capitolo9

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-Pov's Emma-

Non ero affatto sicura che far vedere i miei ricordi avrebbe migliorato molto la situazione, ma dovevo pur sempre tentare.

Loro dovevano fidarsi di me, oppure la mia impresa sarebbe stata inutile.

Ero felice che mi avessero accettato al tavolo, comunque.

O almeno, che QUASI tutti mi avessero accettato al tavolo.

Avevo la vaga sensazione di non piacere affatto a Piper.

Anzi, ero certa di non piacere affatto a Piper.

Per tutto il pasto nel padiglione della mensa mi lanciò occhiate velenose cariche di disprezzo. Gli unici momenti in cui non lo faceva, erano quelli in cui scambiava qualche parola con Leo, quando ignorava Annabeth e quando guardava Jason con un misto di malinconia e rabbia.

I suoi occhi caleidoscopici sprizzavano più scintille di quelli del figlio di Giove, a momenti.

Cercai di distrarmi e di distogliere la sguardo dalla figlia di Afrodite.

Mi ero volutamente seduta in un angolo del tavolo, per non dare troppo nell'occhio.

Accanto avevo Will.

Lui mi è piaciuto fin da subito.

Così gentile, dolce, ottimista. Sempre sorridente e pronto ad aiutare chiunque fosse in difficoltà.

E anche Nico mi era piaciuto molto... ma da quando l'ho abbracciato non mi ha più parlato. Sapevo di aver osato troppo con il figlio di Ade, ma vedere, anche solo per un momento, tutta la sofferenza che provava, mi aveva distrutto. Mi sarei arresa io, in quel duello, se non lo avesse fatto lui.

Quando aveva evocato le ombre di Ade, mi era quasi venuto spontaneo evocare la luce di Era.

Era un potere molto particolare di cui disponevo. Era la luce calda dell'affetto e della famiglia, non scintillante e cocente come quella del sole e nemmeno fredda e malinconica come quella della luna.

Non era stata neanche una mossa premeditata. Appena l'ho visto, così esposto e vulnerabile, la luce è uscita spontaneamente dalle mie mani. Per un istante ho visto al suo interno. Come un film di ricordi sbiaditi e rovinati dal rimorso.

Una ragazza con i capelli e gli occhi corvini, la pelle olivastra e lo sguardo allegro, vestita stile anni '40 che gli stringeva la mano. Un sorriso, delle passeggiate, dei gelati rubati, dei commenti sui compagni di scuola, sulla situazione politica, sul regime...

Poi una statuetta. Una del gioco mitomagia. Sporca, rovinata e quasi rotta.

E alla fine un nome... "Bianca".

Poi una donna. Sempre con la pelle olivastra, ma con i capelli più tendenti al marrone. Un hotel, un ultimo abbraccio, la sensazione di pericolo e poi di perdita. I ricordi su questa donna erano più sbiaditi, come se fossero troppo antichi.

E alla fine un nome..."Maria".

Poi un grande signore dai capelli unti e neri. La sensazione di morte. Il freddo. Una stanzina sbiadita e nera. Le urla delle anime. La fioca luce dei campi elisi.

Gli inferi e mio padre Ade.

Nico sentiva il suo dolore, ma era troppo impaurito per parlargli.

Poi la fuga dagli inferi ed un lungo viaggio nel mondo, con un spirito traditore.

Il desiderio di riportare in vita, anche solo per poco, la sorella.

Il profumo degli Happy Meal. La sorpresina al loro interno. La speranza che quel piccolo oggetto gli dava. Lo faceva sentire come se davvero si potesse ottenere un regalo così facilmente.

•Il dono degli Dei||storia di una ragazza molto particolare•Where stories live. Discover now