UN AMORE PROIBITO Cuori Spezz...

_StarFreedom_ által

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Damon Sanders, due occhi magnetici e letali che sanno scavarti l'anima, un corpo marchiato, dove i tatuaggi a... Több

NEWS
PROLOGO
Capitolo 1 Damon
Capitolo 2 Damon
Capitolo 3 Allyson
Capitolo 4 Damon
Capitolo 5 Allyson
Capitolo 6 Damon
Capitolo 7 Allyson
Capitolo 8 Damon
Capitolo 9 Allyson
Capitolo 10 Damon
Capitolo 11 Allyson
Capitolo 12 Damon
Capitolo 13 Allyson
Capitolo 14 Damon
Capitolo 15 Allyson
Capitolo 16 Damon
Capitolo 17 Allyson
Capitolo 18 Damon
Capitolo 19 Allyson
Capitolo 20 Damon
Capitolo 21 Allyson
Capitolo 22 Damon
Capitolo 23 Allyson
Capitolo 24 Damon
Capitolo 25 Allyson.
Capitolo 26 Damon
Capitolo 27 Damon
Capitolo 28 Allyson
Capitolo 29 Damon
Capitolo 30 Allyson
Capitolo 31 Damon
Capitolo 32 Allyson
Capitolo 33 Damon
Capitolo 34 Allyson
Capitolo 35 Damon
Capitolo 36 Damon
Capitolo 37 Allyson
Capitolo 38 Allyson
Capitolo 39 Damon
Capitolo 40 Damon
Capitolo 41 Damon
Capitolo 42 Allyson
CAPITOLO 44 Damon
CAPITOLO 45 Allyson
Capitolo 46 Damon
Capitolo 47 Allyson
Epilogo Allyson
UN AMORE PROIBITO - VITE LONTANE
Nuova Storia solo per VOI

Capitolo 43 Allyson

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Picchietto l'indice contro il vetro.

«Sei qui da venti minuti e ancora non mi hai detto cosa è successo», guardo il pesciolino nero gironzolare indisturbato attorno al piccolo branco.

«Ha mai perso?», mormoro dandogli volutamente le spalle, questa volta non mi sono sdraiata come al solito. Sono entrata, ho accennato un sorriso forzato e mi sono fiondata verso i pesci. Ricordo ancora le sue parole, "Andiamo a cercare cosa hai perso, cosa ti sei lasciata per strada". Quasi rido verso una forza che mi è stata rubata, una speranza che mi ha voltato le spalle, un coraggio che si è dimenticato di me... forse mi è rimasta solo la tenacia, giusto per tenere insieme qualche pezzo di me che ancora mi è rimasto. Magari è solo una mia illusione però.

«Cosa vuoi dire, Allyson?», chiede Ella, sento i suoi passi avvicinarsi dietro di me.

«Hai mai avuto un caso... perso, disperato e irrecuperabile?», non mi giro verso di lei.

«Sì, ho avuto il mio caso perso...», solo in quel momento decido di voltarmi, è poggiata alla scrivania e mi osserva con attenzione. So che sta studiando ogni mia mossa, aspetta il momento in cui crolli, urli e mi disperi per ciò che sento divorarmi dentro, ma sono già crollata, è questo il punto.

«Cos'ha fatto?», il suo sguardo in questo momento assume un'espressione materna, mi irrigidisco al pensiero di mia madre, di come le cose siano precipitate e del fatto che la causa di tutto questo è solo sua.

«Non mi sono arresa, Allyson, mai, nemmeno una volta. Ho lottato per quel caso perso», mi mordo il labbro e annuisco. «Ora vuoi dirmi perché hai voluto anticipare la seduta?», avrei molto da dire ma decido di non farlo, di non farmi aiutare. Voglio essere quel caso disperato, irrecuperabile che resta nell'ombra e non chiede aiuto.

«Non riesco a dormire, è un po' che mi succede», dico con noncuranza.

«Come mai?», chiede mettendosi a sedere dietro la scrivania mentre estrae un semplice blocco dove incomincia a scrivere.

«Credo di essere semplicemente sotto stress, si avvicina il primo quadrimestre e ho molto da studiare», mento. Non faccio altro che stare con la testa fra i libri, lo studio è l'ultimo dei miei problemi.

«Ti prescrivo delle pillole, ne prendi una prima di andare a letto. Ogni sera per una settimana e poi al prossimo controllo mi fai sapere», dice con uno strano sguardo impresso sul volto. Annuisco e continuo a fissare l'acquario. «Tieni», mi porge il foglio, lo prendo e mi alzo. «Non hai nient'altro da dirmi, Allyson?», scuoto la testa.

«No. Sto meglio, sto seguendo la dieta del nutrizionista e....», tamburella la penna contro la scrivania laccata.

«Vuoi davvero mentire a una psicologa? Credi che non riesca a riconoscere i movimenti del tuo corpo che parlano al tuo posto? Il tuo sguardo perso, il modo in cui ti torturi le mani, come ti mordi il labbro se ti faccio una domanda?», raddrizzo la schiena.

«Sto bene», ribatto a denti stretti.

«Come vuoi, il mio numero ce l'hai. Sai bene come funziona. Non posso aiutarti se non me lo permetti», lascio sul tavolo i soldi della seduta, cerca come al solito di rifiutare, perché Damon l'aveva avvisata di non lasciarmi mai pagare. Ma non sa che non esiste più nessun Damon nella mia vita e vorrei tanto che non fosse mai esistito. Esco lungo il corridoio e quasi mi trascino, credo di essere entrata in una sorta di trance. Dopo ciò che i miei occhi hanno visto, è come se qualcuno avesse spento un interruttore e quando l'avesse riacceso ero avvolta dal nulla. Sì, perché non riesco a sentire niente. Non ho versato una lacrima, sono tornata alla KAT, mi sono fatta una doccia e mi sono messa a dormire sotto lo sguardo incredulo di Jenna. Non ho proferito parola, la testa parlava da sola. La sua voce ripeteva le parole che mi avevano trafitto, fino a raggiungere come fossero una lama il cuore, aveva girato più volte la lama in quella ferita così fresca, nuova... l'ultima parte di me che Damon si era preso.

«Dov'eri? Quando mi sono alzata questa mattina non c'eri, ti ho cercata a lezione», Jenna scatta in piedi dal letto e quasi mi travolge, abbracciandomi mentre entro nella nostra stanza. «Stai...», non la lascio finire di parlare che mi stacco da lei.

«Smettetela di chiedermi tutti come sto. Di trattarmi come se fossi fatta di vetro e potessi andare in frantumi da un momento all'altro», strillo esasperata. I pezzi di me sono ancora in quella dannata confraternita, sono scappata senza voltarmi a raccoglierli perché questa volta non riuscirò a rimetterli insieme.

«Volevo solo...», prova a dire, sprofondo sul letto e per un istante chiudo gli occhi. Sento il materasso muoversi sotto il suo peso. «Hai tutto il diritto di stare male. Puoi anche spaccare qualcosa se ti fa sentire meglio, se vuoi andiamo da qualche parte e....» non la smette di parlare Lo so che vuole aiutarmi, il problema non è lei, sono io.

«Voglio solo dormire un po'», mi limito a dire. Sospira, i suoi passi si allontanano, la porta si chiude e resto sola con me stessa. Aspetto che Morfeo venga a rapirmi per condurmi in un posto che non sia la realtà, ma anche lui sembra essersi dimenticato di me. Il telefono vibra nella tasca dei pantaloni, lo sfilo, leggo il nome di mio padre e mi metto a sedere. Faccio un lungo respiro, non devo farmi tradire dalla mia voce. Ci siamo sentiti pochissimo in questo periodo, era così entusiasta del mio nuovo alloggio alla KAT, le sue esatte parole erano state: "Stai seguendo la tua strada", ignaro di quanto si sarebbe rivelata tortuosa. Faccio scorrere il dito sul display. «Papà?», la voce non trema.

«Ally, come stai?», lo sento picchiettare alla tastiera del computer e l'immagino nel suo studio a casa nostra. Solitamente la sua voce, unita al ricordo di casa mia, mi avrebbe scaldato il cuore, ma come può succedere se quel cuore ti è stato totalmente strappato? Ancora una volta, una di troppo.

«Sto bene, stavo studiando e tu?», mi racconta delle sue giornate e cerco di restare concentrata per avere subito la risposta pronta a ogni sua domanda. Quando finalmente chiudo la chiamata mi rendo conto di avergli mentito, il passato mi tormenta come una vecchia coperta logora che continua ad avvolgermi. Mi alzo e vado verso il cassetto del comò. Cerco fra le maglie una piccola scatola, la prendo fra le mani. È tanto che non la apro. Mi siedo posandola sul grembo. Sollevo appena il coperchio di un vecchio carillon, la melodia colma il silenzio nella stanza. Prendo il foglio ingiallito dal tempo, stropicciato per tutte le volte che l'ho aperto e ripiegato. Gli occhi scorrono lungo l'inchiostro scolorito, in alcune parti è colato non riuscendo quasi più a capire cosa ci sia scritto per le troppe lacrime versate. Conosco a memoria ogni singola lettera, ogni parola e incomincio a rileggere.

22 agosto

Cos'è il dolore? Si può soffrire talmente tanto da non sapere più di chi è l'immagine riflessa allo specchio? Io la mia non la vedo più. Di me stessa non è rimasto più nulla. Le mie certezze si sono tramutate in insicurezze. I sorrisi si sono affievoliti fino a scomparire dal mio volto, come una candela che si consuma lentamente. La paura, quella che mi aveva solo sfiorata poche volte nella vita, ora è una presenza costante in ogni mia giornata. Non sapevo che sarebbe successo tutto questo. Nemmeno nei miei peggiori incubi, l'avrei mai creduto possibile. Mi sono spinta oltre tutto quello in cui credevo per rimanere seduta con le gambe contro il petto e le braccia strette ad avvolgerle. Sola a me stessa, con dei ricordi da non voler aver mai vissuto. Alla ricerca di un pezzo di cuore che può ancora battere, ma che per quante volte è stato strappato e spezzato non potrà più farlo. Promesse: le peggiori bugie alle quali avevo creduto con l'illusione che sarebbe stato diverso. Che tutto sarebbe cambiato, ma io stessa ho creduto nell'impossibile fino a quando tutto si è materializzato di fronte ai miei occhi ed è stato allora che l'aria ha cessato di esistere nei miei polmoni e sono stata travolta, schiacciata dalla persona nella quale credevo più di ogni altra cosa al mondo... mia madre.

Questa volta non piovono lacrime, rido, ingenua che sarebbe stato quello il dolore peggiore che avessi mai provato... il suo abbandono. Quel giorno lei se ne era andata via per sempre, mentre io mi ostinavo ad aspettarla sul portico di casa, come se potesse comparire da un momento all'altro... non è mai successo. Mi ha spinta verso la bulimia, mi ha lasciato sola a lottare contro me stessa. La mia fragilità era come una bandiera che tutti amavano sventolarmi in faccia, talmente forte da farmi male, eppure quel dolore che credevo così grande, che mi aveva lasciato un vuoto incolmabile, non è nulla in confronto a ciò che non riesco più a sentire... me stessa. Ripiego la lettera, convinta che quei pensieri di una ragazzina di appena quattordici anni non possono restare chiusi in un carillon. Metto il foglio in tasca ed esco.

«Dove vai?», Jenna sbuca dal nulla.

«Torno subito», sembra non volermi perdere d'occhio, come se fosse riuscita a leggermi dentro. L'aria pungente è quasi un piacere, riesco almeno a convincermi di essere ancora viva. Cammino, guardo il viale alberato e con gli occhi scruto ogni dettaglio, anche il più insignificante. Ci perdiamo, senza ritrovare più la strada del ritorno, è questo che succede. Diamo tutto per scontato, tutto è dovuto... invece dobbiamo fare i conti con troppe cose, cercare risposte che non arriveranno mai. Oltrepasso la via parallela, d'istinto mi volto e vedo la Daytona blu elettrico posteggiata sotto il suo palazzo. Vorrei che lo stomaco si contorcesse, che il cuore perdesse un battito, che le gambe vacillassero... non succede nulla di tutto ciò. Proseguo sempre più convinta che ognuno debba sbattere la propria faccia con la cruda realtà, per risvegliarsi dai sogni nei quali ci si è rifugiati per vivere. Non ci sono favole né tantomeno lieti fini, per lo meno, chi ha scritto la storia della mia vita dev'essere stato molto incazzato con il mondo perché facesse così schifo. Suono il campanello, la porta si apre e per l'ultima volta decido di soffermarmi a guardare l'immagine di me stessa un po' più grande.

«Allyson», balbetta mia madre. Mi invita a entrare ma scuoto il capo. Prendo il foglio dalla tasca.

