5. Pausa pranzo diversa dal solito

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Diana la mattina si alzò a fatica, spense la sveglia e infilò la divisa.

Fuori faceva un freddo assurdo. A gennaio le temperature picchiavano duro a Berlino, e quei venti minuti a piedi che separavano il palazzo dalla fermata erano tremendi con il vento gelido addosso.

Entrò a scuola e attese l'interrogazione che l'aspettava alla prima ora.

All'uscita, Jan la trattenne per un polso e dopo qualche bacio le chiese se volesse essere la sua fidanzata, senza troppi giri di parole.

Ebbe un leggero sussulto a quella domanda, non immaginava di potersi fidanzare in quel momento.

Lo guardò bene, aveva la mascella definita, gli occhi chiari, le labbra sottili. Era un bel ragazzo senza dubbio, perché crearsi troppi problemi? Molte delle sue compagne di classe avrebbero venduto lo zainetto Chanel per fidanzarsi con un ragazzo del quinto anno quindi perché lei, che era l'ultima arrivata, avrebbe dovuto dire di no?

Rispose di sì, un po' per non sentirsi sola, un po' per non sembrare troppo strana, un po' perché il sentimento, ne era convinta, sarebbe arrivato con il tempo. Jan era un ragazzo d'oro con lei, premuroso e dolcissimo, prima o poi avrebbe sentito il cuore scalpitare nel petto, aveva solo bisogno di tempo.

La risposta affermativa scatenò in Jan una reazione forse un po' troppo esuberante, la baciò incurante dell'autobus che chiudeva le porte davanti a loro due.

Diana, appena staccò le labbra da quel bacio appassionato, sbuffò.

Il prossimo sarebbe passato tra mezz'ora.

Mezz'ora che, tra un bacio e l'altro, passò abbastanza in fretta.

Sull'autobus si toccò le labbra un po' gonfie. Era un po' rude quando la baciava e spesso non erano sincronizzati con il ritmo, lei cercava di stargli dietro ma lui correva incurante per conto suo. Alla fine lei lo lasciava fare, subendo il suo ritmo frenetico e qualche morsetto di troppo.

Fece la strada al ritorno con il naso all'insù, nonostante fosse più di un mese che facesse quella via tutti i giorni era ancora incredula. La strada era larga, con un marciapiede curato e pieno di panchine in marmo ma la cosa che la lasciava sempre a bocca aperta era il lusso sfrenato di quei palazzi, con delle terrazze enormi piene di verdeggianti siepi.
Il vetro era ovunque, alcuni appartamenti avevano intere pareti trasparenti, altri invece prediligevano l'uso di materiali chiari, per illudere ancora di più l'occhio umano ingrandendo otticamente le dimensioni già ampie. Sulla strada, inoltre, sfrecciavano, correndo impazzite, macchine di lusso che costavano quanto le case delle famiglie normali.

Diana imboccò l'ascensore di quel condominio che ospitava il superattico di Franz, chiedendosi, per l'ennesima volta, che bisogno ci fosse di un appartamento di due piani per una persona sola.
Aveva un tavolo in cristallo per almeno dodici persone, due divani in morbido velluto color cremisi che avrebbero potuto far sedere una squadra di calcio, una cucina in marmo chiara che avrebbe sfamato un reggimento e cinque camere da letto con bagno. Eppure non aveva visto nessun altro oltre lei e lui in quella specie di reggia moderna.

Arrivata all'ultimo piano, digitò il pin per entrare in casa.

Errato.

Provò di nuovo.

Errato.

Al prossimo tentativo sarebbe scattato l'allarme.

Imprecò, sedendosi a terra e chiamando la madre al telefono.

"Mamma" tuonò, infastidita, alla quinta chiamata.

"Pasticcino, sono al lavoro, che c'è?".

"Il pin è errato, come faccio a entrare?" sbuffò.

Mi hai incatenato il cuore (In revisione)जहाँ कहानियाँ रहती हैं। अभी खोजें