36°

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Si allontanò piano schiarendosi la gola imbarazzato mentre si passava una mano fra i capelli chiudendo gli occhi. 

-Non ti... devi preoccupare.- Ripeté il ragazzo abbassando la voce e quando ci fu uno sbuffo poco lontano ricordai che eravamo in compagnia dei signori Hale.

So-min si agitò un po' sul divano guardando nervosa Isaac che ci osservava senza dire nulla, sbuffando a volte. Schiarendomi la gola imbarazzata mi allontanai piano cercando di non incrociare i suoi occhi.

-Non è educato chiamare la tua ragazza " Mocciosa".- Lo rimproverò quest'ultimo, se solo Jake avesse potuto lo avrebbe fulminato con lo sguardo. 

-A me non da fastidio.- Dissi agitatamente cercando di difendere il ragazzo e quest'ultimo accennò un piccolissimo sorriso.
Ormai il mio stomaco era diventato un allevamento di farfalle.

-Ci sono altri regali da aprire.- Ci informò sua madre alzandosi e raggiungendo l'albero, sembrava voler evitare a tutti i costi una discussione davanti a me.

Mentre i due genitori aprivano i loro regali inviati da amici io scartai quello di Leda.
-Che regalo stai aprendo?- Mi chiese il ragazzo sentendo il rumore della carta.

-Quello che mi ha dato l'altro giorno Leda.- Lo informai sorridendo quando vidi spuntare dal pacco una cornice rosa pastello, la presi fra le mani osservandola.

-Che cos'è?- Jake si sporse verso di me sfiorando di poco i nostri nasi, non sembrò accorgersene. O forse semplicemente non gli importava.

-Una... foto incorniciata di noi due in prima superiore.- Risposi distogliendo esitante lo sguardo dal ragazzo. Sorrisi nel vedere come eravamo cambiate di aspetto in così pochi anni. 

-Me la descrivi?- Chiese Jake sorridendo un po' nostalgico, mi si strinse il cuore. Decisi di azzardare e gli presi la mano con cautela facendogli appoggiare l'indice sul vetro. 

-Qui ci sono io.- Dissi e per un momento il ragazzo non disse nulla sorpreso da quell'improvviso contatto. -Proprio al mio fianco c'è Leda.- Lo informai spostando di poco il suo dito facendolo scorrere sul vetro. 

-Indossava una maglia bianc...-
-Non mi interessa di Leda.- Mi interruppe lui.

-Descrivimi te.-
Ordinò aprendo lentamente gli occhi chiari e profondi. 

Deglutii cercando di non rimanerne ipnotizzata un'altra volta. -Ero più... bassa di ora, avevo i capelli più corti e non avevo ancora gli occhiali.- Dissi osservando il mio viso di qualche anno prima fare la linguaccia alla telecamera. Jake sorrise, rividi le sue tenere fossette.




Quello fu in assoluto il pranzo di Natale più triste della mia vita.
A tavola la tensione sembrava essersi affievolita rispetto al giorno prima, ma non era scomparsa. 

Raccontai a So-min e Isaac qualche aneddoto della mia infanzia prima di trasferirmi a San Francisco. 

La donna sembrava essersi affezionata a me anche se in poco tempo, forse era felice che suo figlio finalmente "stesse insieme" ad una ragazza. 

Mi si fermò il fiato quando ricordai il rapporto che secondo i signori Hale c'era fra me e Jake. Il mio cellulare squillò all'improvviso e io sobbalzai. 

-Axel?- Mi chiesi da sola leggendo il nome sullo schermo, il ragazzo al mio fianco sembrò sbiancare. -Scusatemi tanto.- Dissi alzandomi e facendo un veloce inchino. 

Sentii le guance bruciare alla stretta della sua mano sulla mia gamba. 

Il suo viso si sollevò lievemente per permettere ai suoi occhi di incastonarsi nei miei e soltanto da quelle nivee pupille compresi ciò che avrebbe voluto esprimere a parole. 

-Torno immediatamente.- Mormorai nel tentativo di calmare quella sua tensione, ma le sue dita premevano sulla mia pelle come a volercisi fondere. 

-Te lo prometto.- Scandii ogni sillaba e lentamente feci scorrere la mano sulla sua intimandogli di allentare la presa. Esitante, rinunciò a quel suo appiglio. -Va'.-

Mi allontanai riprendendo fiato, una volta fuori dallaportata di loro occhi e orecchie mi decisi a rispondere. -Pronto?- Boccheggiaicon voce gracchiante. 

Io e Axel eravamo usciti qualche altra volta dopo ilprimo incontro e sembravamo esserci trovati bene insieme, ammetto che lopensavo spesso.

-Ehi Amber, buon Natale.- Mi augurò dall'altro capo del telefono. -A te, comeva?- Sinceramente nel profondo speravo non mi avesse chiamato solo per farmigli auguri, cominciai a camminare avanti e indietro per la Hall.

-Saresti libera questa sera? Sai, per mangiare qualcosa e festeggiare insieme.-Titubante riuscì a sputare il rospo, dalla tenerezza non riuscii a trattenereun piccolo sorriso. 

-Non sono a San Francisco al momento, ma dovrei tornaredomani sera.-
-Allora ti offro la cena domani.- Esclamò. 

Chiusa la chiamata rimasi qualcheistante a fissare il vuoto, in conflitto con me stessa, e mi chiesi se fossegiusto, forzare i miei sentimenti.

Tornai al tavolo tenendo occhi e viso rivolti verso il pavimento: tutto quelloche volevo era evitare lo sguardo glaciale dell'uomo a capotavola. 

Non sembravoandargli a genio, in nessun modo. 

Forse aveva intuito la verità, che io e suofiglio non avevamo nulla a che fare l'uno con l'altra, o forse erasemplicemente il mio essere così diversa da quella realtà sofisticata a farmisembrare così patetica ai suoi occhi.

-Spero sia tutto okay, cara.- So-min lanciò un'attenta occhiata al miotelefono.
-Oh, sì. Era soltanto... un amico.- Dissi piano seguendo il suo sguardo.

-Già, un amico.- Sul labbro sfregiato la cicatrice del ragazzo si tirò in unasmorfia e io non potei non incolparmi di quel suo evidente fastidio. 

Non avreidovuto lasciarlo solo con i suoi genitori, sicuramente non reputava la chiamatadi un amico una scusa abbastanza importante per alzarmi e abbandonarlo inquelle circostanze. 

La LucciolaWhere stories live. Discover now