Capitolo 2

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Mi potete trovare su Twitter, sono @/deargubler
Grazie per l'attenzione, buona lettura.
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"Ti chiamo appena atterro, ricordati che ti amo."

Digitai quel messaggio sulla chat di Jared prima di attivare la modalità aereo del mio cellulare.
I voli mi mettevano terribilmente in ansia, avevo sempre il terrore che qualcuno dimenticasse di spegnerlo e che potesse succedere qualcosa di terribile, facendoci andare in contro a morte certa.
Il signore seduto accanto a me continuava a navigare su internet, scorrendo con estrema calma la home della sua casella di posta elettronica.
Era un uomo di mezza età, con gli occhiali appoggiati sulla punta del naso. Indossava un completo scuro con la cravatta abbinata, era molto professionale. Sicuramente viaggiava spesso per lavoro.
Con la coda dell'occhio sbirciavo di tanto in tanto per controllare che disattivasse i dati, ma non lo fece.
"Mi scusi?" chiesi dopo essermi schiarita la gola.
L'uomo si voltò nella mia direzione, corrugando la fronte.
"Deve spegnerlo" gli dissi indicando il tablet che aveva in mano.
"Si, ora lo faccio" rispose. Ma non sembrava importagliene granché, dato che continuò col dito a scorrere le sue mail.
Tirai un sospiro di sollievo quando lo vidi riporre il tablet nella tasca anteriore della sua valigetta, e finalmente potei tornare a rilassarmi guardando fuori dal finestrino.

Sobbalzai nel momento in cui sentii scuotermi ripetutamente il braccio: era la hostess che mi risvegliava. Mi ero addormentata non appena l'aereo prese il volo e da allora non avevo mai aperto gli occhi, se non per sistemarmi e mettermi più comoda sul seggiolino.
"Signorina, deve allacciare la cintura di sicurezza, stiamo atterrando."
Risposi con un sorriso ringraziandola, mentre facevo quello che mi aveva ordinato.
Mi appoggiai nuovamente con la schiena al mio seggiolino, costretta dallo sbalzo di pressione dovuto all'atterraggio mentre le gambe mi tremavano dall'emozione di entrare nella grande Londra.

Appena scesa dall'aereo, entrai a passo svelto nell'enorme aeroporto di London Gatwick, rendendomi conto che in realtà non avevo idea di dove dovessi andare.
Decisi così di seguire l'ammasso di persone che scendevano dal mio aereo, quando finalmente raggiunsi l'area di ritiro bagagli.
Scorsi nel monitor il numero del mio volo, così mi posizionai il più vicino possibile al rullo trasportatore nell'attesa della mia valigia, mentre l'ansia mi stava già divorando.
Vidi immediatamente la mia grande valigia rossa (ancora mi chiedevo come avessi fatto a rientrare nel peso previsto) e non appena raggiunse la mia posizione la sollevai dal rullo, appoggiandola a terra.
Con i documenti ancora in mano, alzai il manico del mio trolley e mi trascinai la valigia fino all'uscita.
Appena si aprirono le porte scorrevoli, vidi un grande cartellone bianco con scritto il mio nome con un pennarello nero: "Bella Adams".
Che scema, pensai.
Sapevo subito chi si nascondesse dietro quello striscione, così scoppiai a ridere quando raggiunsi Jessica con una corsetta, gettandomi fra le sue braccia.
Jessica fu costretta a fare un passo indietro per non perdere l'equilibrio, mentre ricambió il mio gesto avvolgendomi fra le sue braccia.
"Mi sei mancata tanto" sussurrai fra i suoi capelli.

Jessica era mia cugina.
Da piccole eravamo cresciute insieme, avevamo un rapporto strettissimo.
Quando dovetti affrontare le separazione dei miei genitori passavo gran parte dei miei pomeriggi a casa di mia zia Ellen, dove appunto abitava Jessica.
Da lì diventammo inseparabili, come sorelle.

