30. Tregua

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Diana, dopo quella paura che l'aveva atterrita, aveva ricominciato la sua vita.

A scuola aveva portato una sciarpetta avvolta intorno al collo, inventando che avesse mal di gola.

Quei lividi se ne erano andati dopo una settimana.

Ma il segno che si portava nell'anima e che non era visibile dall'esterno, se lo sarebbe portata addosso per troppi mesi.

Jan l'aveva aspettata fuori scuola, e lei appena l'aveva visto, aveva sentito le gambe cederle, ma si era avvicinato tranquillo dicendo solo che voleva restituirle il giacchetto.

Poi avevano parlato alla fermata dell'autobus e lui aveva detto di aver cancellato il numero della madre e che si scusava per averla trattata male.

Diana storse il naso.

Trattata male era un eufemismo... aveva tentato di strozzarla e, se lei non avesse avuto così tanta paura, non sapeva come sarebbe andata a finire.

Mesi dopo la psicologa le dirà che i meccanismi per difendersi da un abuser sono quattro: freeze, quando ci si immobilizza, spaventati, sperando che finisca il prima possibile; fight, quando si combatte e ci si ribella; flight, quando si fugge via; fright, quando ci si ferma per fare in modo che l'abuser si interrompa e poi scappare.

In quel contesto lei aveva combattuto per poi correre via.

Gli altri giorni della settimana lui continuò ad andarla a trovare all'uscita, accantonando il proposito di farle cambiare scuola.

L'aveva chiamata di nuovo Didi e avevano anche fatto sesso in macchina senza che lui fosse troppo rude.

Quel periodo di calma durava da una ventina di giorni e Diana, nonostante ogni tanto sentisse l'alito di un fantasma nerissimo sul collo, pensava di aver ritrovato un po' di pace.

Magari era veramente cambiato.

Si era reso conto di averla trattata male e aveva deciso di non farlo più.

Quando sorrideva e le portava i fiori Diana era contenta, anche quando parlavano tranquilli sul sedile della macchina... lui le raccontava dell'università, di come la facoltà di architettura fosse complicata ma appagante e lei dei suoi voti a scuola. Quei momenti la facevano stare bene, anche se sotto sotto stava sempre un po' in allerta, pesando il modo in cui rispondeva, perché qualsiasi cosa l'avrebbe potuto far innervosire.

Quando Jan era il ragazzo che lei aveva conosciuto alle macchinette, spigliato e divertente, smetteva di sentirsi sola e aveva bisogno di quei momenti di tranquillità... Franz non c'era più e lei non aveva più modo di parlare con nessuno, quindi cercava di godersi quei momenti, sperando che fossero più lunghi possibili.

Aveva il disperato bisogno di aggrapparsi a qualcuno per non sprofondare nella solitudine più nera e poco importava che quel qualcuno fosse violento e la picchiasse.

Aveva promesso di non farlo più e lei, accecata dal dolore e circondata da un deserto arido intorno che la faceva sentire invisibile, ci aveva creduto.

Stava arrivando il Natale, le strade si ricoprivano di luci colorate, così come le case, e le vetrine erano piene di alberelli, elfi colorati e tanti pacchetti.

La tregua con Jan durava ancora e Diana si era davvero convinta che tutto si fosse risolto, probabilmente avevano toccato il fondo per poi risalire insieme.

Stavano passeggiando per il centro città, avevano preso una cioccolata calda e ora guardavano le vetrine, tenendosi la mano.

Da fuori sembravano una coppietta innamorata, e lei pensò che finalmente lo erano anche dall'interno.

Mi hai incatenato il cuore (In revisione)Where stories live. Discover now