36. Mi erano mancate le tue labbra

368 22 23
                                    


Il pomeriggio Diana chiamò la madre, spiegando tutta la situazione terrificante che si era sviluppata in quell'anno folle e intenso.

Adelaide aveva rischiato un infarto al telefono, non avrebbe mai immaginato niente di simile e scoppiò a piangere sentendo gli ultimi avvenimenti e la paura della figlia.

Non si era accorta di niente nonostante le telefonasse tutti i giorni. Improvvisamente si sentì in colpa per averla lasciata da sola. Aveva quasi diciassette anni ma era pur sempre la sua bambina e doveva aver bisogno di una madre... non era un robot. Si promise di starle più vicino.

Nonostante Diana non avesse accennato al rapporto intenso tra lei e Franz, la mamma esordì con: "Per fortuna state insieme e ti vuole bene, se non ci fosse stato lui a proteggerti non so come avremmo fatto, pasticcino... io purtroppo non sono molto presente. Gliene sarò sempre grata".

"Come fai a sapere che mi vuole bene?" chiese Diana, un po' scioccata.

"L'ho capito dalla voce, quando pronunci il suo nome sei più dolce. Spero solo possiate trovare un equilibrio, a me puoi dire tutto, non ti giudicherò".

"Non possiamo stare insieme, per il momento" esordì Diana, amara. Avrebbe tanto voluto poter dire al mondo intero che Franz Meyer le voleva bene... ma era fottutamente illegale.

"Appunto, per il momento" sottolineò Adelaide, "arriverà il vostro, presto".

Poi si diressero alla polizia, con la foto che aveva furbamente archiviato sul pc di quella volta in cui l'aveva quasi strozzata, le mutandine sporche di sangue, che Franz aveva fotografato e di cui aveva preso un campione per sicurezza, e ovviamente facendo vedere l'ematoma che aveva addosso.

Era uscita in lacrime e in macchina ringraziò Franz. Senza di lui non ce l'avrebbe mai fatta. Non poteva stringerle la mano di fronte ai poliziotti, ma l'aveva guardata così intensamente tutto il tempo che era come se le avesse infuso la sua energia e Diana era riuscita a raccontare tutto, seppure tra i singhiozzi.

Mi hanno presa sul serio solo perché c'eri tu e hai un certo cognome, se fossi stata da sola mi avrebbero riso in faccia, gli disse in macchina, per fargli capire quanto fosse grata di avere un uomo come lui al suo fianco.

Lui avrebbe tanto voluto dirgli che non era vero, ma in cuor suo sapeva che non fosse così.

Sapeva che tante donne denunciavano e non venivano credute, perché non avevano un Franz Meyer a sostenerle, ed era uno schifo tremendo.

A casa si rifugiarono sul divano, dopo aver contattato un hacker per ripulire i computer di quel criminale da ogni possibile traccia che contenesse Diana in qualche modo.

Era stata una giornata intensa, ma che li aveva avvicinati inesorabilmente.

Diana pensò che, con il gelato alla vaniglia in mano, sdraiata sul divano mentre lui la coccolava e con un video su YouTube che parlava di moda, non si stava così male e ci si sarebbe potuta abituare.

Anche se aveva un tumulto di emozioni dentro di sé.

Anche se moriva d'ansia solo al pensiero di quello che aveva fatto.

Aveva denunciato il suo fidanzato.

Ex fidanzato.

Solo a pensare a quelle due parole, sentì di respirare con più libertà, ne stava uscendo.

Stava uscendo dalla melma che l'aveva tenuta incollata al suolo senza respirare per bene.

La psicologa le dirà che una relazione tossica è come avere uno stivale che ti preme sul collo, impedendoti di respirare, e che ci si abitua a quella condizione, reputandola normale... poi però quando quello stivale viene tolto, ci si rende conto di non aver respirato sul serio per mesi, e la consapevolezza può essere talmente spiazzante da fare male.

Mi hai incatenato il cuore (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora