-Chapter 14-

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Il pomeriggio di allenamento passò molto velocemente, dato che andavo da un attrezzo all'altro per la gara dell'indomani e anche per prepararmi alla gara in New Jersey.

Visto che i miei genitori mi avevano convinta a partecipare, ne dovetti parlare sia con il coach Strauss, sia con il preside e tutti e due non esitarono un attimo per acconsentire ad allenamenti più intensi e giorni in meno di scuola, che avrei saltato. Oltre a loro, nessuno sapeva della mia imminente gara dall'altra parte del paese. Le mie compagne pensavano che dovessi andare a trovare dei parenti, dato che con la prima gara di campionato non si erano neanche ricordate delle gare a livello nazionale. Non volevo appesantire Sophia con i miei problemi e non conoscevo altri con cui poterne parlare. A lezione non parlavo mai con nessuno, a parte lei e dovevo anche concentrarmi sulla ginnastica e sulla scuola, più che sulle amicizie da fondare.

Per giunta ogni giorno dovevo chiamare il coach della Michigan Academy e informarlo dei progressi, per poi allegargli i video delle mie routine, che esaminava attentamente e mi dava consigli su cosa cambiare o migliorare.

La mia vita ormai, era diventata frenetica come nel Michigan, ma non mi dispiaceva. Piuttosto che stare con le mani in mano a non fare niente, era sicuramente meglio così.

Uscita da allenamento trovai i miei genitori nella loro Lamborghini Aventador nera, che mi aspettavano. Gli andai incontro, salutandoli con la mano. Mi sorrisero e ricambiarono il saluto. <<Non vi aspettavo prima di cena>> dissi a pochi metri dalla macchina. <<Oh tesoro, volevamo salutarti, perché abbiamo avuto solo all'ultimo l'invito di un mio caro amico a cena e per non disturbarti dopo, ti volevamo avvisare ora di persona. Ci vediamo domani alla gara e dopo festeggiamo insieme, va bene? Anzi perché no, invita tutte le tue compagne e qualche amico a casa nostra e facciamo un buffet>> mi disse passando dalla tristezza alla felicità più assoluta.

<<Ah... se proprio vuoi farò questo sforzo>> odiavo dover organizzare qualsiasi tipo di evento, soprattutto se erano i miei genitori a impormelo. Quando mia madre diceva qualcosa, doveva essere così, anche se era solo un'idea. Sempre.

<<Perfetto. Ciao tesoro, a domani!>> concluse mia madre, poi mio padre mi salutò e ripartirono sgommando, per la loro stupidissima cena. Era già successo che mi dessero buca, ma non con così poco preavviso e soprattutto mai quando era da un sacco di tempo che non ci vedevamo. Rimasi in piedi lì impalata a guardare dove la macchina era sparita cercando di pensare che era solo un loro brutto scherzo. Ma non fu così.

<<Che ti succede?>> No, no, no. Perché deve sempre arrivare nei momenti meno opportuni? Non mi mossi dalla mia posizione e lui si avvicinò. Perfetto, meglio di così non poteva andare. Si avvicinò ancora di più. Mi prese per la manica della felpa della UCLA e mi fece girare verso di lui per guardarmi negli occhi, che ovviamente erano pieni di tristezza, che mi ofuscava la vista. Rimase calmo anche vedendomi triste e io rimasi colpita dal suo comportamento. Lui lo notò e subito mi domandò <<Che c'è? Ti sorprende che non me ne sono andato perché tu piangi? Non sono mica così>> cercai di ribattere, ma non ne avevo le parole.

<<Allora, cosa è successo? Perché ti sei ridotta così?>> mi chiese sedendosi sul muretto. Gli raccontai la storia e rimase impassibile quando finii esordì con <<Ah i genitori imprenditori!>> gli feci il dito medio e lui rise. <<Non è divertente, sai>> lui annuì. <<Lo so, è che i genitori del genere sono fin troppo frequenti>> Restammo in silenzio, ma lui lo infranse dopo pochi secondi.

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