55. Occhi dolci

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Quell'esperienza li aveva avvicinati ancora di più e aveva anche rafforzato l'amicizia tra Diana e Markus.

Diana continuava a testare rossetti, indecisa sulle tonalità.
A casa li provava davanti a un Franz che continuava a dire che non lo sapeva.

"Quale preferisci tra i cinque? Ne devi scegliere tre" le chiese lei, dopo averglieli fatti vedere sulle labbra.

"Rifammi vedere il primo" esordì lui che si era scordato di quelle tonalità che gli sembravano tutte uguali.

"Oddio no, non ricominciamo. L'altra volta me li hai fatti provare dieci volte facendomi diventare le labbra come due canotti e non ne siamo venuti a capo. Ho le foto" asserì lei, piazzandogli davanti la faccia lo schermo del suo cellulare.

"No, questo è troppo chiaro" commentò lui scartando quel marrone cappuccino neutro.

"A me piaceva" bofonchiò lei, "con una matita più scura è bello".

"E allora tienilo" commentò lui, buttandosi esasperato sul divano.

Anche quel giorno non avevano risolto niente.

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Franz continuava a vedere Annette che gli sembrava persino più pressante del solito dopo aver scoperto che fosse fidanzato.

Non aveva accennato all'episodio della festa in maschera, ma continuava a chiamarlo sempre e a presentarsi da lui con le motivazioni più disparate.

Quella situazione iniziava a pesargli, rendendolo stressato a livelli esponenziali.
L'ufficio gli sembrava sempre più spesso una gabbia e quel palazzo di vetro che recava il suo cognome in cima assomigliava a una prigione in cui si rinchiudeva volontariamente.

Aveva bisogno di staccare il cervello da tutte quelle responsabilità che gli gravavano addosso ma al tempo stesso non poteva.

Voleva dire ad Annette che non riusciva a pensare lucidamente e che, a quanto pare, nemmeno lei fosse lucida visto che era palese che venisse da lui solo per torturarlo maliziosamente.
Non vedeva l'ora di togliersi di torno quella fusione che si stava rivelando una fonte inesauribile di stress, sia per la sua vita privata che per la sua vita lavorativa.

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Riemerse dai suoi pensieri e per sfuggire a quelle riflessioni decise di alzarsi da quella poltroncina in pelle che Markus una volta aveva definito la sedia del grande boss.

Sorrise, non si sentiva un grande boss.

Si stiracchiò leggermente, con l'intenzione di salire all'ultimo piano, dove c'era la palestra per i dipendenti.

Poi il telefono sulla sua scrivania squillò e lui si girò, guardando truce quell'apparecchio come se potesse farlo esplodere.

Il suo senso del dovere gli diceva di rispondere.

La sua mente gli suggeriva di chiudersi la porta alle spalle, come se non avesse sentito, e uscire dall'ufficio.

Sbuffò, alzando la cornetta.

"Oh Signore" mormorò esasperato, buttando giù senza nemmeno salutare.

Era la reception che avvisava l'arrivo di Annette, che si era infilata in ascensore prima che lui potesse accordare il suo ingresso.

Si versò un po' di rum, buttandolo giù in fretta e sperando che lo aiutasse a stamparsi il solito sorriso falso in faccia.

Annette entrò, accompagnata dal consueto suono dei tacchi vertiginosi sul suo marmo nero e dall'ormai familiare odore di bouquet fiorito e donna ricca.

Mi hai incatenato il cuore (In revisione)Where stories live. Discover now