capitolo15

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-pov's Laurence-

Era davvero una bella giornata.

Il sole splendeva alto nel cielo, illuminando i verdi prati del Campo Mezzosangue, le cabine, ognuna con le proprie particolarità, il padiglione della mensa, l'arena, la Casa Grande e chi più ne ha più ne metta.

Faceva davvero caldo, infatti mi ero tolto la maglietta di cotone arancione che affibbiavano ad ogni semidio, che, effettivamente, è proprio quello che sono.
Un semidio.
Bah, chi ci avrebbe mai creduto che il musicista bello e dannato, figlio della popstar più melensa della storia, fosse in parte divino. Di sicuro, io no.

Comunque, abito stabilmente al campo da un annetto circa. Sono arrivato dopo la caduta di Crono e prima del risveglio di Gea, in quei sei idilliaci mesi di pausa in cui nessuno, dio o mostro o titano, aveva osato tormentare i semidei.
In quest'anno ho capito che faccio schifo a combattere, che non mi entrano in testa i miti greci e che l'unica cosa che so fare è cantare. Se non contiamo il suonare la chitarra, ovviamente. E nonostante sia figlio di Apollo, non sono un asso neanche nel tiro con l'arco e nella medicina. Dopo poco che mi alleno, infatti, mi fanno male le mani per la durezza della corda da tendere, quando sto per troppo tempo in quel luogo bianco e sanificato mi viene sempre voglia di prendere un'eccessiva quantità di ambrosia, mangiarla e prendere fuoco.
Inoltre, come se non mi sentissi già abbastanza diverso, non ho nemmeno i capelli del tutto biondi, tipici di molti figli di Apollo.

Lo so a cosa si pensa quando mi descrivo, anche perché è quello a cui ho pensato anche io. "Magari sono figlio di una divinità minore ed Apollo si è confuso..."

E invece no. Mi è apparso un sole sulla testa durante la guerra contro Gea, poi, successivamente, il mio caro genitore divino è venuto a trovarmi e abbiamo fatto una bella chiacchierata.

Ora, dato che ho appena terminato il mio turno in inferme-rottura di scatole-ria, sto prendendo il sole vicino al mare, a petto nudo e con le dita dei piedi ficcate nella sabbia. Il rumore delle onde mi rilassa molto, ma solo se non è troppo violento e forte.

I miei occhiali, che fortunatamente si inscuriscono con l'aumento della luce solare, coloravano il panorama di una strana tinta arancione caldo. Per un attimo, mi sentii in paradiso. Pardon, nell'Elisio.
Mi devo ancora abituare a queste "cose da pagani".

Poi, dato che Tyche non mi vuole bene, un bel gabbiano ha pensato di scaricare i suoi bisogni sul torace del sottoscritto, costringendomi a correre in acqua per pulirmi dal lerciume.
Ho detto che era una bella giornata? Bene, non lo è più.

Non mi piace l'acqua del mare. E' salata, scura e misteriosa. Non sai mai cosa nasconde.
Se in più consideriamo che il mio primo cagnolino è morto annegando nel tratto di costa vicino a casa mia...

No, non devo deprimermi. Devo restare allegro e sorridente.

Da quando è arrivata capelli bianchi, che si chiama tipo Gemma, o Emma, tutti sono preoccupati. "Cosa faremo? Chi combatteremo?"

Io so solo che non mi interessa. Se devo combattere, lo farò (anche se male, ma sono dettagli). Se devo stare fermo, lo farò (anche se sono iperattivo, e la vedo dura). In sostanza, farò quello che devo se devo.

Uscii velocemente dall'acqua, e mi avviai verso la mia cabina, dato che non avevo pensato di prendere un telo con me.

Ero già arrivato vicino alla cabina 1, quando mi sentii afferrare dolcemente una spalla. Mi voltai, e mi accorsi che dietro di me c'era Richard, il mio unico amico al campo, con un telo in mano.

Non potrò mai ringraziarlo abbastanza. Insomma, lui c'è sempre per me. Inventa scuse per farmi evitare gli allenamenti, mi aiuta in infermeria, si siede accanto a me ai falò, cerca di tirarmi su di morale quando la mia scorta di allegria finisce e, soprattutto, mi porta la cioccolata.

•Il dono degli Dei||storia di una ragazza molto particolare•Where stories live. Discover now