Capitolo 15

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La vita prosegue come se a viverla fosse un'altra persona. Preferisco guardare il tutto come se non fossi io la protagonista della mia stessa vita. Per la maggior parte del tempo sono distaccata, agisco e mi muovo solo perché devo farlo, e non perché voglio.
Da quel poco che Haymitch è riuscito a dirci, gli Strateghi hanno deciso di rischiare seguendo questo tipo di teoria: sono incinta, ma potrei benissimo non esserlo. Potrei fingere per cercare di salvarmi la vita. Ma per confutare ogni dubbio avrebbero potuto benissimo mandare qualcuno, qualche medico incaricato di verificare se il mio stato corrisponde alla verità o se sto solo fingendo, come pensano, ma non hanno alcuna intenzione di farlo. O non accade nulla perché la gravidanza è tutta una menzogna... oppure, come io stessa avevo pensato, una ragazza incinta nell'arena diventerà l'attrazione principale di questa edizione. Tutti avranno gli occhi puntati sulla televisione, nessuno vorrà perderseli.
Ed ormai ne sono totalmente certa: è questo ciò che vogliono, è questo ciò a cui puntano. A loro non interessa se ci sarà una vita innocente in più da sacrificare. Per loro, forse, un bimbo non ancora nato non è nemmeno considerabile come vita.
Avere questa consapevolezza nel cuore è un supplizio senza fine. Sapere che non potrò fare nulla per salvare lui, e neanche me stessa. Non posso neanche provare a farlo nascere prima per salvarlo. In questa fase della gravidanza, se nasce, può soltanto morire. Morirà in ogni caso, sia se aspetto, sia se agisco in anticipo. È un discorso che ho già affrontato con Peeta, anche se a malincuore. Lui sembra stare molto più male di me all'idea di ciò che ci attende nell'immediato futuro.
- C'è l'aborto – ho mormorato. – Per risparmiargli ogni sofferenza.
Quando gliene ho parlato ci trovavamo entrambi nel suo letto. Era sera, e stavamo per metterci a dormire. Da poche ore avevamo saputo che gli Hunger Games sarebbero proseguiti lo stesso, al di là della mia gravidanza. Stesa sulla schiena, guardavo il soffitto ed il lampadario elaborato che pendeva proprio al suo centro. Guardare qualcosa di inanimato, e non Peeta, mi aiutava ad affrontare l'opzione dell'aborto senza correre il rischio di mangiarmi le parole, o di esitare. Guardare qualcosa che non era in grado di provare sentimenti era meglio che guardare una persona in balia dei propri.
- È pericoloso – ha detto lui.
Ho annuito. – Sarebbe pericoloso anche non fare niente.
È rimasto in silenzio per un po'. – Non riusciresti ad ucciderlo.
- Entrambi abbiamo già ucciso per salvarci la vita, Peeta. Sai benissimo che sarei in grado di farlo.
- Ma non hai ucciso parte della tua famiglia. Non hai ucciso parte di te.
Una parte di me è morta nell'arena, avrei voluto dirgli, ma ho deciso di non farlo. Non l'ho fatto perché, semplicemente, aveva ragione: ho ucciso quei ragazzi per poter sopravvivere, ma non lo avrei mai fatto se fossero stati i miei familiari, o anche solo dei conoscenti. Non sono nemmeno riuscita ad uccidere Peeta, quando mi sono trovata nelle condizioni di doverlo fare. Ho preferito salvarlo con quello stratagemma delle bacche... ed ecco dove questo ci ha portato.
Ha ragione perché non potrei uccidere un innocente non ancora nato, anche se non è ancora in grado di sentire nulla. In realtà, non so se sia in grado di provare o meno dolore. Sarebbe molto, molto più facile se mi togliessi la vita: in questo modo, morirebbe anche lui. Ma sono una vigliacca, ancora una volta. Non posso essere io a decidere di interrompere o meno una vita, specialmente se a creare quella vita sono stata proprio io.
È la vita che abbiamo creato insieme io e Peeta, è l'unione di entrambi. È il frutto del nostro amore.
È strano, il modo in cui si prende atto delle cose anche quando non vorresti. Anche se vi opponi resistenza con tutta te stessa. Io non potrei mai uccidere il bambino di Peeta, così come non potrei mai uccidere lui.
- Ne riparliamo domani – ho detto alla fine. Mi sono girata sul fianco ed ho cercato di ignorarlo, dandogli la schiena.
- Ne riparliamo domani – mi ha fatto eco.
Eppure, non ne abbiamo mai più riparlato. Il domani è arrivato, è passato, ed è stato dimenticato. Anche adesso che mancano poco più di dieci giorni alla mietitura la questione è rimasta in sospeso. Sarebbe meglio dire che si è chiusa del tutto, perché entrambi sappiamo che non sarei in grado di procedere fino in fondo. È troppo tardi, ormai, per poter anche solo provarci. Ciò che ho dentro al ventre è vivo, riesco a sentirlo. E mi spaventa, sentirlo... ma mi spaventa ancora di più pensare di fargli del male, anche solo per sbaglio.
Si muove. La prima volta che l'ho sentito muoversi sono, letteralmente, rimasta pietrificata davanti alla ciotola di zuppa del pranzo. Ho premuto le mani sul tavolo, ho fatto forza su di esso finché quel battito, quella leggera serie di colpi che provenivano dall'interno del mio corpo non sono cessati. Mia madre ha dovuto convincermi a riprendere a respirare, perché non mi ero accorta di aver smesso di farlo. Ho provato una vera e propria ondata di terrore. Panico, puro panico. Non bastava vedere la pancia crescere, settimana dopo settimana, per avere la conferma di questa nuova presenza nella mia vita. Doveva anche farmelo capire muovendosi. È una cosa positiva se si muove, vuol dire che sta bene. Dovrei sentirmi sollevata, ma ho solo paura. Penso che se non sentissi nulla sarebbe tutto più facile. Ma potrebbe anche essere il contrario: nessun movimento, nessuna vita. Sarebbe ancora più spaventoso.
Finché ho potuto ho nascosto i segni della gravidanza con camicie e maglie larghe, ma ora è impossibile anche solo tentare di provarci. Il tessuto si tende sulla pelle, la rotondità è inconfondibile ed è facile capirne il motivo. Smetto di andare in centro, non voglio dare adito alle chiacchiere della gente. Chi doveva saperlo ormai lo sa, gli altri devono semplicemente restarne fuori.
Gale lo ha scoperto nel peggiore dei modi: per sbaglio. Ha urtato il mio corpo mentre si rialzava dopo aver sistemato il laccio di una trappola. Il suo gomito è andato dritto sul mio ombelico. Non mi ha fatto male, ma le mie mani di riflesso sono andate a proteggere il rigonfiamento sul mio ventre ed ho, di conseguenza, rivelato cos'è che la mia maglia larga nascondeva ai suoi occhi.
Non ha detto nulla, non ha urlato: ha fissato la mia pancia ed ha posato una mano sulla bocca. È rimasto zitto, muto, e mi ha guardata per un po' ad occhi sgranati. E poi, senza commenti, ha proposto di fare un altro laccio. Delusione, amarezza e sconforto: le uniche cose che mi trasmettevano i suoi occhi.
Delusione, amarezza e sconforto sono tutto ciò che leggo negli occhi della mia famiglia.
Vorrei quasi essere già morta per non vederli più riflessi nei miei.

Nel silenzio della notte (In The Still Of The Night)Where stories live. Discover now