Capitolo 2

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Le settimane che hanno seguito il nostro ritorno al Distretto sono state le più strane della mia vita. Ancora più strane di quelle che hanno anticipato gli Hunger Games, e questo può significare tutto o niente, visto sotto una certa ottica.
Al nostro arrivo alla stazione, io e Peeta siamo stati letteralmente accolti dalle grida entusiastiche e felici della folla che ci attendeva sulla banchina, insieme alle ormai onnipresenti telecamere che ci avrebbero seguito ancora per un po'. All'inizio rimasi impietrita e sconcertata nel vedere tutte quelle persone, ma riuscii a riprendermi abbastanza dalla specie di torpore che mi aveva avvolta, agitai la mano in aria in segno di saluto e sfoggiai il mio miglior sorriso – o almeno, sperai che lo fosse.
Non riuscivamo a fare un solo passo, talmente tanta era la calca che ci circondava, ma non mi importò molto quando riconobbi i volti felici e commossi della mia famiglia, di Prim che si lanciò subito tra le mie braccia e di mia madre che ci circondò entrambe con le sue. Iniziai a piangere anche io.
Erano lì, erano vive e stavano bene. Non erano state punite per le mie decisioni impulsive nell'arena. Tutto il resto poteva aspettare.
Mi accorsi che anche la famiglia di Peeta si trovava lì accanto e stava festeggiando, felice di rivederlo tutto intero... beh, quasi intero. Il papà di Peeta stava ridendo, il sorriso che andava da un orecchio all'altro e che faceva brillare i suoi occhi azzurri, così come ridevano i suoi altri due figli. L'unica che sembrava poco felice era la madre, gli occhi seri fermi sulle nostre mani intrecciate.
Da quando eravamo scesi dal treno, le nostre mani non si erano mai separate e sperai che non accadesse ancora per un bel po', almeno per il tempo necessario affinché l'euforia per il nostro ritorno non fosse scemata. Quel contatto era l'unica cosa che avrebbe potuto aiutarmi a superare quella giornata.
Ma agli occhi di chi ci guardava dall'esterno, quel contatto dimostrava e confermava per l'ennesima volta il legame sentimentale che ci univa. Ed improvvisamente ricordai le parole di Peeta nell'arena: io non piacevo a sua madre. Ecco spiegati gli occhi truci.
Ho scoperto di avere un cugino. O almeno questa è la versione che hanno usato gli abitanti del Distretto per giustificare la presenza di Gale nella mia vita, oltre a quella di Peeta. La somiglianza tra noi due è talmente grande che è stato facile farlo passare per un mio parente, e così ho dovuto aggiungere un'altra bugia alla mia lista.
Sta diventando veramente troppo lunga.
Il resto di quella giornata può essere descritto come una vera e propria baraonda.
I festeggiamenti per la nostra vittoria si sono spostati nella piazza del Distretto, la stessa che pochissime settimane fa aveva ospitato la mietitura. Da allora sono cambiate così tante cose, in primis l'aver potuto aggiungere il nome di altri due vincitori all'elenco, già scarno di suo.
È questo il motivo che giustifica l'enorme euforia che circonda me e il mio compagno: dopo quasi venticinque anni di oblio, di sconfitte e di barzellette, il Distretto 12 è tornato ad essere ricoperto di gloria. È dalla vittoria di Haymitch, avvenuta per l'appunto quasi venticinque anni fa, che il nostro Distretto non trionfava su tutti gli altri.
Ma a quale prezzo?
Il sindaco ci ha invitati a salire sul palco e si è congratulato con noi per il coraggio che abbiamo dimostrato all'interno dell'arena, coraggio che ci ha portato alla vittoria e che ci ha permesso di tornare a casa. Questo ha scatenato l'ennesima ovazione di gioia dal pubblico che ci osserva sulla piazza, che di solito a quest'ora, alla fine di ogni edizione dei giochi, si stringe in silenzio attorno alle famiglie dei tributi che sono stati uccisi.
Per una volta hanno un motivo buono per festeggiare, ed io per una volta non trovo un vero motivo per oppormi e glielo lascio fare.
Sul palco, insieme a noi, è presente anche la famiglia del sindaco. Madge si è avvicinata a me e a Peeta e ci ha abbracciati, felice di rivederci sani e salvi. Madge è amica di entrambi ed è anche la persona che mi ha regalato il portafortuna da portare nell'arena: la piccola spilla dorata con la ghiandaia imitatrice, che in quel momento faceva ancora bella mostra di sé sul mio vestito.
L'ho sfilata facendo molta attenzione e gliel'ho restituita, ringraziandola per il pensiero che ha avuto per me e sollevata, da una parte, di potergliela consegnare io stessa con le mie mani. Sarebbe potuta tornare a lei in modo diverso se fossi rimasta uccisa durante i giochi, e questa prospettiva ha scatenato in me una sensazione tale da farmi rabbrividire, nonostante la calura della stagione estiva.
Ma Madge non ha rivoluto indietro la spilla. – Ora è tua – mi ha detto felice. - È il tuo portafortuna, rimarrà sempre con te.
Non ho potuto fare altro che balbettare un ringraziamento e abbracciarla ancora una volta, sentendomi debitrice per il suo gesto e per tutto quello che ha rappresentato per me. Dopotutto, quel piccolo pezzo di metallo ha segnato uno spartiacque importante: potevo morire o vivere, non c'era una via di mezzo.
Le sarò eternamente grata per questo.
Dopo la cerimonia, il sindaco ci ha lasciato andare e questo, come ci ha confermato anche Effie, significava che per ora i festeggiamenti per il nostro ritorno sono terminati. Ci lasceranno tornare a casa con le nostre famiglie, fornendoci così una serata tranquilla da trascorrere con i nostri cari senza avere costantemente l'occhio dei riflettori puntati addosso. Un lusso e una privacy che sarebbe durato solo per poco, purtroppo, perché l'indomani mattina sarebbero stati di nuovo ad aspettarci fuori dalla porta di casa.
Tornare al Giacimento mi ha fatto capire che per qualche ora potevo essere al sicuro da tutto questo: dalle telecamere, da Capitol e da tutti coloro che ci hanno seguito spasmodicamente fino a questo punto. Potevo tornare, almeno fino all'indomani, ad essere la sedicenne di sempre, e non la fidanzatina che tutti hanno avuto la possibilità di conoscere nelle ultime settimane.
E anche per Peeta sarebbe stata la stessa cosa.
Così, prima di lasciarci, facciamo quello che abbiamo imparato a fare così bene negli ultimi tempi: ci abbracciamo, ci baciamo e ci stringiamo l'una contro l'altro, come se le ore che ci apprestiamo a trascorrere da soli fossero le più lunghe e insopportabili della nostra vita. Quando anche l'ultimo bacio finisce e allontaniamo i nostri visi, Peeta mi fa l'occhiolino e sorride. È il suo modo di farmi capire che sta andando tutto bene, che sono stata brava.
Io mi sono limitata ad alzare un sopracciglio, sentendo le guance che si scaldavano. A differenza sua, non dovevo fargli capire in alcun modo come si stava comportando: Peeta non doveva impegnarsi, tutto quello che faceva era per lui automatico e naturale.
Tutto questo non sarebbe molto più semplice se anche io ti amassi?, mi sono chiesta.
La risposta era ovvia, scritta a caratteri cubitali nel mio cervello, ma feci finta di non vederla. Anche se solo per una sera, per una notte, volevo tenerla lontana da me.
Così, dopo essere state a contatto per ore, minuti, secondi, le nostre mani si sono divise.
Ma sapevo che presto si sarebbero ritrovate.

Nel silenzio della notte (In The Still Of The Night)Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang