Crystallum Sogni Perduti

By GiovanniCacioppo

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#1 Romanzo Fantasy della saga "Crystallum" Attenzione - Cartaceo ed Ebook disponibili su Amazon. Gratis se si... More

Comunicazione Importante
Capitolo 1 - Prima Parte
Capitolo 1 - Seconda Parte
Capitolo 2 - Prima Parte
Capitolo 2 - Seconda Parte
Capitolo 3 - Prima Parte
Capitolo 3 -Seconda Parte
Capitolo 4 - Prima Parte
Capitolo 4 - Seconda Parte
Capitolo 4 - Terza Parte
Capitolo 5 - Prima Parte
Capitolo 5 - Seconda Parte
Capitolo 5 - Terza Parte
Capitolo 6 - Prima Parte
Capitolo 6 - Seconda Parte
Capitolo 7 - Intero
Capitolo 8 - Prima Parte
Capitolo 8 - Seconda Parte
Capitolo 9 - Prima Parte
Capitolo 9 - Seconda Parte
Capitolo 10
Capitolo 11 - Prima Parte
Capitolo 11 - Seconda Parte
Capitolo 12 - Prima Parte
Capitolo 12 - Seconda Parte
Capitolo 13 - Prima Parte
Capitolo 13 - Seconda Parte
Capitolo 14
Capitolo 15 - Prima Parte
Capitolo 15 - Seconda Parte
Capitolo 15 - Terza Parte
Capitolo 16 - Prima Parte
Capitolo 16 - Seconda Parte
Capitolo 17 - Prima Parte
Capitolo 17 - Seconda Parte
Capitolo 17 - Terza Parte
Capitolo 18 - Prima Parte
Capitolo 18 - Seconda Parte
Capitolo 18 - Terza Parte
Capitolo 19 - Prima Parte
Capitolo 19 - Seconda Parte
Capitolo 20 - Prima Parte
Capitolo 20 - Seconda Parte
Capitolo 21 - Prima Parte
Capitolo 21 - Seconda Parte
Capitolo 22 - Prima Parte
Capitolo 22 - Seconda Parte
Capitolo 23 - Prima Parte
Capitolo 23 - Seconda Parte

Prologo

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By GiovanniCacioppo


Il vecchio saliva su per il soffice promontorio, si aiutava con un tozzo e nodoso bastone da pascolo. La falce di luna, come in ogni notte di nuvole mancanti, cercava di vincere la luce delle stelle.

Si voltò a osservare gli sfocati bagliori giallastri della città vicina. Il viso era pallido e scavato. Distolse lo sguardo e avanzò: un passo, il bastone e un altro passo ancora.

In cima, un gigantesco albero ricopriva l'intera altura. Un tetto di foglie color sangue, solleticato dalla brezza. Il vecchio arrancò tra le radici che increspavano la terra e fuoriuscivano da essa come serpenti incontrollati.

Si aggrappò con entrambe le mani al pezzo di legno e si sedette lentamente su una roccia squadrata. Fissò con attenzione il mastodontico tronco per un lungo lasso di tempo e da quella breve distanza ne studiò ogni particolare. Portò una mano tra i capelligrigi e unti.

Dalla sacca di iuta che si portava appresso prese un fagotto composto da sottili brandelli di pelle e lo aprì con cura. L'involucro nascondeva una pietra bianca e porosa, piena di piccoli solchi irregolari e lui si premurò di non toccarne la superficie.

Ritornò a guardare l'albero e stavolta aggrottò la fronte. Lanciò la pietra ai piedi del tronco, proprio sotto le radici più grosse, sollevate dalla terra come onde in fermento.

Attese e continuò a fissare quel punto con tutta l'attenzione di cui disponeva. Era notte, ma la sua vista riusciva a penetrare il buio.

Una folata di vento lo raggiunse alle spalle e scosse il fogliame: l'imponente quercia si mosse come se avesse vita propria, per placarsi subito dopo senza aver fatto cadere una sola foglia.

Ma la pietra era ancora lì, al suo posto. Il vecchio fece una smorfia, strofinò i polpastrelli e si alzò nuovamente con l'aiuto del fidato bastone. «Non è ancora il momento» sussurrò, deluso.

Si chinò con una mano dietro la schiena e recuperò il fazzoletto di pelle. Quando fu così vicino da incrociare una radice, si alzò di scatto. L'austera espressione divenne un malinconico sorriso.

Una dozzina di rami, sottili e inquieti, sbucarono dalla terra scuotendo vermi e muschio, e si legarono alla pietra. Dopo pochi istanti, le appendici si ritirarono e rivelarono il minerale, stavolta lucente e levigato; colmo di un colorito violaceo. L'uomo strinse lo sguardo e lo prese con il lembo di pelle. L'osservò da vicino, più di una volta. Adesso, quella stessa pietra aveva una pallida fosforescenza, un lieve bagliore che si riflesse sui suoi occhi spenti. Rivolse l'attenzione al tronco e ritornò su di esso con passo deciso.

Seguì le irregolarità della corteccia, come se fosse la prima volta che la vedeva davvero. Indietreggiò e alzò il capo in direzione dei rami più in alto. «Bentornato, caro amico» disse con voce pacata. Strinse il pugno e lo rilassò titubante; poi allungò il palmo per accarezzare la dura pelle dell'albero. Diede due timidi colpetti e infine ne tastò la consistenza.

La mano divenne più scura, le dita si rinsecchirono e si allungarono, mutarono in scheletrici artigli dalle sembianze innaturali. Il suo volto scomparve nell'ombra di una sagoma indistinta, fatta di fumo. Al posto degli occhi vitrei, si accesero due fiamme bianche. Sentimenti sopiti risalirono a galla: la fame, più incisiva di quanto ricordasse, arrivò spietata. Una necessità che gli fece voltare lo sguardo verso le luci della città. Non ora, pensò, non così vicino a un centro abitato. Serrò il pugno e gli artigli scalfirono i palmi come fa il ferro sul legno.

Si allontanò dall'albero, e ritornò all'aspetto umano. Riprese il bastone da terra. Il volto contrito si rilassò. Il ferale bisogno era stato acquietato.

«Il tempo è stato un meticoloso spazzino del vostro ricordo,» disse rivolgendosi nuovamente al vegetale, «ma il tuo ritorno può solo significare che gli eventi sono al volgere della marea.» Rimase immobile, per un tempo indefinito.

Infine, zoppicò giù dalla piccola collina. Il passo lento, affaticato. Attraversò il sentiero e si diresse verso la foresta.


Lì, i suoi contorni si persero nella notte come una goccia in un lago.

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