Capitolo 11

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Ad un tratto, vengo svegliata dalla luce del sole che mi colpisce il viso. Lamentandomi, affondo la testa dove l'avevo appoggiata.
Non me ne rendo conto subito, nonostante la superficie non sia morbida quanto un cuscino e abbia un dolce profumo intenso.
«Interrompiamo qualcosa?» esclama una voce alle mie spalle.
«Dormiamo, andatevene». Il mio cuscino risponde con una voce assonnata e roca.
Sollevo lo sguardo, immediatamente, e incontro gli occhi scuri screziati di Tae che mi spiano.
Il suo braccio è ancora intorno alla mia vita e mi tiene stretta a sé.
«Buongiorno, principessa» sussurra, regalandomi un sorriso.
Mi volto, vedendo Jimin, ancora con la mano su un interruttore da parte al camino, e Jungkook sulla porta con una faccia sorpresa.
«Non è come sembra!» mi sposto un po' terribilmente in imbarazzo, allontanandomi, mentre loro si mettono a ridere come se avessi raccontato la battuta più divertente che avessero mai sentito.
Mi alzo dal letto e mi dirigo verso il bagno, passando davanti ai due che non hanno ancora smesso di ridere.
Mi chiudo dentro e mi lascio scivolare fino al pavimento.
«Davvero, Tae?» mi arriva all'orecchio, la voce ovattata di Jungkook.
«Cosa? Davvero non è come pensate» risponde lui con voce calma.
«Aveva bisogno di essere consolata ieri sera?» continua Jungkook.
«Sì, e non era ieri sera, ma stamattina. Ha avuto un incubo e siamo andati a prendere dell'acqua in cucina... in realtà, è andata con Hobi e io l'ho raggiunta poco dopo» spiega ai due amici.
«Lei non è come le altre». Jungkook è implacabile, mentre non ho ancora sentito la voce di Jimin.
«Come se non lo sapessi». Questa volta, il tono sembra un po' infastidito.
«Allora smettila di illuderla, tanto sappiamo tutti come andrà a finire... ti stancherai di lei e la lascerai o sarai costretto a farlo» termina Jungkook e sento una porta sbattere.
«Forse, ha ragione lui» dice Jimin, dopo essere rimasto in silenzio per tutto quel tempo.
Non riesco a sentire la risposta perché la porta si chiude di nuovo.
Forse dovrei tornare di là e parlagli.
Esco dalla porta, ma trovo la stanza vuota. Torno verso il bagno, entrando nella cabina armadio.
Non c'è nessuno.
«Tae?» non ottengo risposta. Probabilmente hanno continuato il discorso fuori da qui.
Volevo conoscere la sua opinione... Forse dovrei ascoltare quello che ha detto Jungkook e mettere un po' di distanza: provare a conoscerlo prima di affezionarsi.
Torno in bagno e mi sistemo.

Esco e metto la felpa di sta mattina, che avevo lasciato sulla panca.
Scendo in cucina avendo un po' di fame, ma il brusio di voci mi fa proseguire fino alla fine del corridoio, dove a sinistra c'è una sala da pranzo a cui sono seduti i ragazzi.
Suga è il primo a notarmi e mi saluta, seguito da tutti gli altri; tranne Tae che solleva a malapena lo sguardo, per poi tornare a concentrarsi sulla lettura di alcuni fogli che ha davanti.
«Posso mangiare qualcosa in cucina?» chiedo e Jin subito annuisce, dicendomi di seguirlo mentre andiamo nella stanza da parte.
«Cosa vorrebbe da mangiare?» mi domanda, aprendo il frigorifero.
«Prima di tutto dammi del tu come hai sempre fatto, poi non sono troppo schizzinosa. Proponi qualcosa» rispondo,arrampicandomi su uno sgabello, dopo aver arricciato il naso per quella formalità inutile.
«D'accordo. Che ne pensi dei toast?» annuisco e lui comincia a tirare fuori l'occorrente.
Dopo pochi minuti, me ne mette davanti un paio, invitandomi con lo sguardo a mangiare.
«Allora, come ti senti?» chiede, sedendosi accanto a me.
«Non lo so, non ho ancora realizzato che non la rivedrò più» ammetto, dicendo la stessa cosa che avevo detto a Hobi la sera prima.
«Vedrai che con il tempo passerà... Perdonami, non sono molto bravo a confortare le persone». Sembra imbarazzato e non posso fare a meno di sorridergli e annuire, nonostante senta le lacrime pizzicarmi gli occhi.
Mangio con calma sotto il suo sguardo attento.
«Qual è il tuo dominio?» domando ad un certo punto, non avendo notato nulla di strano in lui.
«Sono un guaritore» mi risponde con un sorriso.
Conosco bene quelli come lui: a palazzo erano sempre presenti e, quando mi facevo male, ricordo che accorrevano; bastava un loro tocco per vedere la pelle rigenerarsi come nuova.
«Ne hai conosciuti alcuni immagino...» continua il ragazzo dai capelli castani.
Annuisco, mentre finisco di masticare.
«Sì, li ricordo in giro nel palazzo» mormoro, infine.
«Dimmi se posso fare qualcosa per te».
«Non credo tu possa aiutarmi con il mio tipo di dolore» ammetto tristemente.
«Hobi è più bravo di me, per quello che intendi tu». Annuisco, finendo di mangiare l'ultimo pezzo.
Il ragazzo mi passa un bicchiere d'acqua e intanto sistema il piatto in lavastoviglie.

Checkmate | K.Th.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora