Prologo

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Quattro anni fa

"Stai facendo una cazzata, fratello" lo apostrofò Markus.

"Sono stufo di essere considerato il bastardo di mio padre, devo prendere quello che mi aspetta" ribatté Franz, deciso.

"Magari ti considera così perché da quando ho memoria hai fatto solo una miriade di stronzate, Franz" gli fece notare.

Gli passarono davanti agli occhi tutte le avventure adolescenziali e giovanili che avevano passato insieme: le innumerevoli feste, l'alcool, due ragazze diverse per sera, qualche rissa violenta e i tanti richiami sia alle superiori che all'università.

I rispettivi padri che si mettevano le mani nei capelli, le madri che probabilmente si chiedevano dove avessero sbagliato per avere dei figli così scapestrati.

Con Markus probabilmente l'errore era stato la troppa bontà con cui l'avevano cresciuto; era figlio di una coppia di imprenditori e gli avevano lasciato credere che tutto gli fosse concesso... nonostante ciò era il più calmo dei due.

Franz era decisamente più focoso in qualsiasi cosa, complice un po' di sangue italiano nelle vene e una rabbia incontrollabile per essere considerato la disgrazia della famiglia.

Il padre era il proprietario della Meyer Company, un uomo tutto d'un pezzo, con il tipico carattere burbero dei tedeschi e con la testa fissata sugli affari e sui soldi. L'unico vizio erano le belle donne.

La madre era la classica donna di buona famiglia, attenta all'etichetta, un po' fredda e capace di punire ogni malefatta con un silenzio di ghiaccio.

Di ghiaccio.

Come il suo ventre.

Sterile.

Quando la coppia l'aveva scoperto avevano rischiato di far saltare il matrimonio, un erede era d'obbligo.

Un anno dopo, la donna che Hermann si portava a letto, rimase incinta. Dopo un attimo di scompiglio, il capofamiglia decise di tenere il pargoletto e di riconoscerlo come figlio ufficiale della coppia, liquidando con una bella somma la madre biologica.

Franz, Franz Meyer.

Nato il quindici giugno, in una clinica privata a Berlino, ufficialmente da Josephine e Hermann Meyer, in pratica venuto al mondo dalla puttana del padre.

La madre non lo aveva mai accettato e non gli aveva mai nascosto la verità. Ogni occasione era perfetta per rinfacciargli le sue origini.

Era cresciuto scontroso, incazzato e con la voglia di sfogare sugli altri la sua frustrazione.

Ricordava ancora la sensazione di inadeguatezza che si era portato addosso per anni come un bollino appariscente attaccato proprio sulla sua fronte.

Era come se fosse una sorta di marchio indelebile, il suo, impresso con il fuoco nella sua anima.

Certo, nessuno lo sapeva. Il padre era stato bravo a non far trapelare certe informazioni private, ma lui se l'era sentito addosso, come un macigno, che da piccolo gli aveva fatto desiderare tante volte di scomparire, di dissolversi come quelle nuvolette di condensa che escono dalla bocca quando respiri in un ambiente troppo freddo.

Poi, crescendo, la voglia di sparire nel nulla che l'aveva fatto piangere da piccolo, si era fatta da parte, lasciandogli solo una rabbia dirompente e distruttiva.

Era come se volesse farla pagare al mondo intero per avergli dato quella sorte ingrata. E soprattutto, ogni malefatta era un modo per punire i suoi genitori.

Genitori, si fa per dire.

Il padre meritava di avere un figlio così, pensava, perché non avrebbe dovuto metterlo al mondo fuori dal matrimonio. Lo aveva costretto a subire quella situazione solo per appagare l'egoistico bisogno economico di un erede che prendesse in mano la sua impresa.

Mi hai incatenato il cuore (In revisione)Where stories live. Discover now