Capitolo 9

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Spesso quando ero piccolo ho ricordato mia madre nei miei sogni. Era come se non volessi accettare che lei non c'era più. Ma ad un certo punto ho smesso. Non l'avevo più sognata da un po'. Ultimamente però ho ricominciato. È come se sapesse che ho bisogno di lei. Che mi manca. E mi viene a trovare nei sogni. Ora la vedo anche più frequentemente. Ogni volta che chiudo gli occhi.Come è successo adesso. Mi sono addormentato subito dopo essere tornato dall'allenamento di calcio di oggi pomeriggio. E non è stato un sogno tranquillo.

"Ciao piccolo , come è andata a scuola?" Mia madre è seduta sul divano, guardando il suo film preferito che stanno mandando in tv. Io sono uscito da scuola alle 13 ma poi sono andato a giocare a pallone con alcuni amici.
"Tutto bene, mamma" le dico prima di andarmi a sedere sul divano di fianco a lei. "Papà?"
"È fuori città, ma tornerà presto" mi dice prima di prendermi tra le sue braccia e abbracciarmi stretto. "Ti voglio bene, lo sai vero?"
"ti voglio bene anche io"
Mi sorride e poi cambia discorso. Mia madre me lo dice spesso che mi vuole bene quindi non mi è nuovo. "Ryan , mi diceva papà che ti ha iscritto al corso di calcetto. Ti piace giocare? O tuo padre ti sta mettendo pressione? Lo sai che non sei obbligato se non ti piace, posso parlargli..." La interrompo e le dico sinceramente "no mamma. Non mi sta obbligando, mi piace giocare"
"Allora magari domenica alla partita ti vediamo a vedere. Mi piacerebbe vederti, mentre fai strada per diventare un campione" mi dice sorridendo e io rido. "Mamma, devi venire. Così quando segnerò potrò dedicartelo."
Lei mi sorride "e adesso perché papà non c'è, possiamo mangiare le patatine e le schifezze mentre guardiamo Holly e Benji. Eh? Che ne dici?" Io l'abbraccio più forte e le dico " si si si" subito dopo prendo il telecomando e metto sul canale dei cartoni. Dopo qualche minuto arriva anche mia sorella e mamma la chiama per farla fermare "Annie vieni anche tu. Stiamo facendo una maratona di cartoni animati." Mia sorella viene vicino e si siede dall'altra parte di mia madre
"Però il telecomando lo prendo io, e vediamo Mila e Shiro" dice mia sorella
"No il telecomando è mio" dico
"Smettetela, tutti e due. Il telecomando lo tengo io. Se lo volete dovete passare su di me. Io e mia sorella ci guardiamo e Annie conta muovendo solo la bocca "1,2,3" al tre ci buttiamo addosso a mamma e le facciamo il solletico.
"Aaaah" urla ridendo forte "basta, basta mi arrendo" mostrando il telecomando.
Ridiamo insieme.
Buio. Oscurità. Non vedo niente.
No, no, no. Perché? Perche?

Apro gli occhi. Mi sento scosso. Sto tremando. Faccio un lungo respiro. Sembrava ieri quando facevo un brutto sogno e andavo da mia madre per farmi consolare. Piano piano riacquisto coscienza della realtà. Non mi alzo. Sono di lato sul letto nella mia stanza, in posizione fetale. Eravamo felici, nel sogno. Era tutto più bello. Divertente. Non posso che notare quanto questa casa era piena di vita, di felicità. Mentre adesso in questa casa vive la tristezza e la disperazione. Sento il mio telefono , che si trova sul comodino, vibrare e mi accorgo che mi stanno chiamando. Annie.
"Ciao Annie." Dico con voce rauca.
"Ciao fratellino." Dice euforica "stavi dormendo?"
"Si... Mi sono appena svegliato, sai allenamento pesante ed ero stanchissimo, sono crollato e non me ne sono neanche accorto."
"Vacci piano, campione. Come stai?"
"Tutto bene te?"
"Alla grande"
Sono felice che almeno lei abbia riacquistato un po di serenità. Mi ricordo quando ero piccolo, lei era la sorella più grande che subito dopo la morte di mamma si è vista catapultare tutte queste responsabilità su di lei. A soli 15 anni ha dovuto lottare contro il senso di perdita, di smarrimento e di vuoto, tutto da sola. Per non parlare del fatto che doveva occuparsi di fare la spesa e di pagare le bollette, perché papà era troppo depresso per occuparsi di se stesso, figurati di altre cose. A stento usciva dalla sua stanza. E non è stato facile per lei. Di sicuro  ha avuto la sua dose di problemi. Se n'è andata perché sperava in un nuovo inizio. Lontano da qui. Io l'ho appoggiata, ovviamente, senza farle sapere quanta paura avessi di restare da solo con nostro padre.
" come sta papà?"
"Beve. E si lascia vivere come sempre"
Il silenzio che segue mi fa percepire la tensione nel fare la prossima domanda.
"Come si comporta con te?"
Lei sa cosa fa lui quando è troppo ubriaco. Su di lei non ha mai alzato le mani. Perché lei non aveva nessuna responsabilita. Non è stata colpa sua. I primi anni senza mamma, papà si limitava a schiaffi e spinte verso di me. E mia sorella non era in lei. Faceva di tutto pur di non rimanere in casa. E quando era in casa era in camera sua o non parlava con nessuno. Rispondeva a malapena. Per affrontare il dolore si concedeva a tutti i ragazzi che la volevano. Quei pochi momenti di piacere erano abbastanza per farla stare bene. La notte però sentivo quanto tutto l'aveva sopraffatta, sentivo i suoi pianti isterici, i singhiozzi strozzati quando piangeva per tutta la notte. Le nostre stanze erano adiacenti e i muri sono sottili. Un giorno però incontró un ragazzo, che la consoló, la fece sfogare e la aiutó ad affrontare i suoi problemi. Grazie a quel ragazzo, che ora è il suo fidanzato, si è ripresa. E subito dopo ha affrontato mio padre. Gli disse che non era giusto che affrontasse il problema ubriacandosi e facendo sentire "un ragazzino di 13 anni" colpevole della morte della madre, che era sbagliato l'uso della violenza nei miei confronti, che era già abbastanza che suo fratello vivesse l'incubo della morte della madre nel giorno del suo compleanno, e che lui doveva ricominciare a vivere. E smettere di essere aggressivo se no lei sarebbe intervenuta. Io notai subito lo sguardo di mio padre. Lui non aveva mai alzato un dito su mia sorella. Ma in quel momento lo avrebbe fatto, non importa quanto lui le volesse bene, negli occhi aveva rabbia, rancore ed era incazzato. Lo conoscevo bene quello sguardo. Era... è, lo stesso che lui riserva a me. Quindi feci una cosa di cui lui fu felicissimo. Mi misi in mezzo e gli chiesi anzi lo pregai di non farle niente. Lui accettó ma una volta che mia sorella fu uscita con il ragazzo, me la fece pagare. Mi picchió con così tanta forza che mi lasciò lividi in alcune parti e mi slogó la spalla. Il giorno dopo non andai a scuola e Annie mi vide e non poteva credere ai suoi occhi. Quella fu la prima volta che la vidi piangere davanti a me e mi chiese scusa e mi disse che le dispiaceva un migliaio di volte mentre mi stringeva nelle sue braccia. Da allora abbiamo imparato di non dire mai cose che potevano farlo incazzare.
"Come al solito. Cerca sempre di controllare ogni cosa che mi riguarda. Mi dice cosa devo e non devo fare, e se non lo faccio sono guai. Però per la maggior parte ci ignoriamo " mi interrompo non voglio dirle altro. Non voglio farla preoccupare.
"E quando è ubriaco?" Mi chiede in un sussurro. Avevo lasciato fuori questa parte. Ma so che lei sa.. Che non è cambiato niente.
"Annie non preoccuparti. È tutto sotto controllo"
"Dimmelo. Voglio saperlo."
"È sempre lo stesso. Non è cambiato niente. Ma cerco di non farlo arrabbiare"
Sento rumore dall'altra parte della comunicazione e le chiedo "cos'è questo rumore?! Che stai facendo?"
"Non preoccuparti. Dimmi piuttosto è il caso che torni a controllare la situazione? Devo intervenire?"
"No Annie non preoccuparti. Te l'ho detto è tutto sotto controllo" me lo merito. Qualunque cosa lui faccia, me la merito.
"Ma... Me lo diresti se... Tutto diventasse troppo... Mi chiameresti?
Cioè se esagera..."
"Si Annie. Se diventa troppo ti chiamo." Sento il fidanzato parlare dietro di lei e subito dopo lei mi dice "Ora devo andare ma ti chiamo dopo okay?"
"Non c'è bisogno ma va bene ...ciao"
Lei fa finta di non sentire la mia obiezione e dice "A dopo"

