9. Che cazzo abbiamo fatto?

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Diana, appena sentì chiudere la porta di casa, si accasciò sul pavimento. Le gambe non la stavano reggendo più e scoppiò in singhiozzi.

Si toccò le labbra un po' gonfie per il modo passionale in cui le aveva baciate; aveva ancora il suo sapore in bocca.

Che cazzo aveva fatto?

Si era lasciata baciare così, come una puttanella qualsiasi, non opponendo nemmeno un briciolo di resistenza e protestando perché ne voleva di più mentre lui sorrideva soddisfatto ad avercela in pugno.

Sentì le lacrime intensificarsi di più e scorrere senza freni.

Le si affacciò una parole terribile alla mente.

Tradimento.

Aveva tradito Jan.

Aveva tradito il suo fidanzato.

E non poteva nemmeno raccontarsi la balla di non essere stata consenziente, perché lo era stata eccome.

Si era eccitata da morire con un bacio.

Aveva sentito distintitamente lo stomaco attorcigliarsi su se stesso quando lui aveva posato le labbra sulle sue e le aveva catturate in un bacio frenetico, scontrando la sua lingua esperta con la sua più timida in una danza meravigliosa quanto infernale.

Si era aggrappata alle sue braccia per reggersi in piedi perché le gambe erano diventate tutto a un tratto molli.

Era stata incapace di pensare ad altro se non a quel vortice di passione primitiva e proibita.

A ripensare a quelle sensazioni si ritrovò ad ammettere a se stessa, a malincuore, che le farfalle nello stomaco esistevano e non erano una dannata invezione letteraria.

Quello che aveva sentito quando Franz l'aveva baciata era stato un intero sciame di farfalle impazzite che sembravano ballare a ritmo sfrenato nel suo stomaco.

Anche se, più che farfalle innocenti, doveva essere stato un intero zoo dentro di lei perché si era sentita le viscere in subbuglio, completamente sotto sopra e dubitava che delle semplici farfalline potessero farle provare tutte quelle emozioni.

Con Jan non era così su di giri nemmeno quando lui la toccava.

Ma Jan era un ragazzino, un po' rude e frettoloso, e non un uomo con tredici anni in più di esperienza.

Rabbrividì di nuovo continuando a piangere sul pavimento della cucina.

Tredici anni.

Lui ne aveva quasi ventinove, lei sedici.

Porca puttana, pensò, era persino illegale.

Si ritirò in camera, notando con orrore che le aveva anche lasciato un succhiotto sul collo.

Nemmeno se ne era accorta.

Non mi piace vederti con i succhiotti.

Digli, al tuo fidanzato, che non si deve permettere a lasciarti i segni.

Perché lui poteva permettersi?

Che diavolo avrebbe raccontato domani a Jan? Che nella notte i succhiotti erano diventati magicamente quattro?

Al solo pensiero sentì il respiro intensificarsi, l'aria che incamerava non le bastava più e le stava mancando l'ossigeno.

Si appoggiò con le mani alla scrivania, esausta, cercando di respirare più a fondo per non boccheggiare ma i singhiozzi non la facilitavano.

Dopo due minuti in cui aveva creduto di morire asfissiata, riprese a respirare regolarmente.

Pianse tutta la notte, con la mano sulla bocca, per non far sentire i singhiozzi che le stavano sconquassando il petto.

Mi hai incatenato il cuore (In revisione)Where stories live. Discover now