su Boggs, che ha alzato un dito ad indicare il suo auricolare e ci intima di fare silenzio. Ascolta attentamente ciò che gli stanno comunicando, e poi ci ordina di andare via.
- Bombardieri in arrivo – esclama.
I minuti successivi sono frenetici.
Sotto indicazione di Plutarch, cerchiamo di raggiungere di corsa un edificio già danneggiato, ma ancora in piedi, prima che gli aerei di Capitol City inizino a bombardare di nuovo questo posto. Secondo lui, questo nuovo attacco non è improvvisato ma semplicemente programmato in precedenza, al solo scopo di terminare il lavoro che avevano iniziato stamattina. Non sono qui perché hanno saputo del mio arrivo. La mia incolumità è ancora protetta, per ora.
Siamo quasi all'interno dell'edificio quando le prime, forti esplosioni giungono alle nostre orecchie. La terra trema sotto i nostri piedi per l'impatto delle bombe. Ci siamo allontanati abbastanza dal luogo dell'esplosione e capisco che Plutarch ha ragione, di nuovo: non sono qui per me. Stanno colpendo ciò che resta ancora da colpire al Distretto 8. Ma quando sbircio fuori, una volta terminata l'ondata, vedo che gli edifici diroccati sono ancora in piedi. C'è solo un edificio che fuma: l'edificio che neanche dieci minuti fa stavamo visitando.
L'ospedale.
- Katniss! – urla Gale quando mi precipito fuori.
- Soldato Everdeen! – inveisce invece Boggs.
Sono cosciente di star violando le regole che mi sono state imposte: sto procedendo, senza alcun tipo di protezione a parte l'uniforme che ho addosso, su un territorio nemico in cui potrei restare uccisa da un momento all'altro. La prossima ondata di bombardamenti potrebbe essermi fatale, ma non mi importa. Non posso restare al sicuro e osservare, in silenzio, mentre colpiscono un luogo pieno di persone innocenti, e già gravemente ferite.
Non posso e basta.
Gli aerei si sono allontanati dopo aver lanciato gli esplosivi, ma li vedo mentre virano per tornare indietro. Per colpire ancora. Afferro una freccia dalla faretra, felice di avere a disposizione le nuove armi che Beetee ha fabbricato e che mi consentono di infliggere seri danni alle forze aeree di Capitol City.
Prendo la mira e la scaglio. Sull'ala dell'ultimo aereo che chiude la formazione prendono vita due esplosioni, anche se io ho scagliato una sola freccia nella sua direzione. Poi sento la presenza di qualcuno al mio fianco. Gale, naturalmente. L'altra freccia era la sua. E abbiamo colpito lo stesso bersaglio.
- Non posso lasciarti infrangere le regole da sola! – esclama, ricaricando la balestra.
Spari e colpi di artiglieria riempiono l'aria, oltre alle nostre frecce: io e Gale ci uniamo alle forze armate dei Ribelli del Distretto 8 per respingere l'attacco del nemico, il nostro nemico comune. Uno dopo l'altro, gli aerei di Capitol City crollano a terra od esplodono in aria dopo aver ricevuto i nostri colpi. Gale mi afferra e mi scaglia a terra, proteggendomi col suo corpo, quando un pezzo di lamiera fumante viene scagliato verso di noi. Mi faccio male ad un braccio, cadendo, ma non è nulla in confronto a ciò che avrei potuto subire se Gale non mi avesse scansata via.
- Stai bene? – mi chiede, mentre mi aiuta a rialzarmi.
Annuisco. – Sì – esclamo, e faccio scorrere rapidamente gli occhi lungo il mio corpo per accertarmene ulteriormente. Sì, sto bene.
Ma non posso dire altrettanto per chi si trovava all'interno dell'ospedale. Quando corro per arrivarci davanti, lo trovo completamente in fiamme. Sono talmente alte da superare il punto in cui, poco fa, si trovava il tetto. Capisco che non c'è più nulla da fare per i feriti perché anche tutti gli altri, i soldati ed i pochi medici che sono miracolosamente scampati alla morte, guardano la scena esterrefatti ed impotenti.
- No – ansimo. Mi slancio in avanti, ma Gale mi blocca. Mi impedisce di avvicinarmi ulteriormente alle fiamme anche quando provo ad opporre resistenza. – No! – urlo, incapace di distogliere gli occhi dall'incendio.
- Katniss – Cressida chiama il mio nome, si posiziona davanti al mio sguardo e mi fa cenno di guardarla. Mi fa cenno di ruotare su me stessa, in modo da trovarmi davanti all'ospedale in fiamme, e capisco di avere le telecamere dei suoi assistenti puntate addosso. Mi stanno riprendendo. – Il presidente Snow ha fatto trasmettere il bombardamento in diretta tv. Dice che è un messaggio per i Ribelli. C'è qualcosa che vorresti dire?
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Scopro, effettivamente, di avere qualcosa da dire.

Nel silenzio della notte (In The Still Of The Night)जहाँ कहानियाँ रहती हैं। अभी खोजें