35. Per volere del destino

Start from the beginning
                                    

<<Che cosa significa che non potete aiutarmi?>>.

<<Signore, sono desolata ma il medico non è in città. Può sempre aspettare che la febbre si abbassi e al massimo portare il bambino in ospedale più tardi>> cercò di spiegarmi la receptionist del piccolo albergo che avevo incontrato appena lasciato Haddington Palace.

<<E se mio figlio dovesse peggiorare?>>.

Will non stava mai male e se, per sbaglio capitava, c'era sempre qualcuno che mi dava una mano. Io entravo nel panico non appena vedevo mio figlio star male. Anche se si trattava di una banale febbre. 

<<Signore, le condizioni meteo stanno peggiorando e anche se il medico fosse in città dubito fortemente che ci raggiungerebbe. Suo figlio ha solo un po' di febbre>>. Sapevo che le intenzioni di quella donna fossero unicamente quelle di tranquillizzarmi ma, non mi stava aiutando per niente. Non ero un padre modello e, di certo, chiamare Ellie o chiunque altro per chiedere consiglio mi avrebbe fatto passare per un incapace sotto ogni punto di vista. 

<<Io non so che cosa fare>> mi trovai costretto ad ammettere.

Ero inutile.

<<Gli metta uno straccio bagnato sulla fronte ed aspetti. Si fidi>>.

<<Va bene. Non ci sono proprio altri medici in città?>> tentai un'ultima volta sconsolato. Non mi sarebbe restata altra cosa da fare se non dare retta a quella donna.

<<Purtroppo in paese vi è solo quello gli altri vengono da fuori e per una febbre dubito che escano>>.

<<Capisco...>>.

<<Beh, in realtà...>> si schiarì la voce un signore anziano, avvicinandosi a noi zoppicando, <<c'è quello che soggiorna dai duchi>>.

<<Papà>> tentò di bloccarlo la donna guardando l'uomo con rimprovero.

<<Era il medico del Duca di Hamilton. Di per sé, è quello più vicino al momento>>. 

Era perfetto. Quasi un miracolo.

Ed anche troppo bello per essere vero.

<<Dubito che verrebbe qui per un bambino, signor O'Connor>>. Ci mise un attimo quella donna a spegnere il mio entusiasmo.

<<Io però potrei portarlo lì>>.

<<Dia retta a me e non a mio padre. Impacchi freddi e riposo. Suo figlio starà meglio, vedrà>>.

Mi congedai dai due con l'amaro in bocca. Non avevo risolto niente. Ero ancora in ansia per mio figlio. La pioggia, il freddo e adesso anche la febbre. Quel viaggio non sarebbe potuto essere più inutile e fallimentare di così. Speravo di rimettermi in macchina e di partire il prima possibile, invece mi ritrovavo bloccato in un albergo da quattro soldi, mentre Will aveva la febbre alta.

Avevo davvero bisogno di riposare e di togliermi quel senso di inutilità da dosso. Sarei dovuto restare a Chicago, avrei sofferto di meno e, adesso, mio figlio avrebbe avuto le cure che meritava. Ero un pessimo padre sotto ogni punto di vista.

Passai buona parte della notte a fare impacchi freddi sulla fronte di Will che passava dal tremare dal freddo a sudare dal caldo. Non avevo idea di che cosa fare, come agire. Non ero bravo in quello. Anzi. Probabilmente non lo ero in niente. Will era un bambino troppo intelligente per la sua età e si occupava molto più lui di me di quanto io lo facessi con lui e questo era sbagliato.

Alla fine crollai addormentato al suo fianco con un gran mal di testa che mi martellava le tempie. Il mattino successivo non mi ci volle un medico per capire di essermi ammalato anch'io insieme a mio figlio. Dovevamo aver preso freddo in aeroporto o quando eravamo arrivati in Scozia. Sta di fatto che ora eravamo in due ad essere zombie ambulanti.

La Principessa Che Non Credeva Alle FavoleWhere stories live. Discover now