1. Benvenuta a Chicago

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ABIGAIL

L'hostess si rigirò per alcuni istanti il mio passaporto tra le mani controllando che fosse tutto nella norma prima di restituirmelo con un'espressione svogliata. Sembrò metterci un'eternità e dopo tutte quelle ore di volo non potevo fare a meno di strepitare all'idea di essere finalmente arrivata.

<<Benvenuta a Chicago, signorina...>> fece per leggere con più attenzione il mio cognome sul pezzo di carta ma glielo impedii. Misi di scatto una mano sul passaporto e lo attirai a me con nonchalance.

<<Davis>> dissi poi forzando un sorriso di circostanza.

<<Mi sembrava di... oh non importa>> scosse il capo stanca, per mia fortuna, <<Benvenuta a Chicago signorina Davis, la compagnia le augura una buona permanenza>> sorrise a sua volta cortese.

Non ce la feci a trattenermi, era tutto il viaggio che lo facevo. Il mio autocontrollo era giunto al limite.

<<Grazie, sicuramente sarà meglio del volo...>> commentai scocciata afferrando la valigia e girandomi di centottanta gradi per dirigermi a passo spedito verso l'uscita.

Dopo mezz'ora di taxi per arrivare in aeroporto e più di nove ore di volo, con uno scalo, per di più seduta tra un uomo terrorizzato all'idea di volare e una donna che non faceva altro che parlare dei suoi figli e mangiare, l'unica cose che avrei voluto era uscire di lì il più velocemente possibile. Ad un certo punto ero così disperata che stavo per chiedere all'hostess dove potessi trovare un paracadute e l'uscita di sicurezza. Però, quando finalmente mi ero decisa a tentare il suicidio, hanno anninciato che stessimo per atterrare. Al diavolo me e la mia stramba idea di viaggiare in economica, viva la prima classe!

<<Oh arrivederci signorina!>> esclamò Gwendaline, la donna con la parlantina peggiore che avessi mai incontrato, quando le passai di fianco.

<<Salve...>> le sorrisi emettendo un sospiro di sollievo quando raggiunsi gli arrivi.

Finalmente ero arrivata a Chicago e subito venni travolta da un clima e da gente completamente diversa da quella della Gran Bretagna. Tutti di corsa e con indosso gli abiti più disparati: dall'elegante a quello che mia madre avrebbe tranquillamente definito "appena scappato di casa". Non ero mai stata tanto eccitata in vita mia. Mi sentivo come una ragazzina alla sua prima uscita da sola. Anche se, se dovevo essere sincera con me stessa, la realtà dei fatti non era poi così lontana.

Mi guardai in torno per un periodo di tempo che potevo senza dubbio paragonare all'eternità. Volevo imprimere nella mia memoria ogni immagine e odore di quel posto così lontano e diverso da ciò che ero abituata. Io nata e cresciuta in campagna finalmente assaporavo l'aria di una grande città.

Il mio sogno però durò poco, poiché venne bruscamente interrotto da una voce che mi riscosse e mi obbligò a tornare alla realtà.

<<Salve!>> disse qualcuno apparendo alle mie spalle e facendomi sussultare.

<<Oh mio Dio!>> esclamai portandomi una mano al petto.

Un uomo sulla cinquantina con un sorriso da un orecchio all'altro mi stava fissando in attesa di qualcosa. Alto, brizzolato e dall'aria curata mi sorrideva come se avessi dovuto sapere chi fosse e che cosa volesse.

<<Mi perdoni, non volevo spaventarla. È inglese vero? Si sente dall'accento. Mi chiedevo se avesse bisogno di un passaggio o se aspettasse qualcuno>> cominciò a parlare a vanvera tanto che feci fatica a seguirlo da subito, <<il fatto è che si è fermata proprio davanti al mio posteggio ed io dovrei lavorare, non so se mi spiego>> precisò notando la mia espressione perplessa.

La Principessa Che Non Credeva Alle FavoleWhere stories live. Discover now