Capitolo 33.

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Passarono settimane, e Malfoy non attuò nessuna vendetta.
Mi stavo iniziando a preoccupare.
Non mi stuzzicava più come prima, solo qualche volta, e davanti agli altri.
Sembrava quasi essere un mio normale compagno di scuola.
Ci vedevamo ai pasti, a lezione, agli allenamenti, lavoravamo civilmente al progetto di pozioni, sia in classe che fuori.
Le volte che era venuto in camera mia mi sarei aspettata battutine, giochetti, anche la sua vendetta, ma niente.
Zero.
Quel pomeriggio, esattamente sedici giorni dopo, dovevamo vederci per continuare pozioni.
La scadenza del professore aveva messo tutti con l'acqua alla gola.
Mi alzai dal letto, dopo il mio riposino pomeridiano, il primo dopo tanto tempo.
Guardai l'orologio, erano le quattro, Malfoy sarebbe arrivato alle sei e trenta. Avevo più di due ore, così decisi di andare in biblioteca.
Erano giorni che dicevo di doverci andare per prendere un libro di trasfigurazione, per poter fare delle ricerche in più, ma avevo sempre pochissimo tempo, così ne approfittai.
Rimasi in biblioteca quasi un'ora, facendo tutti gli approfondimenti necessari, alla fine, guardando l'orario e vedendo che erano le cinque e quarantacinque, decisi di tornare in camera.
Mentre camminavo, mi sentii chiamare.
«Rose!», disse Lysander, raggiungendomi.
«Ciao Lys!».
«Come stai?».
«Stanchezza a parte, bene..tu?».
«Io tutto bene, grazie.».
Sorrisi.
Io e Lys eravamo amici sin da piccoli.
«Senti Rose, sono qui perché la preside mi manda a cercarti.».
«Cos'è successo?», domandai, confusa.
«Non lo so, non me l'ha detto. So solo che mi ha chiesto di accompagnarti da lei.».
«Oh..va bene, andiamo.»
Arrivammo di fronte ai Gargoyle, Lys pronunciò la parola d'ordine e salimmo le scale a chiocciola.
Lys bussò, e dopo un “avanti” della preside, entrammo.
«Buon pomeriggio, signora preside, le ho portato Rose, come mi aveva chiesto.».
«Grazie mille, Lysander. Può andare.».
La preside si era un po' addolcita, dopo la battaglia di Hogwarts. Era arrivata a chiamare i ragazzi per nome. Solo quelli più diligenti, però.
Per esempio, mio fratello e i miei cugini rimanevano sempre Potter e Weasley.
Lysander andò via, e la preside si concentrò su di me.
«Bene, Rose, ti starai chiedendo perché sei qui.».
«Si, preside. È successo qualcosa?».
«No, è solo arrivato un pacco per te.».
«Scusi preside, ma come mai è arrivato a lei e non direttamente a me?».
«Perché mi è stato chiesto di consegnartelo direttamente.».
«Chi lo manda?».
«Lo manda Madame Maxime, la preside della sua vecchia scuola, Beauxbatons. Mi ha chiesto di riferirle che se fosse stato per lei non l'avrebbe mandato, ma non poteva non farlo. Vuole che sappia che non è costretta ad aprirlo e che lo ha inviato direttamente a lei perché, se l'avesse inviato ai suoi genitori, sapeva bene che non le sarebbe mai stato recapitato. E la sua vecchia preside è dell'idea che la decisione di aprirlo o meno spetti a lei.».
«Lei sa cos'è?», chiesi.
«No, mi dispiace, ma non lo so. Però insieme al pacco c'è una lettera di Madame Maxime.», disse, tirando fuori dal cassetto della scrivania una busta e poggiandola sul pacco.
«Grazie mille, preside. Ora posso andare?».
«Certo, vada pure.».
La ringraziai, mi alzai ed uscii dal suo ufficio.
Tornai in camera e la vidi vuota. Guardai l'orologio.
Mancavano ancora quarantacinque minuti prima dell'appuntamento con Malfoy. Pensavo di metterci di più nell'ufficio della preside, invece era stata questione di pochi minuti. Esitante, andai a chiudere la porta a chiave.
Mi sedetti sul letto, con il pacco di fronte, poi presi la lettera e la poggiai sopra.
Respirando profondamente, la aprii. “Cara Rose, mi dispiace davvero di averti inviato questo pacco, ma non ho avuto scelta. O meglio, una scelta ce l'avevo, quella di spedire questo pacco ai tuoi genitori. Anzi, in realtà, essendo tu minorenne era mio dovere spedire il pacco nella loro residenza. Tuttavia so che, se l'avessi fatto, ci sarebbero state molte probabilità che questo pacco non ti sarebbe mai arrivato.
Considerando che io ti sconsiglio di aprirlo, forse sarebbe stato meglio. Tuttavia hai quasi diciassette anni, sei una delle ragazze più responsabili che abbia mai conosciuto, questa storia non riguarda altri che te, perciò ho ritenuto che sia giusto che sia tu a scegliere cosa fare. Sarei felice se mi facessi sapere come stai e se va tutto bene, lì ad Hogwarts. Ti auguro tanta fortuna e ti mando un bacio enorme. In fede, Madame Maxime.”
Rilessi la lettera due volte. Non sembrava affatto la lettera di una preside. Però conoscendo i miei genitori, adorando mia zia, e dopo tutto quello che era successo, si era affezionata a me.
Ero nervosa, non sapevo cosa fare. Sapevo che mi avrebbe fatto male. Madame Maxime non avrebbe voluto inviarmelo, i miei genitori me lo avrebbero tenuto nascosto. Però la mia vecchia preside aveva ragione, toccava a me scegliere, e, conoscendomi, sapevo che l'avrei aperto comunque.
Tagliai la carta da imballaggio, lo aprii, e vidi che sopra c'era un telo bianco e sopra ancora un bigliettino. “Rose, se stai leggendo questo biglietto, vuol dire che ha deciso di aprire comunque il pacco. Volevo solo ribadire che sono stata costretta ad inviartelo, perché le persone che avrebbero dovuto averlo non l'hanno voluto, ed, onde evitare che il ministero le requisisse, ho preferito farlo avere a te.”
Avevo già capito di cosa si trattava, ma quel bigliettino me ne aveva dato la conferma.
Sollevai il telo.
Mi infilai la mano e senti una profondità non normale per la grandezza di quella scatola.
Era stata modificata. Madame Maxime aveva dovuto fare tutto all'insaputa del Ministero. Infilai la mano ed afferrai qualcosa a caso. Sorrisi.
Era un cappello, con dentro un naso da pagliaccio e delle ciglia finte. Se lo era messo per il compleanno di Lily, quando le avevamo organizzato una festa a sorpresa.
Io avevo messo i pantaloni e le scarpe enormi da clown e c'eravamo messe un chilo di cerone in faccia, insieme a Dominique.
Lo poggiai sul letto, poi presi qualcos'altro.
Man mano che il tempo passava il mio letto si riempiva di tanti oggetti, che portavano a tanti ricordi.
La sua divisa, i suoi libri, la sua scopa ed il boccino d'oro, che prendeva sempre, facendoci vincere, la sua bacchetta, le sue collane, i suoi anelli, i suoi vestiti.
Lì dentro c'era tutto, tutto quello che era stata. Un flebile sorriso mi pervase il volto, insieme ad un velo di lacrime. Un velo che si trasformò in un fiume quando estrassi un album.
Un album dalla copertina rigida, ornata da colori e da una foto raffigurante quattro ragazze, sorridenti e felici.
Quella foto era solo una delle mille che c'erano dentro.
Iniziai a sfogliare l'album, a guardare le foto che non finivano più.
Così come le mie lacrime.
Lasciai cadere tutto e mi raggomitolai su me stessa.
Avevo perso il controllo, non riuscivo a smettere di fermare le lacrime ed i singhiozzi, il tremolio ed il freddo.
Mi fischiavano le orecchie e, così come quel giorno del mio smistamento in Serpeverde, non riuscivo a sentire niente, almeno non in quel momento.
Non so quanto rimasi così, so solo che ad un certo punto fui costretta a risvegliarmi dal mio stato di trance. «Rose. Rose, ti prego rispondimi.», disse una voce, allarmata.
Piano piano, ripresi il contatto con la realtà.
«Siediti.».
Due mani mi si posarono sui fianchi e mi aiutarono a riprendere l'equilibrio che avevo perso, nonostante stessi sul letto.
«Rose, guardami.».
Sbattei le palpebre un paio di volte e poi lo vidi.
Scorpius.
«Come hai fatto ad entrare?», sussurai, «Avevo chiuso la porta a chiave.».
Non potevo pensare al fatto che mi avesse visto in quelle condizioni.
«Rose, ho bussato, ho urlato, ho cercato di aprire la porta in tutti i modi. Continuavo a chiamarti, ma sentivo solo i tuoi singhiozzi. Mi stavo preoccupando a morte. Alla fine ho fatto un incantesimo alla porta e sono entrato.».
«Saresti dovuto rimanere fuori.», dissi, riprendendo a piangere.
Non riuscivo a fermare le lacrime, mi vergognavo a farmi vedere così. Sembravo una bambina di tre anni che piange perché le hanno rubato un giocattolo.
«E non fare niente? Ma che dici?», sbuffò.
Strinsi i denti, repressi i singhiozzi, provai a non mostrare più alcuna emozione.
«Smettila.», disse ad un tratto.
«Di fare cosa?», sussurrai.
«Di trattenere le lacrime ed i singhiozzi. Sei tutta rossa. Più dei tuoi capelli, più di quando ti imbarazzi.».
«Non», singhiozzai, «non divento rossa quando mi imbarazzo. E poi, per colpa tua, non ho più i capelli rossi. ».
Altro singhiozzo.
«Okay, allora sei più rossa di com'erano i tuoi capelli prima che ti facessi lo scherzo. Comunque, non importa, devi bere un po' d'acqua.», disse, alzandosi.
«Dove la tieni?», riprese, guardandosi intorno.
«Sotto il letto c'è una borsa frigo.».
«Una borsa frigo?», chiese, perplesso. «Io bevo solo acqua fredda.». Singhiozzo.
Si chinò e prese la borsa frigo.
Mi porse una bottiglia d'acqua e la bevetti tutta d'un fiato.
«Va meglio?».
Annuii.
Respirai profondamente, rimanendo in silenzio.
Vidi Scorpius che si guardava intorno, un po' in imbarazzo, probabilmente. Ad un tratto abbassò lo sguardo sul letto, dove c'era ancora l'album aperto.
Lo chiusi di scatto.
Presi la scatola e lo lanciai lì dentro, insieme a tutte le altre cose.
Scorpius non disse ancora nulla.
«Scusami.», disse poi, dopo un po' di tempo.
«Di cosa?», chiesi, perplessa.
«Non sono..non sono bravo in queste situazioni, non so cosa dire o fare, quando una persona piange, o quando soffre. Ho preso da mio padre, purtroppo, questo aspetto.».
«Mia madre direbbe che hai la sfera emotiva di un cucchiaino.».
«Lo so, mi dispiace, davvero.», disse.
«Tranquillo.», risposi.
«In queste situazioni di solito che si fa?», chiese.
«Non c'è un programma da seguire. Si fa quello che si sente e basta.».
Dissi quelle parole, non pensando che quello che si sentiva di fare fosse abbracciarmi. Mi tirò di scatto lui e mi abbracciò forte.
All'inizio mi immobilizzai, poi però ricambiai.
Sentii il suo viso nell'incavo del mio collo, il suo respiro regolare.
«Hai un buon profumo.», disse, «Sai di rose.».
«Di rose?».
«Sì. Può sembrare banale forse, ma sai veramente di rose.».
«Senti,», continuò, «forse è il caso di smetterla con questa battaglia, sembriamo due bambini.».
«Non sembrava che tu la pensassi così, nello spogliatoio femminile, qualche settimana fa.».
«Quello è stato un colpo basso!».
«Tanto quanto i miei capelli biondi?». «Credimi, non sono paragonabili. Per un ragazzo quello è tutto.».
«Ma perché? Noi ragazze non è che se non abbiamo il seno grande non ci sentiamo donne.».
«Tu non hai di questi problemi.», disse, abbassando lo sguardo e alzando un sopracciglio.
«Ou!», gli tirai il cuscino e mi misi le mani davanti.
Rise.
«Comunque, è diverso, non potete capire.», disse.
«No, infatti.».
«Ti va di andare a fare una passeggiata?», chiese.
«Non possiamo, dobbiamo lavorare al progetto. Abbiamo poco tempo prima di doverlo consegnare.».
«Ma sei ancora scossa.».
«Non importa. Su, mettiamoci al lavoro.», dissi.
Scossa lo sarei stata sempre, però fui sorprese nel notare come, in poco tempo, fosse riuscito a farmi stare meglio.
Quel ragazzo era strano.
E lo ero anche io.

•||Dirty love.||•Where stories live. Discover now