«Sono stata ingiusta con te, ti ho urlato contro cosa aveva causato il tuo abbandono nella mia vita», le porgo la lettera che afferra con mani tremanti. «Dovevo dartela sin da subito, l'ho scritta un paio di mesi dopo che te ne eri andata, quando la bambina che ero è dovuta crescere in fretta per affrontare il mondo che mi aspettava. Ma tu non mi avevi preparato, non mi avevi detto che avrei dovuto tirare fuori le unghie per difendermi, per restare in piedi e rialzarmi per tutte le volte che sarei caduta. Non eri lì e non ci sei mai stata. È giusto che conosci cosa sei riuscita a lasciarmi... anzi, questo posso dirtelo io. Niente. Ora hai anche tu i tuoi demoni contro cui lottare», mi volto senza aspettare parole che non sono disposta ad ascoltare. È tardi.

Nel tragitto del ritorno verso la KAT mi godo l'imbrunire, il tramonto ha lasciato il suo posto alla notte che si prepara ad avanzare. La notte ti permette di isolarti dal resto del mondo, il buio ti nasconde da chi non può vederti. Ero davvero convinta che quel dolore fosse davvero tanto grande? Che il suo abbandono mi avesse strappato il cuore? Rido quasi di me stessa. Possedevo ancora il mio cuore quando due occhi verdi hanno incontrato i miei per la prima volta. Mi ha inghiottita in un mare in tempesta, ma io volevo nuotare controcorrente, volevo ciò che non potevo avere. Credevo che sarei riuscita a cambiarlo, che in qualche modo lui tenesse a me come io tenevo a lui. Mi sono rifugiata anche io in una favola, ho chiuso gli occhi, ho accettato tutto di lui... ho creduto alle sue parole, ai suoi sorrisi. È stato solo un gioco, sono stata una delle tante... ma l'unica che è riuscito a spezzare. Già, i pezzi di me sono sparsi per questa cittadina. Sono al campo da calcio, dove per la prima volta il suo sapore si è mischiato al mio, il cuore ha sussultato come non avevo mai sentito. Le sue mani hanno sfiorato, toccato e marchiato il mio corpo. Il suo veleno scorreva nelle mie vene e io non me ne rendevo conto, troppo ammaliata dal suo ghigno, dalla mascella che faceva schioccare quando posava il suo sguardo possessivo su di me. Assorta nei miei pensieri, non mi rendo conto che sto già salendo le scale della KAT. Una mano mi scuote per la spalla.

«Ehi, Allyson, ti chiamo da quando sei entrata», corrugo la fronte.

«Sì scusa, dimmi», Jenna mi tiene per le spalle.

«Sono preoccupata, per favore, mi prometti che dopo parliamo?», faccio cenno di sì. «Abbiamo ordinato la pizza, arriva tra poco», mi avvisa. Prima che possa scendere le scale l'abbraccio.

«Grazie», mormoro.

Corro su per le scale e chiudo la porta a chiave. Prendo il flacone delle pillole che ho comprato rientrando da New York. Svito il tappo e ne rovescio nella mano metà del contenuto, lo porto alla bocca e mi avvicino al rubinetto del bagno per bere dell'acqua, inclino la testa, strizzo gli occhi mentre deglutisco a fatica. Raggiungo il letto sul quale mi lascio cadere di peso come se a prendermi ci potesse essere lui. Riempio la testa delle sue risate, dei suoi sguardi bramosi sotto i quali restavo senza fiato... «Al», lo pronunciava con una tale dolcezza che ogni volta il cuore faceva la solita capriola. Frammenti divenuti schegge mi trafiggono ancora una volta... l'ultima alla quale concedo di farmi ancora una volta illudere da quei ricordi. "Promettimi che non ci perderemo, qualsiasi cosa accada ci ritroveremo... sempre". La testa leggera, la sento girare sempre più forte, ogni muscolo si rilassa, le palpebre sono sempre più pesanti.

«Non ci ritroveremo. più», sussurro lievemente prima che tutto attorno cessi di esistere.


*SPAZIO XOXO*

Tutte convinte che il prologo fosse riferito a Damon, vero? Vi ho fregate.

Lo so due capitoli forti, quello di ieri è questo. Si dice che tutto avviene per un motivo.

Olvasás folytatása

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