1. Benvenuta a Chicago

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Solo allora mi accorsi di essere ferma davanti al posteggio dei taxi e che giustamente quel poveruomo stesse aspettando che mi togliessi di torno.

<<Sì, sono inglese, si sente tanto? Mi perdoni ma non mi sono proprio accorta di sostare davanti al suo taxi...>> cominciai a dire imbarazzata come non mai e portandomi come d'abitudine una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mia madre odiava questo tic nervoso che avevo fin da piccola, potevo solo immaginare che cosa avrebbe detto in quel momento se fosse stata lì: "Abigail, non è da donna sicura di sé avere un tic nervoso, non vorrai mica che le persone ti vedino debole, mi auguro?!".

<<Oh ma non si preoccupi! Tra connazionali ci si capisce. Quindi ha bisogno di un passaggio?>> domandò nuovamente indicando la valigia che avevo ancora tra le mani.

<<In realtà sì>> gli sorrisi mentre l'uomo si apprestava a prendere il mio bagaglio e caricarlo in auto.

<<Dove si va?>> domandò entusiasta.

<<Non ricordo con precisione l'indirizzo ma è una casa di moda, la "O'Connor's Creations">> spiegai salendo in auto, <<la conosce?>>.

<<Se la conosco?! Salga, la porto lì in men che non si dica!>>.

Era così euforico che coinvolse anche me. Un sorriso rilassato mi nacque sul volto e molto presto dimenticai tutte le preoccupazioni.

Ero una stilista emergente mi ero innamorata da piccola dei lavori e del talento di Marcus O'Connor uno dei migliori stilisti di tutti gli Stati Uniti e grazie a lui avevo coltivato la mia passione. Era lui il motivo del mio viaggio. Non stavo nella pelle all'idea di conoscerlo.

Solo quando fummo tutti e due a bordo riprese a parlare guardandomi dallo specchietto retrovisore sempre con quello strano sorriso che lo contraddistigueva.

<<Allora, da dove viene?>>.

<<Sono Scozzese, vivo a mezz'ora da Edimburgo...>> dissi vaga senza soffermarmi troppo sulle mie origini. Nessuno doveva conoscere la mia identità, primo perché sarebbe stato controproducente essendomene andata di nascosto, in secondo luogo perché non ero certa che mi avrebbero creduto.

<<Si sente, io sono del Galles ma vivo da più di vent'anni qui. È meravigliosa Chicago vero? Se devo essere sincero però a volte mi manca la mia patria...>>.

<<Si è mai pentito di aver lasciato la Gran Bretagna?>> domandai a bruciapelo tentando di togliermi quel piccolo tarlo che non faceva altro che alimentare la mia ansia.

<<Un po' forse nei giorni più bui. Ora però qui ho la mia famiglia e mi sento quasi del tutto un cittadino americano>> annuì tra sé e sé indicandomi una foto sul cruscotto, <<mia moglie e i miei due figli. Mi creda, non mi manca nulla>> sorrise.

Il resto del viaggio lo passai ad ascoltare la sua poco precisa descrizione della città. Era convinto che non sapessi nulla di Chicago ma non poteva sbagliarsi di più. Avevo letto molto della sua storia e dei suoi abitanti. Potevo quasi consigliare a qualcuno che cosa valesse la pena visitare o meno. Era davvero una delle città più belle che avessi mai visto e una come me che aveva viaggiato molto in giro per il mondo, penso che potesse atteggiarsi ad intenditrice.

In poco più di mezz'ora il taxi su cui viaggiavo accostò, fermandosi davanti ad un immenso edificio proprio in una zona molto trafficata della città.

<<My Lady, siamo giunti a destinazione>> mi comunicò voltandosi verso di me Frank.

Quando scesi dall'auto rimasi pietrificata di fronte all'entrata dell'azienda di moda più importante di tutto l'Illinois e dell'America in generale. Non avrei mai pensato che mi sarei davvero trovata faccia a faccia con il mio sogno. Pensavo che appena avrei messo piede nell'aeroporto di Edimburgo mi avrebbero presa e riportata a casa, invece in barba a tutti ero arrivata a destinazione.

La Principessa Che Non Credeva Alle FavoleOù les histoires vivent. Découvrez maintenant