Capitolo 24

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Ho la testa in fiamme. Tutto il mio corpo è in fiamme. Il braccio mi fa male nel punto in cui Johanna ha conficcato il suo coltello. Perdo l'equilibrio e cado in ginocchio, sulle mani. Cerco di rialzarmi, ma un conato di vomito mi assale e sono costretta a fermarmi mentre rigetto la mia ultima cena.
È chiaro, ormai: non sopravviverò oltre questa notte.
Il piano è andato a puttane, letteralmente a puttane. Forse non c'è mai stato un vero piano: è di nuovo tutto chiaro, e avrei dovuto arrivarci prima. Ma ero così cieca, così fiduciosa sulla sincerità di chi mi circondava, da non avergli dato il peso e l'importanza che necessitava davvero. Mi sono fidata di Haymitch e del braccialetto che lui ha consegnato a Finnick: se si era fidato così tanto di lui da convincerlo a diventare mio alleato, allora avrei dovuto farlo anche io.
Ma Finnick non ha mai avuto la seria intenzione di essermi amico.
Tutto procedeva secondo i piani, fino a che Beetee non ha proposto a me e a Johanna di srotolare il filo lungo tutto il settore dell'arena, fino ad arrivare alla spiaggia. Aveva appena finito di preparare l'albero, e l'onda delle dieci si era già abbattuta sull'arena con tutta la sua forza. Mancava sempre meno all'ora decisiva.
- Siete le più agili, a muovervi nella giungla – ha detto.
Peeta si è opposto alla sua decisione, naturalmente. – No, vado io con Johanna. Katniss potrebbe non essere abbastanza veloce.
- Nemmeno tu lo sei, Peeta. E tu mi servi qui per fare la guardia.
- Basta! Il piano è di Beetee, quindi dobbiamo seguire le sue indicazioni senza discutere – la voce seccata di Johanna ha messo a tacere ogni altra lamentela, e ha preso la spoletta di filo dalle mani di Beetee per enfatizzare il messaggio.
Peeta mi ha guardata come se non credesse a ciò che stava succedendo. Neanche io ero felice della nuova svolta: allontanarmi da Peeta significava perderlo di vista. Avrebbe potuto voler dire perderlo, se qualcosa fosse andata storta. Non averlo sotto gli occhi ogni secondo mi rendeva ansiosa. E per lui era la stessa identica cosa. L'ultima volta che ci siamo divisi ho subito l'attacco delle ghiandaie chiacchierone; il settore delle quattro è ancora lontano, però potremmo incappare in qualcosa di altrettanto spiacevole, se non pericoloso.
Ho voluto fidarmi lo stesso, stupidamente aggiungerei. Mi sono fidata del piano. Mi sono fidata dei miei alleati.
- Va bene così, Peeta – ho detto. Mi sono avvicinata a lui e gli ho dato un bacio sulle labbra. Ho sorriso contro di esse, cercando di mostrarmi tranquilla e fiduciosa. Peeta mi ha stretta forte a sé e ha baciato il mio sorriso. Non lo ha ricambiato, però.
- Fa attenzione – ha detto, la voce carica di tensione.
Ci vediamo a mezzanotte – gli ho sussurrato prima di allontanarmi insieme a Johanna.
Lei era agile davvero, mentre procedeva nel buio della giungla srotolando il filo passo dopo passo. Io la seguivo, a passo incerto, e mi guardavo intorno con una freccia già incoccata nell'arco e pronta all'uso. Ero più ansiosa per ciò che lasciavamo all'albero... per chi lasciavamo all'albero. Ma siamo avanzate comunque, guadagnando terreno, mentre i minuti scorrevano. Il tempo scorreva, anche se non sapevamo se in modo lento o veloce.
- Meglio che ci sbrighiamo – ha detto Johanna. – Voglio mettere un bel po' di strada tra me e l'acqua prima che cada il fulmine. Nel caso Lampadina abbia sbagliato qualche calcolo...
Ed è stato allora che qualcosa è cambiato. Il filo metallico, che avevo appena preso per dare il cambio a Johanna, è diventato più lento. Non c'era più nulla, dall'altro capo, ad opporre resistenza, e quello che avevamo srotolato fino a quel momento ha cominciato ad ammucchiarsi attorno ai nostri piedi. Non poteva essersi spezzato accidentalmente. Era stato tranciato di netto.
Insieme al filo, giunsero i rumori dei passi che si avvicinavano a noi.
Ho fatto cadere a terra la spoletta e mi sono voltata, la freccia già incoccata e pronta a colpire.
- Scusa – ha detto Johanna alle mie spalle.
La spoletta mi ha colpito alla testa. Sono caduta di peso, colpendo il terreno sotto di me con forza. Ho iniziato a perdere la vista e, forse, anche conoscenza. Deve essere stata una questione di secondi, o istanti, perché Johanna era ancora accanto a me quando ha iniziato ad armeggiare col mio braccio. Un dolore lancinante è andato a sommarsi con quello che già provavo alla testa. Ho provato ad urlare, ma mi sembrava di aver perso anche la voce. Non è uscito nulla dalle mie labbra, a parte un rantolo.
- Zitta! E sta giù! – mi ha sibilato lei, premendo una mano viscida sulla mia bocca.
Si è rialzata e due secondi dopo è già sparita, lasciandomi stesa a terra in mezzo alle piante. Nonostante la confusione in cui mi ha fatta sprofondare – perché è stata lei, a colpirmi con la spoletta -, sono riuscita a percepire il sangue che lasciava il mio corpo dalla ferita al braccio. Sentivo il sangue che ha cosparso sul mio viso, bagnato e caldo. Riuscivo a sentire i passi di chi mi si stava avvicinando. Nemici? Alleati?
Ma ci sono ancora delle persone, qui dentro, che posso definire alleati?, la domanda che vorticava veloce nella mia testa.
Non mi sono mossa quando le gambe di due persone mi sono corse davanti. Si sono soffermate per poco su di me e sullo stato in cui, apparentemente, vertevano le mie condizioni.
- È praticamente morta – ha detto Brutus alla sua compagna. Hanno ripreso a correre, seguendo la scia disordinata che si è lasciata dietro Johanna scappando.
Sto morendo? Davvero? L'ho desiderato così tanto, ultimamente, che non mi sembra vero. Sta succedendo davvero. Sto morendo. Peeta non me lo perdonerà mai...
Peeta.
Il suo nome è l'unica cosa che mi fa rimettere in piedi. O almeno ci provo. La vista ondeggia, la testa pulsa, il braccio brucia. E quando mi sollevo, facendo forza sulle mani, una morsa di dolore invade il mio ventre. Boccheggio, cercando di respirare dal naso. Ho i denti contratti per impedire a me stessa di urlare. Non devo urlare, non posso farlo. Se urlo, i Favoriti capiranno che non sono ancora morta e torneranno indietro per finirmi. Ma non posso morire prima di aver raggiunto Peeta. Prima di avergli dato l'addio. Glielo devo, almeno questo...
Riesco ad alzarmi e a fare pochi passi prima di vomitare. Cado carponi, e resto così per un po', aspettando che passino sia la nausea che la fitta alla testa. Inizio a risalire la collina, quasi strisciando sul terreno. Mi devo fermare appena mi accorgo dei passi che si avvicinano. Altri passi. Sono davanti a me, e sono velocissimi. Non possono essere i Favoriti, loro sono scesi più in basso... no, può essere eccome uno di loro. Solo che non l'ho mai considerato tale fino a cinque minuti fa.
Può essere una persona sola.
Ed è Finnick, infatti. Mi appiattisco contro il terreno, lieta di avere davanti una sorta di siepe a coprirmi ulteriormente. Strizzo gli occhi mentre cerco di metterlo a fuoco, e mi mordo una mano quando un'altra fitta, forse anche più forte della prima, trafigge la mia pancia. Ancora una volta, non devo urlare. Finnick non deve sapere che sono qui, non ora che l'alleanza è finita. Non vedendomi, non mi ucciderà.
- Katniss! Johanna! – sussurra, guardandosi intorno. Quando capisce che non siamo lì, torna a discendere la collina a rotta di collo.
Ansimo, tornando a guardare il folto della giungla che si dirama ondeggiando davanti ai miei occhi. Ricomincio la salita, ma stavolta riesco a farlo come si deve: riesco ad alzarmi, e avanzo usando e prendendo qualsiasi cosa come appiglio. Alberi, foglie, il mio stesso arco... devo fermarmi più e più volte perché le fitte alla pancia non mi danno tregua, e arrivano ad intermittenza. Più vicine, per di più: sono sempre più vicine.
- No – grugnisco, graffiando il terreno, quando capisco cosa sta succedendo. Non puoi farlo proprio ora, penso. Non posso perderti proprio ora. – Perché... – mormoro.
L'ho pensato così tante volte. L'ho detto così tante volte da esserne ormai pienamente convinta. Ero sicura di questo, ormai. Ero più che sicura che non avrei mai, mai avuto l'opportunità di portare a termine la gravidanza, che non avrei mai avuto la possibilità di metterla al mondo come invece merita. Sapevo che non sarei mai riuscita a salvare la mia bambina dall'orrore di questo mondo. Pensavo che se fosse dovuto accadere sarebbe stato molto prima di adesso: il bagno di sangue, la nebbia velenosa, le scimmie. La mia caduta in acqua... ci sono state così tante occasioni in cui avrei potuto perderla e mi sono illusa, in qualche modo, che se non era ancora accaduto avrebbe potuto essere un buon segno.
Buon segno di cosa?
Ma adesso che sta succedendo, mi sento persa. Ho paura. Ho paura, e non voglio che succeda. Non voglio sentire la sua vita che scivola via, che mi abbandona. Non voglio perderla.
Non succederà, mi autoconvinco. Non sta succedendo. La mia bambina non sta morendo.
Continuo ad avanzare con questo mantra impresso nella mente, tra le fitte che continuano ad invadere il mio corpo e i capogiri che annebbiano la mia vista. Quando raggiungo l'albero dei fulmini, penso che sia una sorta di miracolo. O di miraggio. Entrambe le risposte sono accettabili, arrivati a questo punto.
Non c'è nessuno attorno al tronco ricoperto di filo dorato. Non ci sono né Beetee né Peeta. Finnick è da qualche parte più in basso, impegnato a cercare me e Johanna.
Il colpo di cannone mi fa sobbalzare ed urlare allo stesso tempo. Non so chi è morto. Non saprò mai chi è morto. Forse, tra non molto, lo incontrerò io stessa, e allora capirò di chi si tratta.
Un mugolio, proveniente da un punto non molto distante dall'albero, mi trascina fino a lui. – Peeta – mormoro, ma scopro che è Beetee. È incosciente ed irrigidito in una strana posa, ad occhi chiusi. Se non fosse per i mugolii sommessi che si fa scappare ogni tanto, penserei che il cannone ha sparato per la sua morte. Ma Beetee è vivo, è ancora vivo. A morire è stato qualcun altro.
Stavolta non trattengo le urla quando il dolore arriva. Mi accascio su me stessa, impotente, e premo con le mani sulla parte inferiore del mio corpo come se, in questo modo, potessi riuscire a fermare il tutto, ma sembra anche peggio. Il dolore della contrazione è peggiore.
È inutile ignorarne il nome quando sai alla perfezione di cosa si tratta. È inutile provarci, come se evitare di pronunciare quel nome, o non vederle per quello che sono in realtà, le rendano meno spaventose. Sono contrazioni, quelle che annunciano l'inizio di un parto prematuro. O di un aborto. Entrambe le opzioni sono terrificanti.
Qualcosa di bagnato mi cola tra le gambe.
- No – mi lamento, mettendo le mani in quella roba liquida che viene assorbita dal terreno. È troppo buio per constatare se si tratti di sangue o altro. In entrambi i casi, può portare con sé un solo significato.
La mia bambina sta morendo.
Ed io non ho nessuna speranza di salvarla.
Sto ancora piangendo, raspando il terreno con le dita, quando le mie mani incontrano la lama di un coltello. Un coltello legato al filo metallico di Beetee. Perché il filo è legato ad un coltello? Cosa stava cercando di fare Beetee? È per colpa di questo coltello che si è ferito?
Mille domande mi attraversano la mente, ma non so dare loro una sola, misera risposta. Non riesco a pensare a null'altro che non sia la vita che sta abbandonando il corpicino di mia figlia. Ma devo smettere di pensare anche a questo, nel momento in cui sento troppe cose avvenire contemporaneamente. La voce di Peeta che urla il mio nome, il cannone che spara di nuovo, e il fruscio della vegetazione che viene spostata da dei corpi in movimento.
- Peeta! – lo chiamo a mia volta. – Peeta!
Come se stessero aspettando solamente il mio segnale per rivelare la loro presenza, Finnick ed Enobaria appaiono a pochi metri di distanza, l'uno che insegue l'altra. Non mi notano, nascosta come sono dal tronco dell'albero. E questo vantaggio che ho su di loro mi permette di puntare una freccia proprio nella loro direzione, pronta a scoccarla al primo momento buono. Posso ucciderli entrambi senza che nessuno di loro abbia la minima idea di chi sia stato a mandarli al Creatore, così Peeta avrà due tributi in meno a cui pensare. Sarà più vicino alla vittoria, con due nemici in meno.
Nemici.
Ricorda chi è il vero nemico.
Abbasso la freccia. Smetto di provare ad uccidere Finnick ed Enobaria. Le parole di Haymitch sembrano così vere, come se lui fosse qui accanto a me, a pronunciarle dritte nel mio orecchio. Lo rivedo, davanti all'ascensore, mentre ci saluta prima di ritirarsi per la notte. La notte prima dell'inizio dell'Edizione della Memoria.
Nemico. Ricorda chi è il vero nemico.
Guardo il coltello, guardo il filo dorato che ne avvolge il manico. Col respiro pesante, guardo la fitta vegetazione alla mia sinistra. A pochi metri da dove ci troviamo io e Beetee c'è il campo di forza. Nel punto più alto riesco a vedere lo sfarfallio, il pannello scoperto, il punto debole, come lui mi ha insegnato a riconoscerlo al centro di addestramento. Un tuono annuncia l'arrivo della tempesta di fulmini. Guardo le nubi scure riunitesi sopra alla mia testa, oltre le fronde degli alberi, e capisco cosa ha cercato di fare Beetee. Capisco cosa devo fare io adesso.
Tutto, improvvisamente, acquista un senso.
Sciolgo il filo e inizio ad avvolgerlo attorno all'estremità della mia freccia, trattenendo a stento un urlo per l'arrivo di un'altra contrazione. Riesco a cogliere il momento in cui Finnick capisce che mi trovo lì, a diversi metri di distanza da dove si trova lui.
- Katniss! Vattene via da lì! – urla, sovrastando il ringhio di Enobaria che approfitta proprio del suo attimo di distrazione per riprendere ad attaccarlo. – Allontanati da quell'albero!
No che non mi allontano.
Col volto rigato dalle lacrime, in preda al dolore e alla paura, mi sollevo sulle ginocchia e tendo l'arco, puntando la freccia contro il campo di forza, contro il pannello rivelatore. Aspetto, conto i secondi che mancano al prossimo tuono, certa che porterà con sé anche il primo fulmine della mezzanotte. Certa di poter portare a termine ciò in cui non è riuscito Beetee.
- Katniss, allontanati!
Avviene tutto in fretta.
Lancio la freccia nell'esatto istante in cui il cielo si illumina di pura luce bianca, nell'esatto istante in cui sento la contrazione invadermi le viscere e che mi fa urlare dalla disperazione. Nell'esatto istante in cui il fulmine colpisce l'albero, la freccia svanisce attraverso il campo di forza. Per un secondo non accade niente. E poi...
La potenza dell'impatto è tale da sbalzarmi via dal punto in cui ero accasciata. Sbalza via tutto ciò che ha intorno, compresi Finnick ed Enobaria. Il mio corpo urta il suolo, sento qualcosa che si rompe. Ma non mi interessa scoprire cosa si è rotto. Nulla ha più importanza.
Ho gli occhi pieni di luce mentre muoio.

Nel silenzio della notte (In The Still Of The Night)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora