26-LA CASETTA SUL MARE.

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DAMON
Guidai senza una meta precisa per ben due ore di fila, in un rigoroso silenzio. Di tanto in tanto la guardavo con la coda dell'occhio, era assorta in chissà quali pensieri, sperai che non avesse paura di me. Un'idea mi balenò in testa e senza pensarci due volte, la portai al mare, in quel posto in cui non ci avevo mai portato nessuno, davvero mai. Era uno di quei luoghi dove i ricordi ti logoravano, ma allo stesso tempo ti curavano. Non sapevo perché l'avevo portata lì, né se era una buona idea farlo, ma ormai eravamo arrivati e non si tornava indietro. <<Che ci facciamo al mare?>>, disse con un tono così pacato che quasi non la sentii, ci dirigemmo verso gli scogli l'uno accanto all'altro, ma non si aggrappò a me per camminare, <<voglio portarti in un posto>>, le dissi deglutendo, mi fermai ad osservarla e mi guardò negli occhi, era curiosa. <<È troppo buio qui>>, mormorò, parlava a bassa voce anche se non c'era nessuno. <<Non dirmi che hai paura dei mostri, nanetta>>, mi incamminai sugli scogli mentre lei indietreggiò, me l'aspettavo, era proprio una fifona, <<sei impazzito per caso? Io non salgo sugli scogli, in più ho i tacchi potrei morire>>, disse più impanicata che mai, avrei mai potuto farla salire su degli scogli, con dei trampoli ai piedi? <<Non fare la bambina e non sono stupido, togli quei cosi, ti aiuto io sta tranquilla>>, un po' titubante fece quello che le avevo chiesto di fare, poi le indicai passo dopo passo dove appoggiare il piede in modo che non si facesse male e in modo che non perdesse l'equilibrio, anche se, non capii come, mentre passava da uno scoglio all'altro, perse l'equilibrio e cadde all'indietro. L'afferrai per la vita, emise un gridolino per lo spavento e si aggrappò a me, per rimettersi in piedi. <<Oh mio dio, non voglio più venire, torno indietro>>, esclamò sicura di sé, nonostante la posa scomoda, riuscii ad afferrarla e prenderla in braccio. <<Non se ne parla, ti ci porto io>>, mi guardò con gli occhi sgranati, probabilmente pensava che fossi pazzo. <<No, Dam potresti scivolare e farci cadere>>, non le diedi retta e continuai a camminare come se niente fosse, ci ero cresciuto su quegli scogli, sapevo il sentiero a memoria. Quando fummo dall'altra parte, l'appoggiai delicatamente a terra, sana e salva come promesso. 

<<Finalmente! Mi hai fatto salire l'ansia>>, disse seguendomi, non ero in grado di parlare, rivedere quel luogo mi faceva sempre uno strano effetto. <<Dam, siamo arrivati?>>, mi chiese, continuai a non rispondere, i ricordi mi tornarono in mente come un tornado che non avrei potuto controllare nemmeno volendo, mi investì in modo violento, come ogni volta che tornavo qui. Mi sembrò quasi rivedere Margot sorridere, mentre correva verso il mare, amava così tanto il mare che sembrava avere un legame. Era una bambina solare, piena di vita, sembrava avere un sole dentro, un sole che le spensero a soli sette anni di vita. Come avevano potuto farlo? Aveva una vita davanti, doveva ancora fare ogni cosa. Avrebbe dovuto innamorarsi, portare il primo fidanzato a casa ed io avrei dovuto minacciarlo di trattarla bene. Avrebbe dovuto fare amicizia, andare a ballare, ubriacarsi, no, quello avrei preferito evitarlo, insomma avrebbe semplicemente dovuto vivere come tutti i bambini della sua età, e invece quel bastardo le aveva strappato via l'opportunità di farlo. Non sapevo ancora chi fosse il colpevole, Philip mi stava aiutando a cercarlo ma erano anni in cui non avevamo trovato neppure una traccia, sembrava essere un fantasma. <<Damon...tutto okay?>>, la voce di Hope mi riscosse dai pensieri, stavo fissando il mare con troppa insistenza, <<è tutto okay, vieni ti faccio vedere il mio rifugio>>, lo chiamavamo così io e Margot, era davvero il posto in cui l'estate ci rifugiavamo. Le afferrai la mano istintivamente, ne sentii il bisogno per affrontare quella porta, la porta della nostra casetta di legno, che nonostante gli anni, restava sempre bella, come lo era un tempo

Presi le chiavi nascoste sotto un sasso, aprii la porta e lasciando andare tutto il fiato che avevo nel corpo, entrai. Hope mi seguì senza dire una parola, probabilmente riusciva ad intuire cosa mi stesse passando per la testa. Azionai le luci, non c'era la corrente ma usavamo delle luci finte, bastavano delle piccole batterie per farle funzionare. Era una casetta piccola, infondo era stata costruita per due bambini, ma era dotata di ogni confort, per quanto fosse strano. Sulla parete a destra, c'era un piccolo tavolo con delle sedie, sui muri c'erano le nostre foto incorniciate, foto che ritraevano i miei ultimi momenti di vera e pura felicità. Infondo, sulla fine della casetta, c'era un lettino, infine sulla parete sinistra, c'erano due finestre molto carine che potevano anche essere aperte. Le finestre erano state fatte apposta per permetterci di guardare il tramonto o le stelle dal letto, la sera faceva freddo ma non volevamo mai andare via. Infine, in un angolo tra le sedie e il letto, c'era la mini-cucina con cui giocava mia sorella, amava far finta che mi cucinasse qualcosa di buono o come diceva lei, di appetitoso. Osservai Hope avanzare nella casetta e guardare ogni particolare, non disse niente e non riuscivo a guardarle il viso, non potevo sapere cosa ne pensasse. La vidi soffermarsi ad osservare una foto in particolare, l'unica foto della famiglia al completo, la famiglia che mi avevano strappato, come si strappavano le radici degli alberi. <<È la mia famiglia>>, la informai prima che potesse chiedermelo, mi avvicinai di poco per guardare anche io, nella foto eravamo proprio sugli scogli, ricordavo il nonno che aveva paura di scattarla. Mio padre era seduto e tra le sue gambe c'era la mamma, poi c'ero io e infine Margot tra le mie gambe, avevamo fatto una specie di trenino, <<siete molto belli>>, eravamo molto belli piccola Hope, ora era stato tutto distrutto, l'unica cosa che restava realmente della mia famiglia, era quella foto. <<Si lo eravamo fino a sette anni fa, quando sono morti tutti, tutti tranne me>>, si voltò e mi guardò, ebbi la sensazione che fosse in grado di percepire il dolore, quanto mi faccia male nonostante gli anni passati. <<Come, insomma, com'è successo?>>, non ero pronto a raccontare l'accaduto, ma non mi diede fretta. Presi posto sul letto e lei fece lo stesso, ci guardammo e mi prese la mano, stringendola tra le sue, voleva infondermi della forza che probabilmente, per quel discorso, non avevo. 

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