Controllo l'orologio sul cellulare e vedo che sono le 22. Ho dormito per 2 ore. Non ho neanche cenato, mi alzo e vado in cucina. Come al solito mio padre è sveglio ed è seduto sul divano a guardare una partita in televisione, mentre beve qualcosa che non vedo bene. Jack Daniels. Bene abbiamo cambiato, vedo.
Vado verso il frigorifero e bevo un po d'acqua, quando mi giro lo trovo in piedi vicino alla porta che mi osserva.
"Ryan. Non ti ho visto rientrare."
"Sono tornato alle 19 dall'allenamento e poi mi sono addormentato"
"Come è andato l'allenamento?"
"Tutto bene"
"Il coach ti ha detto se giocherai la prossima partita"
"Non ancora. Ma non ha nessun motivo per non farmi giocare"
"Mmm, bene" si appoggia con le mani ad una sedia. Siamo messi male se non riesce a stare in piedi. Ma quanto ha bevuto?
"Se ci sono delle feste o se esci non voglio che torni tardi. Ti voglio in forma. Non sto vedendo che stai mettendo su massa muscolare, stai facendo i pesi?"
"Si papà"
Mi studia per un momento poi "stai correndo la mattina?" Annuisco e lui aggiunge"tempo ?"
Non so perché si interessa di chiedermi di queste cose. Ah, già perché io sono importante solo quando si tratta del calcio. Giusto.
"7 minuti stamattina." Questa mattina ho corso più velocemente perché ho cambiato giro e sono andato verso casa di Lucy, giusto perché non si sa mai l'avrei incrociata. Avevo voglia di vederla. Però poi ho pensato 'perché mai dovrebbe essere sveglia alle 6 di mattina' e sono tornato a casa.
"Bene. Ti vedo più felice..."
"Solo perché non sono un morto vivente che si ubriaca da mattina a sera..." Sussurro senza accorgermene ma subito mi blocco quando mi accorgo di averlo detto ad alta voce. Mi immobilizzo. Diamine. Mi è scappato. No. No. No. Lo vedo dalla sua faccia, mi ha sentito e non gli piace quello che ho detto. Non gli piace per niente. Questo sguardo è lo sguardo che temo di più. È quello di quando mi ha slogato la spalla.
Si avvicina piano mentre dice "quante. Volte. Ti. Devo. Dire. Che. Non. Devi. Dire. Stronzate. Con quella bocca?!" Dice, il suo tono minaccioso. Io indietreggio ma non vado lontano prima di trovarmi contro il frigorifero.
"Non ti devi permettere di giudicarmi" si ferma "perche sei tu quello che mi ha ridotto così!" Spinta. "Tu l'hai uccisa!" Pugno. "Stronzo" mi prende per le spalle e mi spinge contro un mobile vicino vado a sbattere il fianco contro lo spigolo e mi accascio per il dolore. Penso che la costola si sia rotta. Cazzo.. Sento le lacrime accumularsi nei miei occhi. "Non piangere fottuto bastardo". Mi da un calcio, mi rannicchio sul pavimento mentre lui mi riempie di calci. L'ultima cosa che so è che con l'ultimo calcio sbatto la testa contro il mobile dietro di me e vedo nero. Perdo conoscenza, mentre lui continua ad urlare e a darmi calci dandomi la colpa del suo dolore.

Senza te non sono niente.Where stories live. Discover now