Capitolo 14

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Sono seduta sul pavimento davanti al camino quando Peeta torna a casa. Entra dalla porta di servizio, quindi non riesco a vederlo. Non so se avrò il coraggio di farlo, quando verrà qui.
Il fuoco è acceso, anche se ormai le giornate sono diventate abbastanza calde per avere costantemente il camino acceso. Non è più necessario. Guardare le fiamme, però, mi tranquillizza. E mentre aspettavo il suo ritorno, avevo il disperato bisogno di tenermi impegnata in qualche modo, così l'ho acceso. Il comignolo fumante era anche un segnale per lui, per fargli capire che in casa c'era qualcuno.
Mi ci sono intrufolata senza dirglielo. Dopo essere uscita dalla bottega del farmacista sarei voluta passare in panetteria per dirgli che lo aspettavo a casa, ma all'ultimo momento non me la sono sentita e sono fuggita via. Credo di aver intravisto uno dei fratelli maggiori di Peeta che mi salutava, ma non sono rimasta abbastanza per capire se fosse effettivamente lui.
Deve aver pensato che sono davvero strana. La fidanzata strana del suo fratellino.
Pensavo che avrei provato qualcosa nel sapere di essere incinta, ma quando Lana me l'ha detto, non ho sentito niente. Non sentire niente è quasi peggio del provare rabbia, angoscia o dolore. Non sentire niente significa che sei arrivato quasi al limite della sopportazione.
- Sei di tre mesi, quasi quattro – mi ha detto. – Sei proprio sicura di non aver avuto malesseri, o altro? Sei molto avanti per non essertene resa conto prima – ha aggiunto, ed il suo tono di voce aveva le stesse sfumature preoccupate che aveva assunto il suo viso. Sembrava, in qualche modo, provare pena per me.
Ho scosso la testa, e basta. No, non ho avuto niente. Perché non ho sentito niente? – Ma allora, il ciclo? Ho solo due mesi di ritardo.
Mi ha spiegato che è normale, alle volte, avere delle perdite durante le prime settimane. "Perdite da impianto", le chiamano. Non ho voluto indagare ulteriormente, ma mi è bastato capire quel poco che serve: quelle perdite possono benissimo essere scambiate per mestruazioni. In realtà, queste mancano da molto prima. Dal Tour della Vittoria, almeno.
Con le ginocchia strette al petto, osservo il fuoco. Sento Peeta che sistema cose e chiacchiera tranquillamente. Sa che riesco a sentirlo.
- ...ho dei biscotti da farti assaggiare. Non li ho preparati io, ma mio fratello. A proposito, ha detto di averti vista in piazza oggi, ma che non ne era sicuro. Eri davvero tu? Potevi entrare! Sai che non disturbi mai quando passi... ehi, che fai qui davanti?
Mi ha raggiunta, nel frattempo. Con la coda dell'occhio, lo vedo inginocchiarsi accanto a me. Mi sta osservando. Io ho paura di voltare il viso dalla sua parte. Devo dirglielo, ma non so come fare, che parole usare. Come devo dirglielo? Come reagirà? Non bene, conoscendolo.
- Che succede, Kat? Perché sei così silenziosa? – una mano mi tocca i capelli, scorre verso il basso a seguire la trama della solita treccia in cui li ho legati.
Chiudo gli occhi, prendo un respiro profondo. – Non siamo stati attenti – mormoro. Non è proprio quello che mi aspettavo.
- Che? In che senso, non siamo stati attenti?
Diglielo e basta. Stavolta, invece di zittirla, do ragione alla mia coscienza.
Giro la testa e, finalmente, incrocio lo sguardo azzurro di Peeta. Non sopporto di dovergli dare altro dolore, altra pena.
- Peeta... aspetto un bambino.
- Che cosa? – esclama, urla quasi. Cade a sedere di peso sul pavimento. – Sei impazzita! Che significa?
- Che sono incinta – uso l'altra parola che, forse, può fargli capire meglio la situazione in cui mi trovo. In cui ci troviamo, in effetti. Se questo bambino è qui, dopotutto, è a causa di entrambi. È perché non siamo stati attenti. Su questo non avevo tutti i torti.
- Non è possibile – dice.
Oh sì, che lo è! Gli lancio un'occhiataccia. – Non devo essere io a spiegarti com'è che si fanno i bambini, eh Peeta? No, perché mi sembra che tu lo sappia già!
- No no, quello lo so! Cazzo, Katniss! – è frustrato. – Com'è possibile? Voglio dire... quando?
- Quasi quattro mesi fa.
- Quattro – mormora. Osserva me, poi le fiamme che ardono nel camino, poi di nuovo me. – Andrai nell'arena incinta.
- Lo so...
- No, non lo sai! Altrimenti avresti già fatto qualcosa! – urla, rimettendosi in piedi.
- E che cosa dovrei fare? – mi alzo anche io, scocciata. Di cosa mi sta accusando, esattamente?
- Reagire! Chiamare qualcuno! Devono sapere... lo stato in cui ti trovi, no? Dovranno pur fare qualcosa! – agita le braccia in maniera sconclusionata prima di passarsi le mani tra i capelli. Resta in questa posizione per qualche istante. – Lo dico ad Haymitch... no, chiamo Effie. Lei è a Capitol City, mi saprà sicuramente dire ciò che si deve fare...
- Cosa dovrebbe dirti Effie?
- Se possono annullare gli Hunger Games. Non andrai là dentro nelle tue condizioni.
Gli fermo le mani, che hanno già sollevato la cornetta del telefono. – Sei impazzito? Non annulleranno mai gli Hunger Games, non l'hanno mai fatto! Perché dovrebbero farlo stavolta?
- Perché sei incinta, Katniss! Ma non ci arrivi? O non vuoi arrivarci? – questo è un colpo basso.
- Non li annulleranno mai, perché a loro non interessa nulla! È solo uno spettacolo per loro, niente di più. Siamo solo pedine in una scacchiera...
- Importa a me, però! – sbraita. Mi afferra per le spalle. – A me importa di te! Sei incinta di mio figlio, cazzo! Come può non interessarmi... - la furia sta cedendo il passo alla paura, alla disperazione. Me lo stanno dicendo i suoi occhi, che si stanno riempiendo di lacrime ad ogni secondo che passa.
- Lo so, Peeta – mormoro. Cerco di farlo stare tranquillo nell'unico modo che conosco: abbracciandolo. Faccio scontrare le nostre fronti e lo stringo a me. – Andrà tutto bene...
- Dobbiamo dirlo a qualcuno – continua.
- Non stasera. Ascolta – gli circondo il viso con le mani. – Stanotte resto qui con te. E domani mattina, appena svegli, andiamo a parlare con Haymitch. Cominciamo col dirlo a lui, e vediamo cosa ci consiglia di fare. Va bene?
Annuisce senza troppa convinzione. Lo vedo, il modo in cui reagisce: sta già combattendo una lotta contro sé stesso. Contro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Cercherà a tutti i costi di trovare una scappatoia per ciò che nessuno di noi due è in grado di affrontare. Per qualcosa a cui nessuno di noi due è pronto ad affrontare.
– Come stai?
Sorrido, piano. – Sto bene.
Sospira, stringendomi più forte. Posa il viso nell'incavo del mio collo e subito lo sento singhiozzare contro di esso. – Mi dispiace – dice.
Circondo le sue spalle e, con la guancia premuta contro i suoi capelli, alzo gli occhi al cielo nel tentativo, disperato, di non scoppiare in lacrime a mia volta.

Nel silenzio della notte (In The Still Of The Night)Where stories live. Discover now