"Dio mio quanto sei cambiata. E cosa hai fatto ai capelli? Sei stupenda!"
Sorrisi imbarazzata al suo complimento.
Ormai era passato un anno e mezzo dall'ultima volta che ci eravamo viste, e da quella volta avevo schiarito i capelli di un biondo più chiaro rispetto al mio colore naturale, e li avevo accorciati fino sotto al seno.
Anche in lei notai diversi cambiamenti. In particolare non potei fare a meno di notare il tatuaggio sulla sua clavicola, con la data di nascita di sua madre, e la scritta "Heaven" sul polso.
"Forza andiamo, ho un sacco di cose da raccontarti."

Tutto il tragitto in macchina lo passammo ad aggiornarci sulle novità della sua famiglia, e io della mia e a parlare dei nostri fidanzati.
Jessica si frequentava con un ragazzo di Londra da qualche mese, ma ancora non sapevo se si trattasse di una cosa ufficiale, fatto sta che parlava di lui come se ci tenesse davvero, quindi aveva l'aria di essere una cosa seria.
Jessica rallentò non appena entrammo in una piccola via con delle villette a schiera, classico di quelle zone, e accostò davanti a una porta beige. Cercai di prenderlo come punto di riferimento.

"Ti chiedo scusa per la confusione, non farci caso" disse mentre infilava la chiave nella serratura.
Ero già preparata psicologicamente alla sua confusione, ormai avevo imparato a conoscerla.
"Mi sarei stupita del contrario" scherzai, e lei rise a sua volta in risposta.

Non appena si aprì, la porta rivelò una grande stanza.
Un divano di pelle bianco posto a sinistra della grande stanza, di fronte a una grande TV al plasma fissata alla parete.
Di fronte all'ingresso vi era uno stretto corridoio che portava a quattro stanze, due per ogni lato, mentre sulla destra vi era un'altra stanza divisa dal salotto da un grande arco.

"Jess? Sono già finite le birre, ne avevo preso un pacco sabato sera!"
Urlò una voce maschile proveniente proprio da quella stanza.
Fu in quel momento che dietro all'arco comparve un ragazzo alto, con i capelli scuri e un accenno di barba che ricopriva il suo mento.
I capelli erano bagnati e ricadevano sulla fronte, ed era coperto solo dall'asciugamano legato alla vita, che lasciava intravedere la linea V sul suo bacino.
In più, le sue braccia e il petto erano ricoperti da tatuaggi.
Nella mano destra teneva una fetta di pizza margherita, mentre con l'altra si sistemó il nodo dell'asciugamano.

"Merda" disse vedendomi, e per un attimo mi sembró di vedere i suoi zigomi tingersi di rosso.
"Oh Cristo, Liam, ti avevo detto di essere pronto per quando saremmo tornate!" disse Jess disperata, stringendosi fra indice e pollice la radice del naso.
Mi portai una mano sulla bocca per trattenere una risata, mente cercavo in tutti i modi di distaccare lo sguardo sul suo corpo seminudo.

"Mi dispiace Jess" disse fissandomi "Comunque piacere, io sono Liam".
Afferrò la pizza con la mano sinistra, pulendosi la destra sull'asciugamano bianco, sporcandolo di pomodoro.
Una volta pulita, mi porse la sua mano, che strinsi: "Sono Bella, piacere mio."
"Beh, diciamo che ero sicura che sarebbe successa una cosa simile,  ma non il primo giorno" disse Jessica fulminando il ragazzo con lo sguardo.
"Meglio se ti accompagno nella tua stanza" disse poi rivolgendosi a me.
Soffocai una risata nel vedere la sua reazione, poi la seguii in una delle stanze del corridoio.

Aprí la seconda porta sulla destra, e accese la luce.
Anche quella stanza era piuttosto grande.
Il letto matrimoniale era grande e posto al centro della stanza, la scrivania era sulla destra della stanza.
L'armadio era grande e spazioso, e non potei che esserne felice.
Vi era anche un grande specchio in una delle ante.
"Questa è la tua camera, qui puoi farci quello che vuoi. È casa tua ora!'
"Non so come ringraziarti Jess" dissi voltandomi verso di lei. "Non solo per questo... ma per tutto! Voglio dire..."
"Non devi infatti" mi interruppe sorridendomi "Pizza stasera?".
In tutta risposta annuii felice. Questo mi riportava alle nostre serate da adolescenti.
Mi mancava questa tranquillità.
Ora ero a Londra, ed era come ricominciare tutto da zero.

Champagne | H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora