10 - Vincenzo

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La scuola è iniziata da un mese e sono ampiamente sopra la linea di galleggiamento. Potrei fare ancora di più, lo so, e sono stufa marcia di sentirmelo dire dai prof e dai genitori ma quello che ottengo per ora mi basta. La mia filosofia scolastica è molto semplice: fare il minimo indispensabile per non rovinarmi le vacanze estive. Nel frattempo cerco di capire cosa mi piacerebbe davvero fare nella vita e forse una mezza idea ce l'ho già, voi cosa ne pensate? E allora basta non scivolare troppo in basso nelle materie che mi stanno proprio indigeste e prendere qualche bel voto ogni tanto dove me la cavo meglio, giusto per far sorridere un po' i miei vecchi e magari far rosicare mia sorella.

A parte questi aspetti decisamente noiosi ieri c'è stata una novità del tutto inaspettata: è arrivato un nuovo compagno di classe. Ma che gioia! Ma che felicità! Ma che palle! Dovevano proprio appiopparlo a noi questo ufo arrivato da qualche luogo sperduto del sud. Vincenzo, si chiama, a prima vista mi è sembrato un imbranato senza speranza. Sotto una coltre di vestiti improbabili si porta in giro parecchi chili di troppo, e questo non è un buon inizio. In più, quelle poche parole che è riuscito a dire sono rimaste schiacciate sotto un accento meridionale del peso di una tonnellata. L'ha accompagnato in classe addirittura la preside, durante l'ora di mate, manco fosse un ospite di riguardo. Siamo stati sommersi di raccomandazioni riguardo all'accoglienza che avremmo dovuto riservare al nuovo arrivato e tutti abbiamo fatto di sì con la testa, da quei pecoroni che siamo, quando sappiamo benissimo che se è uno sfigato, come purtroppo sembra, rimarrà tale, e arrancherà ai margini della classe cercando inutilmente di farsi accettare nei giri che contano. All'ultima ora c'era fisica, educazionefisica, a scanso di equivoci, e siamo uscite fuori a correre sulla pista di atletica. Un gruppo di maschi cazzeggiava con il pallone da calcio, se lo passavano e ogni tanto tiravano in porta. Vincenzo non si era cambiato e assisteva a bordocampo. Lo stavo guardando proprio nel momento in cui un tiro alto e svirgolato è arrivato dalle sue parti. È stato un lampo, un movimento rapido e preciso che da uno come lui non mi sarei mai aspettata, il pallone gli è rimasto incollato al piede sinistro sollevato in aria e poi è stato depositato delicatamente a terra. L'ha fatto d'istinto, ne sono sicura, poi si è chinato a raccogliere la palla e l'ha rilanciata con le mani. È partito qualche fischio di approvazione da parte dei ragazzi ma credo che quasi nessuno, a parte me, abbia davvero compreso il valore di quel gesto. Modestamente, di calcio me ne intendo e sono sicura che quello stop perfetto non sia stato una botta di culo. Alla fine della lezione, prima di rientrare negli spogliatoi, mi sono avvicinata a lui con il pallone in mano. «Giochi a calcio?» gli ho chiesto. Per la prima volta quella mattina dentro i suoi occhi scuri si è acceso qualcosa.

«No» ha risposto, ma, a parte quella stupida sillaba che aveva deciso di usare per difendersi dalla mia intrusione, tutto il resto della sua persona diceva esattamente il contrario.

Gli ho lanciato il pallone, una parabola lenta e alta che è piovuta nei pressi dei suoi piedi. Il sinistro è scattato di nuovo, come poco prima, ha accompagnato dolcemente la caduta della palla impedendole di toccare terra. Vincenzo ha lasciato che ammirassi per un secondo l'abilità con cui teneva il pallone in equilibrio sul collo del piede, poi, con un movimento lieve, da prestigiatore, l'ha fatto saltare in alto di mezzo metro e l'ha raccolto con l'altro piede, da lì me l'ha rilanciato piano, esattamente tra le mani, poi si è voltato e se n'è andato via senza dire niente. Questo Vincenzo del cazzo, non so perché ma mi sta già sui coglioni.

 Questo Vincenzo del cazzo, non so perché ma mi sta già sui coglioni

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UNA RAGAZZAWhere stories live. Discover now