24°

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Mi rivoltai un'altra volta fra le lenzuola sbuffando senza riuscire a prendere sonno. 

Ero felice e in serenità dopo aver saputo che Jake era in salute, ci avevo pensato durante tutto il giorno in effetti. 

Non volendo essere avventata avevo deciso di non fare domande anche perché se ci fosse stato qualche problema sarebbe saltato fuori prima o poi. 

Così era passata la giornata, con Jake in camera sua e io prevalentemente in salotto. 

Quella sera però, quando il ragazzo aveva tirato fuori il discorso, non ero riuscita a trattenermi arrivando perfino a parlargli in modo informale. 

Mentirei se dicessi che non ero rimasta colpita dalla sua risposta, non gli dava fastidio se gli davo del "tu" e Jake Hale non era una cosa che diceva a tutti. 

Ero in un qualche modo lusingata di essere entrata nelle sue grazie. Sorrisi ripensando al suo sorriso, non si notavano subito, ma se ci facevi particolare attenzione potevi intravedere due piccole fossette. 

Scossi la testa sorpresa di aver notato un tale e quasi invisibile particolare, per poi mettermi a sedere infastidita. 

Stavo morendo di sonno, eppure una strana sensazione continuava a pervadermi il corpo impedendomi di addormentarmi. 

Mi alzai spazientita, forse dovevo solo bere e calmarmi un attimo, qualsiasi cosa mi stesse succedendo. 

Feci capolino fuori dalla porta cercando con la mano attaccata al muro l'interruttore per illuminare il corridoio che portava alle scale. 

Una volta accesa la luce mi sentii più sicura, raggiunsi il piano di sotto notando che stranamente la temperatura era calata di molto rispetto a qualche ora prima. 

Bevvi due bicchieri di acqua tutti d'un fiato e poi trassi un lungo sospiro. La casa era in totale silenzio e anche fuori non passava nemmeno una macchina. 

D'un tratto corrugai la fronte tendendo l'orecchio: c'era un rumore strano, come un lamento. 

Giuro che mi gelai sul posto quando capii che proveniva dalla camera di Jake. 



Aprii piano la grande porta di legno bianco e feci capolino all'interno della stanza. Il ragazzo era avvolto nelle coperte e si continuava a lamentare sempre più forte, agitandosi fra le lenzuola. 

Senza pensarci due volte mi avvicinai a lui, non potevo svegliarlo bruscamente, ma in qualche modo dovevo mettere fine all'incubo che sembrava tormentarlo. 

Con cautela appoggiai il palmo della mia mano sulla sua spalla scuotendolo leggermente, Jake sussultò e con una mossa veloce la scansò bruscamente. 

Ci fu un momento di silenzio che fu subito spezzato dalla voce roca del ragazzo. -Che cazzoci fai te qui?- 

Quando aprì gli occhi sembrò agitarsi ancora di più. 

-Lei... si stava lamentando... voglio dire tu, tu ti stavi lamentando così mi sono preoccupata e ti ho svegliato...- Dissi piano impaurita dalla sua reazione così inaspettata. 

-Non avresti dovuto.- Ribatté freddamente.
-Ma stavi male!- 

Alla fioca luce della abat-jour riuscii ad intravedere la sua fronte imperlata di sudore e senza neanche pensarci ci appoggiai la mia mano. La ritrassi subito dopo: scottava tremendamente. 

Lui scosse la testa sbuffando. -Hai la febbre, Jake.- Dissi a bassa voce per non alterare la situazione. 

-Non avresti dovuto svegliarmi.- Ripeté, mi si strinse il cuore quando realizzai come la sua voce si stesse facendo tremante a causa del pianto che cercava di trattenere. 

Era al culmine dello stress, non ne poteva più. Non volevo vederlo così, non lo sopportavo. 

Con molta calma mi sedetti sul bordo del suo letto e quando lui alzò il busto pronto a mandarmi via lo tirai a me. 

In un primo momento provò a scostarmi e io, in risposta, lo strinsi ancora di più. 

Chiusi gli occhi stringendolo un altro po' e appoggiando la mia testa sulla sua spalla respirai ilsuo dolce profumo. 

Cominciai ad accarezzargli la schiena con calma senza mai allontanarmi da lui, piano piano si accasciò fra le mie braccia. 

 -Non avresti dovuto...- Ripeté una terza volta per poi, finalmente, lasciarsi andare in un pianto silenzioso. 

Cominciai a giocherellare con i suoi capelli con una mano mentre con l'altra disegnavo dei cerchi immaginari lungo tutta la sua schiena. Non dissi nulla, non serviva in quel momento. 

-È l'unico modo che ho per tornare a vedere...- Ammise quasi in un bisbiglio, con voce roca dopo qualche istante di silenzio. 

Continuando ad accarezzargli la schiena e la testa mi sembrava di sentirmi meglio anche io, come se avessi aspettato per molto tempo quel momento. 

Come se fino ad allora avessi sempre voluto stringerlo fra le mie braccia con tutte le mie forze nonostante non potessi. 

Il suo viso pallido contro il mio petto mi diffondeva calore, i suoi arti che ancora ogni tanto provavano inutilmente ad allontanarmi erano deboli, i capelli soffici. 

Sperai che con quel gesto capisse che mi importava veramente di lui, non volevo che pensasse che facessi tutto quanto solo perché era il mio lavoro. 

Volevo che capisse cosa significava importare ad una persona. 

Si lasciò completamente andare su di me e solo dopo capii che si era addormentato. Lo tenni ancora per qualche minuto appoggiato a me prima di adagiarlo lentamente sul materasso e coprirlo con le coperte. 

Scottava ancora, ma probabilmente tutto era dovuto al troppo stress a cui era stato sottoposto quella giornata. 

Gli sistemai un'ultima volta la seconda coperta che gli avevo steso sopra per poi avvicinarmi nuovamente al ragazzo, ormai erano dieci minuti che si era riaddormentato. 

Ora sembrava essersi calmato, sorrisi osservandolo dormire. Era bello vedere che stava meglio. 

 Alzai di poco la borsa del ghiaccio che gli avevo adagiato poco prima sulla fronte e appoggiai le mie labbra sulla sua pelle calda. 

Gli diedi giusto un piccolo, innocente, bacio ma mi allontanai quando corrugò la fronte. 

Per un secondo temetti di averlo svegliato, ma tutto tornò nella norma pochi istanti dopo. 

Con cura lasciai che una compressa gli scivolasse tra le soffici labbra, gli alzai il viso invitandolo a bere qualche sorso d'acqua. Con difficoltà deglutì. 

Prima di uscire dalla stanza lo guardai un'altra volta, mi faceva una gran tenerezza. Non aveva nessuno che gli stesse vicino se non io, nemmeno i suoi stessi genitori. 

In tre mesi che vivevo con lui non si erano fatti vivi nemmeno una mezza volta e da quanto sapevo non vivevano neanche così lontani da San Francisco. 

Insomma, da Los Angeles a San Francisco ci voleva solo un'oretta se si prendeva l'aereo e sei se si andava in macchina. Certo, sei ore non sono poche, ma per vedere il proprio figlio scommetto che ogni genitore sarebbe disposto a farle. 

Mi stesi nuovamente sul mio letto a pancia in su osservando il soffitto chiaro e ascoltando il vento all'esterno muovere le foglie degli alberi in giardino. 

Ero felice di essere riuscita a farlo addormentare, di essere riuscita a calmarlo. 

Chiusi piano gli occhi con ancora il suo dolce profumo in mente e nemmeno mi accorsi quando caddi fra le braccia di morfeo.

La LucciolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora