Capitolo 45

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"...quella cicatrice che hai sul fianco, chi te l'ha fatta?".

Ecco.

Il momento dei chiarimenti.

Quello che doveva arrivare.

"Gigli" mormorai.

L'uomo venne a sedersi con me sul divano.

Spostando il quaderno e l'astuccio.

Mi rannicchiai con le ginocchia al petto.

"Posso vederla?".

Questa era una richiesta azzardata.

Non mi piaceva mostrarla.

Percepirla su di me.

Ma forse era giunto il momento di superare quel trauma.

Stavolta non ero da sola.

Con me c'era il mio salvatore.

Timidamente alzai la maglietta.

Giusto per mostrare quell'oscenità.

Giulio la esaminò.

Poi ci passò sopra il dito.

L'indice.

Con delicatezza.

"Carino il tatuaggio...se non sbaglio è una canzone degli Oasis".

"Sì, proprio quella".

Il professore continuava a scrutare serio la ferita.

"Come te lo ha fatto?".

"Con un taglia carte".

Se ripenso al dolore mi sento male di nuovo.

Fu una coltellata.

E nonostante fossi a terra gli operatori del centro andarono prima da Gigli.

"Raccontami l'episodio, ti farà bene liberarti di questo peso".

"Giulio...io non voglio che il nostro rapporto cambi".

"Perché dovrebbe? Amelia tu sei una brava ragazza, qualsiasi cosa tu abbia fatto nel passato a me non interessa...ma se ti fa stare male voglio aiutarti, perché è questo quello che fa un bravo psicologo" sorrise.

Non vado fiera del mio passato.

Me ne sono successe di tutti i colori.

In quella stupida casa famiglia.

"Quando sono arrivata in casa famiglia ero ancora sotto shock per l'incidente dei miei genitori, mi sono sempre data la colpa dell'accaduto perciò avevo smesso di parlare. Nessuno riuscì a farmi pronunciare una semplice parola, così mi lasciarono nel mio mutismo per qualche mese finché non venni assegnata allo psicologo del centro, Gigli" spiegai.

"È più che normale la tua reazione, la tua difesa, molte persone reagiscono al trauma con il silenzio".

"...nei primi anni gli incontri si svolgevano in gruppo con gli altri bambini, eravamo troppo piccoli e in quell'istituto credevano che la resilienza di gruppo fosse una buona terapia. Pochi di noi erano migliorati nei loro problemi, io continuavo a non dire una parola...venni scansata da tutti, ero quella stramba che se ne stava sempre da sola".

Ricordare era come un pugno in pieno petto.

Un colpo secco.

Che ti lascia senza fiato.

"Ad undici anni, Gigli con lo zampino del direttore, mi obbligò a seguire degli appuntamenti individuali...lui parlava di cavolate ed io pregavo che finisse presto, non aveva capito proprio nulla. Forse il fatto che non ottenesse risultati lo faceva andare in bestia, anche se forse era normale visto che non aveva avuto altre esperienze professionali. Il dottor Ludovico Gigli iniziò a starmi col fiato sul collo, gli incontri erano inutili...parlava di quanto fossi un osso duro ma che forse aveva la terapia giusta per me" continuai.

CartapestaWhere stories live. Discover now